Avere vent’anni: JESU – st
Ho cercato di scrivere più volte di questo album, che amo tanto quanto mi devasta nello spirito e nella mente. Non è facile, a meno di non voler utilizzare figure retoriche che un lavoro del genere non merita.
Matteo Cortesi, nell’avere vent’anni di Us and Them dei Godflesh, aveva scritto, citando Pazienza: “Us and Them, per usare le parole di chi ha saputo dirlo meglio di chiunque altro, è il segno di una resa invincibile. E in fondo le stesse parole potrebbero ben adattarsi all’esordio solista di Broadrick targato Jesu, opera insuperabile e insuperata con la quale ha inaugurato una nuova fase della sua carriera. Perché per Jesu si utilizza spesso il teorema degli Ulver e per quanto, oggettivamente, i tanti lavori successivi non saranno mai al livello del debutto (anche se Silver e Conqueror ci vanno vicini), per chi scrive la qualità sarà sempre alta in tutte le uscite.
Per descrivere questo esordio non dobbiamo andare troppo in là rispetto alla fine – apparente – dei Godflesh, perché si tratta di un lavoro che nasce dalla stessa disperazione e dalla stessa autentica sofferenza e dal senso di inadeguatezza verso il presente che permea, dalla prima all’ultima nota, anche Us and Them.
L’unica rilevante differenza è che è una sofferenza che Broadrick non poteva più esprimere con la stessa rabbia e con le stesse modalità dei Godflesh; al contrario, decide di spaziare tra generi e atmosfere, filtrando quel malessere, ma senza far intravedere qualsivoglia speranza all’orizzonte. Anzi. Se Us And Them era l’unica possibile conclusione della parabola dei Godflesh (che infatti con il ritorno di Purge sono semplicemente tornati indietro), il fondo dell’abisso, Jesu rappresenta il torpore di chi non si è mosso di un millimetro da lì, una inquieta rassegnazione, il confortambly numb di chi non si aspetta più nulla dal domani.
Una sensazione che traspare dalle prime lancinanti note di Your Path To Divinity, manifesto di Jesu, tra ritmiche industriali, atmosfere post-rock e voce e filtri vicini a un certo shoegaze. Genere che, del resto, fa spesso capolino in varie composizioni dell’album, da Tired of Me a Sun Day, che in certi momenti porta alla mente anche gli Slowdive. Un senso di stasi dell’anima che, paradossalmente, si muove in una costante evoluzione sonora, implacabilmente senza sbocchi: non c’è ascesa, non c’è catarsi, ma pura contemplazione del nulla, senza aspettative, né voglia di fuga.
Uno dei lavori più lancinanti e brutalmente onesti che mi sia mai capitato di ascoltare e che nei testi, brevi e devastanti, Broadrick esprime senza filtri e senza metafore quel senso di nulla cosmico che lo ha pervaso per tutta la vita. Un nulla in cui l’unica possibile via di fuga, suggerita in Guardian Angel, è solo da sé stessi: You found the key to escape. But I need the same key to run away from me.
Un disco difficile per le sensazioni che lascia, capace di portare l’ascoltatore in un’atmosfera che a volte diventa anche sognante, ma che di idilliaco ha ben poco. (L’Azzeccagarbugli)
L’unica rilevante differenza è che è una sofferenza che Broadrick non poteva più esprimere con la stessa rabbia e con le stesse modalità dei Godflesh; al contrario, decide di spaziare tra generi e atmosfere, filtrando quel malessere, ma senza far intravedere qualsivoglia speranza all’orizzonte. Anzi. Se Us And Them era l’unica possibile conclusione della parabola dei Godflesh (che infatti con il ritorno di Purge sono semplicemente tornati indietro), il fondo dell’abisso, Jesu rappresenta il torpore di chi non si è mosso di un millimetro da lì, una inquieta rassegnazione, il confortambly numb di chi non si aspetta più nulla dal domani.
Una sensazione che traspare dalle prime lancinanti note di Your Path To Divinity, manifesto di Jesu, tra ritmiche industriali, atmosfere post-rock e voce e filtri vicini a un certo shoegaze. Genere che, del resto, fa spesso capolino in varie composizioni dell’album, da Tired of Me a Sun Day, che in certi momenti porta alla mente anche gli Slowdive. Un senso di stasi dell’anima che, paradossalmente, si muove in una costante evoluzione sonora, implacabilmente senza sbocchi: non c’è ascesa, non c’è catarsi, ma pura contemplazione del nulla, senza aspettative, né voglia di fuga.
Uno dei lavori più lancinanti e brutalmente onesti che mi sia mai capitato di ascoltare e che nei testi, brevi e devastanti, Broadrick esprime senza filtri e senza metafore quel senso di nulla cosmico che lo ha pervaso per tutta la vita. Un nulla in cui l’unica possibile via di fuga, suggerita in Guardian Angel, è solo da sé stessi: You found the key to escape. But I need the same key to run away from me.
Un disco difficile per le sensazioni che lascia, capace di portare l’ascoltatore in un’atmosfera che a volte diventa anche sognante, ma che di idilliaco ha ben poco. (L’Azzeccagarbugli)

Mi piacerebbe, un giorno, arrivare a scrivere una recensione così
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