Il mio nuovo gruppo preferito: SFREGIO – Malmignotta
La chiave di lettura sta tutta nell’ultimo pezzo, Non rompere i coglioni, dedicato a una delle categorie più sozze e funeste del nostro milieu, ovvero gli scribacchini musicali (quindi non noi di Skunk Metal che siamo pregiati agitatori culturali).
Insomma, gli Sfregio sono il mio nuovo gruppo preferito e si candidano a diventare il mio gruppo italiano preferito di sempre dopo i Kurnalcool, con i quali, a ben vedere, le analogie non mancano. Entrambe le bande raccontano infatti storie di vita, cantano quello che vedono intorno a loro, in testi che risultano divertenti e grotteschi perché divertente e grottesca è la gente che ci circonda. La differenza è che le avventure alcoliche ed erotiche (componente quest’ultima assai più accentuata nelle liriche dei liguri) narrate dalle kurnacchie sono fondamentalmente un’elegia della vita di provincia con un lato ingenuo e dolente che qua manca del tutto, sostituito da un sarcasmo cinico che più genovese non si può.
Gli Sfregio non vengono dalla provincia ma da una grande città di mare traboccante di una varia umanità che non può che essere fonte di costante ispirazione. Vico dei cartai è La città vecchia del nuovo millennio, solo che lungo le calate dei vecchi moli oggi ci sono chicani, spacciatori, le puttane e gli africani e la Bocca di Rosa di turno è un trans sudamericano che fuma crack. Ancora più devastante (pure a livello sonoro, siamo dalle parti del thrash più cruento di fine anni ’80) è Cinesi, tra i picchi di un affresco corrosivo stavolta più buttato sulla satira sociale (Bio e Giocatori di Tennent’s sono altri momenti elevatissimi) che sulla spietata narrazione del privato (l’adorabile Ciabatte e Spazzolino, dedicata alle gioie della convivenza), il tutto all’insegna di una scorrettezza che tra un po’ diventerà reato, in questo distopico panopticon nel quale viviamo, dove farsi i cazzi propri e, appunto, non rompere i coglioni al prossimo è diventato un concetto obsoleto quanto le carrozze trainate dai cavalli.
Ma colpiremo per primi, sappiatelo, voi merdacce che avete trasformato De André nel santino del FABER quando invece era un antipatico alcolizzato che non si lavava mai, quindi nostrissimo. Le canzoni degli Sfregio saranno i nostri inni di battaglia quando, sorseggiando birra del discount, verremo a prendervi a casa, ci scoperemo le vostre sorelle, vi legheremo al letto e vi costringeremo a guardare tutti i film anni ’70 con Lino Banfi mentre vi scoreggiamo in faccia, spettinando i vostri baffetti perfettamente arricciati, e pisciamo nelle vostre mefitiche Ipa artigianali da 7 euro la bottiglia piccola. Tanto non vi accorgerete della differenza.
Quanto rosico per essermeli persi all’Alvarado il sabato dell’Immacolata. (Ciccio Russo)
Già perché il sedicente, ma anche seducente, “porno alcoholic thrash’n’roll” dei genovesi viene definito un po’ ovunque “demenziale”, parola che a noi anziani (vecchi sì ma anche vecchi no) fa venire in mente roba tipo Una pallottola spuntata. O, che ne so, i Gem Boy. Ovvio che agli Sfregio l’aggettivo non sconfinferi, qua di demenziale non c’è proprio niente, anzi, si fa dannatamente sul serio, a meno di non considerare “demenziale” anche Paolo Villaggio, per tirare subito in ballo un altro illustrissimo nativo della Superba. Io prima di questo Malmignotta, loro quinto Lp, manco li conoscevo. Mi sono stati suggeriti dall’algoritmo e sono immediatamente diventati un mio gruppo feticcio, tanto che ho trascorso le ultime settimane a recuperare con entusiasmo i loro dischi precedenti (sono tutti bellissimi ma il mio favorito è il secondo Marcio nel cervello perché ha un paio di grandissimi pezzi sulla droga) e a tormentare amici e conoscenti su WhatsApp perché li ascoltassero.L’unica cosa demenziale sei te
Insomma, gli Sfregio sono il mio nuovo gruppo preferito e si candidano a diventare il mio gruppo italiano preferito di sempre dopo i Kurnalcool, con i quali, a ben vedere, le analogie non mancano. Entrambe le bande raccontano infatti storie di vita, cantano quello che vedono intorno a loro, in testi che risultano divertenti e grotteschi perché divertente e grottesca è la gente che ci circonda. La differenza è che le avventure alcoliche ed erotiche (componente quest’ultima assai più accentuata nelle liriche dei liguri) narrate dalle kurnacchie sono fondamentalmente un’elegia della vita di provincia con un lato ingenuo e dolente che qua manca del tutto, sostituito da un sarcasmo cinico che più genovese non si può.
