L’angolo del rock’n’roll: meanwhile in Canadà

IAN BLURTON’S FUTURE NOW (Toronto, ON) – Crimes of the City

Ci sta che, concentrandoci oggi su di un Paese solo (benché gigantesco, in termini di superficie), la puntata di oggi di questa finestra sempre aperta sul rock’n’roll sia più eterogenea di altre volte. Specie perché oggi ci focalizziamo sul Canada (o Canadá, se siete di quei nostalgici). Nazione che sicuramente identificate con band/marmaglia di speed metal dei lontani ’80, facendo a gara con Fenriz per elencarle tutte, o con oltranzisti dell’indipendentismo black francofono del Quebec. Oppure col post-rock dei Godspeed You! Black Emperor. Eppure qualcun altro quando si parla di Canada potrebbe pensare persino a situazioni più soffici e indie, mediamente lontane dalla cosa nostra, tipo Broken Social Scene. O Black Mountain, che sì, han giocato spesso e volentieri ad essere più hard degli hard rocker duri e puri, ma sentitevi i loro esordi o side project come Pink Mountaintop. Bene. Ian Blurton è un musicista e produttore sulla sessantina. Cercando di documentarmi, lo trovo associato a nomi di band che non conosco. Da Wikipedia, le uniche “referenze” che riconosco sono che collaborasse proprio con uno dei Broken Social Scene e col batterista di Danko Jones. Bene. Io sono stato colpito immediatamente da due cose, incrociando il nuovo disco, intitolato Crimes of the City (già un nome che evoca belle cose) della sua “band solista”: il fatto che prenda il nome di Future Now, come la canzone più progressiva e forse fuori di testa e grandiosa dei MC5 di High Time, e la copertina in puro stile grafico anni ’70, con spade fantasy e grattacieli che grondano sangue. Che dite, pur viste le premesse, non vale la pena dare un’occhiata? Fidatevi: ne vale proprio la pena.

Perché Crime of the City parte con riffoni serrati, anni ’70 pure questi, e cori ed armonie vocali compiute tra power-pop e AOR già al primo, formidabile brano Ends of August. Occhio: ho parlato di AOR in una rubrica dedicata al rock’n’roll, ma seguitemi lo stesso. Perché quello è solo uno degli ingredienti buttati dentro un calderone che poi sforna però brani compiutissimi, rotondi, vintage ma presenti, anzi futuri, senza nulla di posticcio, e, fondamentalmente, rock’n’roll. Cui dovete accostare profumi di psichedelia, mazzate hard rock e dolcezze pop, ma solo in certe armonie vocali. Nessuna ballad, nessun singolo strappamutande. Invece è tutto un entusiasmante prog’n’roll zeppo di chitarroni. A volte tra stoner e Queen (Cast Away the Stones) a volte grandiosi come fossimo sulla West Coast tra fine ’60 e inizio ’70 (Nocturnal Trasmissions). A volte si gioca a fare il verso al demone Alice Cooper (School’s In) Comunque il disco è davvero tutto gagliardo, per intero, zeppo se non di idee originalissime, di canzoni confezionate ammodino dall’inizio alla fine. E niente, anche se gli ingredienti sono molto eterogenei ed avulsi dalla definizione che do io di rock’n’roll (musica basica, secca, radicale, sfrontata e sincera), qua non manca MAI la componente ‘n’roll del loro rock e tanto basta. Per me. Disco zeppissimo di situazioni divertenti ed esaltanti, se amate le chitarre elettriche, le melodie formidabili, le canzoni scritte per bene e tante di quelle cose che a volte pare siano appartenute solo al rock’n’roll di anni ’70 ideali, prima che deflagrasse in mille direzioni opposte (pop vs metal, prog vs punk e via così). Discone. Per grandi e piccini.

DANIEL ROMANO’S OUTFIT (Welland, ON) – Too Hot to Sleep

Più lontano dai nostri lidi soliti, ma probabilmente più in tema con questa specie di rubrica qui, quest’altro “gruppo solista”, di tale Daniel Romano. Anche lui lo conoscevo mica. Strano personaggio, artista grafico, in musica varia dal pop nostalgico al country al punk hardcore su diversi progetti più o meno a suo nome. Tanto per capire il livello di assurdità, durante il Covid ha rilasciato un numero impressionante di micro-uscite eterogenee, tra cui una suite prog con Danny Carey alla batteria (!!!). Personaggio, questo Daniel Romano. Cercaste delle sue immagini probabilmente ve lo trovereste conciato come un cowboy da rodeo al primo appuntamento. Meglio la mise che sfodera in occasione delle uscite recenti dei suoi Outfit, come questa qui, intitolata Too Hot to Sleep. Garage punk dai toni gentili e pop ma con diverse tracce di sbornia psych (UK, fine ’60) non ancora presa malissimo. Come certe erezioni hendrixiane di chitarra elettrica nella formidabile Where’s Paradise. Tono allegrotto e spigliato come i MC5 di Back in the USA. Però se non vi dispiaceva la freschezza di certo brit rock che pescava a mani basse sempre da quella swinging London lì, troverete più di una somiglianza coi Supergrass più divertenti (signori, dal vivo i Supergrass erano una band da far sudare i polsi).

Non volevo spaventarvi, eh. Era solo per dire che questo qui è un disco di rock’n’roll vero, tutto suonato, spesso a mille, pieno di profumi psych e anche di uscite punk e quasi hardcore, ma ANCHE dotato di una verve melodica e spensierata, in altre parole POP. Che potrebbe essere una parola bellissima mille volte più di quello che significa oggi, 2024-quasi-2025. Giù in basso vi lascio il video di Chatter, coretti spensierati e romantici su un brano selvaggio a cento all’ora che è un jingle-jangle da Rickenbacker ed anfetamine. Così ci capiamo. Vedeste anche il video del brano successivo in scaletta, Field of Ruins, con Romano conciato come una vecchietta hamish nell’800, vi rendereste conto che potrebbe, volendo, colmare il vuoto di irresponsabilità lasciato dai Black Lips prima della svolta glam e hype. Generazione End parte malintenzionata ed affilata come gli Stooges e poi si disinnesca in un cuscino di ovatta sofficioso e Paisley Underground. Vabbè, son chiacchiere. Sostanza è che Romano pure, come Blurton (ma in stile diverso), scrive canzoni ottime. Qui dentro ne avete dieci. Se non vanno bene per l’inverno, ricordatevele non appena fa primavera. (Lorenzo Centini)

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