Frattaglie in saldo #65
Se leggo che il batterista usa un nome di battaglia come Uretra, a me vien da pensare che il genere proposto sia un death putrido, un bel goregrind, o giù di là. E invece no. Revelations from the Void degli ONIROPHAGUS è composto da cinque tracce di doom death, epico e vagamente gotico, con l’allegria e la solarità che contraddistingueva i My Dying Bride e i Paradise Lost degli esordi. Non c’è solo lentezza nel disco, ma anche accelerazioni incazzate che, paradossalmente, sono quelle che convincono di più. Le melodie sulle parti doom invece non lasciano più di tanto il segno. Però, tipo oggi che piove, l’album si lascia ascoltare abbastanza bene.
Inizia un po’ sommesso Hierarchies degli (attenzione!) HIERARCHIES, all’esordio per l’ottima Trascending Obscurity. La prima traccia, Entity, sembra quasi un cazzeggio su uno di quei palchi che ospitano le jam session, più che un disco di death avanguardistico, anche se si capisce che sotto c’è qualcosa che sta arrivando. Il trio non è infatti composto da sprovveduti, visto che i suoi elementi fanno parte di almeno altri cinquanta progetti. Magari a qualcuno potrebbe suonare familiare il nome di Jared Moran, altrimenti conosciuto anche come ShaolinLambKiller. Il disco può essere associabile a quel death dissonante o avanguardistico, vedete voi come chiamarlo, ma viene suonato con un intenzione vagamente free jazz, o comunque quasi tendente all’improvvisazione. Ci sono un sacco di riff incredibili che però vengono distrutti e lacerati per creare le atmosfere più fredde e disagianti possibili, al limite con certo black metal. Date le premesse potrebbe sembrare un album ostico, ma non lo è. La maturità musicale degli Hierarchies è tale che non finiscano per perdersi in passaggi cervellotici e l’ opera è godibile fin dal primo ascolto. Suona semplice, pur essendo complesso. Ma la cosa più piacevole è la registrazione: niente plastica, niente chitarroni pompati o rullanti da 14”x10” per dare il timbro più scuro possibile. Suona vero, vivo (sì, mi rendo conto, è death metal, ma cerchiamo di capirci) e questa cosa mi garba tantissimo, ma soprattutto mi vien voglia di riascoltarlo mille volte.
Onestamente non conoscevo i FAITHXTRACTOR prima di capitarci sopra su Bandcamp. Il loro ultimo, e già quinto, album dal titolo Loathing and the Noose, spacca di brutto. C’è una commistione di generi mica male qui dentro, tale per la quale si sente una buona base di death metal con un sacco di black svedese, thrash, e doom. Il tutto si amalgama con una naturalezza incredibile e le canzoni, della durata media di tre, quattro minuti massimo, sono davvero godibili. Visto il risultato, devo mettermi a recuperare i precedenti quattro dischi. Tra l’altro ho provato a cercare brevemente informazioni circa il loro nome, ma non ne ho trovate. Se qualcuno ne conosce l’origine me lo faccia sapere che son curioso.
Infinite Mortality in realtà è uscito ad aprile dell’anno scorso ma, in un’era in cui l’attenzione ad un prodotto culturale ha la durata di una scoreggia, mi vien da dire “e sticazzi?”. Questo è un gran bel disco di death metal tecnico e vagamente avanguardistico. I REPLICANT fanno uso di sintetizzatori e parti elettroniche, e il riferimento più ovvio sono i Gorguts, sia per l’uso strampalato dei riff che per l’uso dei groove, che passano continui stop e parti sincopate a parti più dritte e pestone in 4/4 sulle quali si può solo che scapocciare furiosamente.
L’esordio degli inglesi MUTAGENIC HOST è stata una delle prime uscite death dell’anno essendo uscito il 3 gennaio. L’intento della band non è quello di innovare, è chiaro fin da subito, ma quello di grooveggiare a più non posso. I ragazzi ci sanno fare tecnicamente, ma manca un po’ di sostanza. L’album, The Diseased Machine, alla lunga è un po’ ripetitivo perché il fatto di puntare tutto sul groove può essere un’arma a doppio taglio se non hai dei riff orecchiabili da piazzarci sopra. Quelli su questo album non è che siano nemmeno troppo entusiasmanti ma lasciano intravedere delle potenzialità per il futuro, quello sicuramente. Ad ogni modo, se vi piace il death senza troppe menate questo disco fa assolutamente per voi. (Luca Venturini)