Gli Sfregio non vengono dalla provincia ma da una grande città di mare traboccante di una varia umanità che non può che essere fonte di costante ispirazione. Vico dei cartai è La città vecchia del nuovo millennio, solo che lungo le calate dei vecchi moli oggi ci sono chicani, spacciatori, le puttane e gli africani e la Bocca di Rosa di turno è un trans sudamericano che fuma crack. Ancora più devastante (pure a livello sonoro, siamo dalle parti del thrash più cruento di fine anni ’80) è Cinesi, tra i picchi di un affresco corrosivo stavolta più buttato sulla satira sociale (Bio e Giocatori di Tennent’s sono altri momenti elevatissimi) che sulla spietata narrazione del privato (l’adorabile Ciabatte e Spazzolino, dedicata alle gioie della convivenza), il tutto all’insegna di una scorrettezza che tra un po’ diventerà reato, in questo distopico panopticon nel quale viviamo, dove farsi i cazzi propri e, appunto, non rompere i coglioni al prossimo è diventato un concetto obsoleto quanto le carrozze trainate dai cavalli.
Ma colpiremo per primi, sappiatelo, voi merdacce che avete trasformato De André nel santino del FABER quando invece era un antipatico alcolizzato che non si lavava mai, quindi nostrissimo. Le canzoni degli Sfregio saranno i nostri inni di battaglia quando, sorseggiando birra del discount, verremo a prendervi a casa, ci scoperemo le vostre sorelle, vi legheremo al letto e vi costringeremo a guardare tutti i film anni ’70 con Lino Banfi mentre vi scoreggiamo in faccia, spettinando i vostri baffetti perfettamente arricciati, e pisciamo nelle vostre mefitiche Ipa artigianali da 7 euro la bottiglia piccola. Tanto non vi accorgerete della differenza.
Quanto rosico per essermeli persi all’Alvarado il sabato dell’Immacolata. (Ciccio Russo)

Scoperti anch’io per suggerimento di youtub ma non perché c’è l’algoritmo, non ci credo, credo invece perché ascolto roba bella e quindi indirettamente gliela suggerisco io all’algoritmo (l’abbiamo allevato noi scureggioni metal anni 80 90 l’algoritmo dell’intelligenza artificiale). Ultimo pezzo della rece da sposare e condividere, tutto perfetto.
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Ho un amico che aveva un bar. Per un certo periodo si era fissato con le birre belghe, e al culmine di questa passione acquistò dei fusti di birra di non so quale prestigiosa abbazia pagandoli fior di quattrini. Festeggiò l’evento offrendo a ne e ad altri amici ed abituali avventori un boccale di quel prestigioso nettare. Prima di berlo forse rovinai un po’ l’atmosfera di festa con una frase un po’ infelice quale: “Guarda, non so come dirtelo, ma questa birra puzza un po’ di merda…” Venni tacciato di arroganza ed ingratirudine, poi dal coro si levò una seconda voce “Guarda, non è che abbia tutti i torti, anche a me l’odore ricorda quello della merda…”. “Vaffanculo, non capite una sega” fu la risposta un poco piccata del nostro oste. Alla fine brindammo e bevemmo, io diedi solo una sorsata cosi come gli altri, il nostro benefattore ne diede una seconda poi sentenziò: “avete ragione, fa schifo al cazzo”.
Avevamo anche palati piuttosto avvezzi a birre di qualità dubbia, ma quella roba nessuno si azzardò a berla.
La versione ufficiale è che il contenuto si fosse deteriorato a causa di una errata conservazione del prodotto, a me nessuno ha mai tolto dalla testa il dubbio che qualcuno in quella birra non ci avesse davvero cacato dentro.
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