Frattaglie in saldo #63
Ogni tanto vedo i lavori che ha in attivo lo zio Rogga e penso che, in fondo in fondo, sia un po’ veneto. Cioè, anche a me piace lavorare, non faccio un giorno di malattia dal ’63 e quando sono in ferie penso già a cosa posso fare di produttivo per passare le giornate anziché grattarmi i cosiddetti, come sarebbe d’obbligo fare se uno è in vacanza. Ecco, lui penso che non sappia nemmeno cosa voglia dire vacanza, forse da piccolo gli han tolto la pagina con la parola dal vocabolario, non so. Fatto sta che è uscito con un nuovo album dei PAGANIZER. Magari il fatto di essere uscito con soli altri sei, ripeto sei album quest’anno non era abbastanza, quindi mano alla chitarra e al microfono e via di nuovo in studio. E tira fuori pure un bel disco dal titolo Flesh Requiem. Ma come fa? Uno potrebbe pensare che, vista la mole di lavori a cui partecipa lo zio, la qualità non sia proprio eccelsa. Niente di più sbagliato. L’album è fatto bene, bello incazzato, con attitudine underground, vivace e, insomma, con dei pezzi da scapoccio selvaggio. Date un ascolto alla traccia omonima o anche a World Scythe e ditemi se da sole non valgono l’acquisto del disco. Un death svedese fatto come dio comanda, melodico, possente e moderno. Grande zio.
I LOUDBLAST sono stati il primo gruppo death metal francese a ricevere una discreta attenzione. È giusto ricordare che hanno infilato un paio di lavori eccelsi, nella loro onorata carriera, che portano il nome di Disincanate e Sublime Dementia. I due album coincidono con la prima epoca d’oro del death; una volta conclusasi, sono andati un po’ a momenti alterni di creatività, dovuti probabilmente dal cercare di mantenere una propria personalità all’interno di una scena in declino. Il che è comunque lodevole. Si sono pure sciolti e riformati nel giro di soli tre anni. Insomma, Buriez è sempre stato uno che alla sua creatura ci teneva, e a questo giro i Loudblast hanno azzeccato un album più che buono. Altering Fates and Destinies sa il fatto suo e se siete già fan della band sono sicuro vi piacerà. Ma pure chi se li è persi per strada oppure chi non li conosce apprezzerà questo disco. Potente, ritmicamente vario e dinamico, melodico e sperimentale ma senza strafare. Per il gruppo death metal francese non si può che alzare in alto le corna e aspettare di vederli live, quando questi brani faranno la loro porca figura.
Mettiamola così: a me i DEFEATED SANITY piacciono perché sono un batterista e loro sono un gruppo batteria-centrico. Però a conti fatti non è che abbiano mai scritto dischi indimenticabili. Per come la vedo io, godono di una certa notorietà grazie proprio al fondatore Lille Gruber, che è un batterista della madonna del quale mi piace guardare i video su YouTube, ma mi vien proprio da pensare che i loro brani siano costruiti per fare divertire lui in primis e poi noi batteristi che lo guardiamo. Questo ultimo Chronicles of Lunacy non fa eccezione. I pezzi hanno millemila cambi di tempo, chops (non saprei come rendere questa parola in italiano, se non con “riempitivi suonati con fraseggi lineari”, cioè con alternanza di mani e piedi dove non ci sono unisoni, tutto chiaro?) che manco i batteristi afroamericani della Julliard a New York e, personalmente, mi fanno godere; ma se dovessi dirvi se, una volta arrivato in fondo, lo riascolterei subito, direi di no. Poi di per sé il disco si lascia ascoltare, non è che faccia schifo, intendiamoci. Però, ecco,mah.
Arrivo un po’ in ritardo al disco d’esordio dei DEATHLESS VOID band italo nederlandese, dal titolo The Voluptuous Fire of Sin. La parte italiana è composta dal Michael Bertoldini, musicista già piuttosto rodato con la sua altra band, i The Secret, che esce per Southern Lord Recordings, giusto per farvi capire. Il loro è un disco molto muscolare, violento e malvagio. Il black metal la fa da padrone qui dentro anche se non è così strettamente black la loro musica. Il quartetto dimostra di avere già le idee chiare e come esordio è sicuramente interessante. I suoni e la produzione sono le cose più belle. Grezze eppure è tutto molto comprensibile e riescono a risaltare la malvagità delle canzoni senza scadere in quell’effetto “scantinato” un po’ retrò che ormai non ha più senso. Pezzi notevoli come Crossing the Threshold (ripresa dal peraltro buon demo del 2022) o Vortex Climax sono di una cattiveria devastante. Insomma, questi quattro ragazzi hanno le canzoni, hanno un’idea di suono e hanno personalità. Cose non scontate per un esordio. Forti di queste caratteristiche è lecito aspettarsi una band capace di sorprenderci in futuro. Intanto godiamoci questo che già è buonissimo disco. (Luca Venturini)

nel giro di pochi anni i Paganizer secondo me sono cresciuti in qualità… anche se dei millemila progetti di Rogga forse gli preferisco i Revolting.
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