SPECTRAL WOUND – Songs of Blood and Mire
Fedeli alla tradizione che prevede un loro nuovo full ogni tre anni, i canadesi Spectral Wound, tra i gruppi black metal più apprezzati degli ultimi anni, ritornano con Songs of Blood and Mire a miracol mostrare. C’è stato un avvicendamento alla seconda chitarra, oggi in carico ad A.A. (aka Alberto Arango, che tanto canadese non è visto che è colombiano) , bassista nei numerosi altri progetti che ha in piedi. Il disco non fa che confermare che la loro fama è tutt’altro che usurpata. Credono talmente tanto in loro stessi da aprire il disco con Fevers and Suffering, che inizia con un riff arduo da definire black metal, essendo piuttosto accostabile al death’n’roll di derivazione svedese. Nemmeno si ha il tempo di chiedersi cosa cazzo stia succedendo che il pezzo si trasforma in un turbine tempestoso tipico delle band della scena canadese, riportando il gruppo al consueto suono zanzaroso impostato su velocità folli. Mentre la successiva At Wine-Dark Midnight in the Mouldering Halls ha un che di crepuscolare, con quella chitarra acustica in sottofondo che ne acuisce la delicatezza, sebbene sia essa stessa decisamente veloce, pure la terza traccia Aristocratic Suicidal Black Metal divaga più nel death’n’roll fatto con gran stile e si riavvicina al black metal grazie al suo finale in crescendo. Situazione ricorrente nel corso dell’intero lavoro.
Nel complesso i sette brani – tutti di lunghezza non eccessiva, un po’ più o un po’ meno di 6 minuti – propongono un misto di sezioni furiose ibridate con parti più cadenzate, rendendo ogni composizione dinamica e in grado di rendere appetibile il disco di per sé stessa. Se a questo associamo la notevolissima capacità degli Spectral Wound di scrivere riff impostati su melodie avvolgenti e pregne di significato, nonché di intrecciarli, sdoppiarli, intricarli ed ingarbugliarli grazie a sapienti e curatissimi arrangiamenti, viene da sé che tutti i pezzi siano ai vertici delle loro creazioni più recenti, compositivamente parlando. Di rilievo anche produzione e mixaggio, nitida la prima e professionale il secondo, forse un filino asettico a mio parere, comunque in grado di garantire il giusto spazio ad ogni strumento sicché l’amalgama risulti essere di eccellente livello.
Doverosamente quindi riconosciuti al gruppo tutti i meriti possibili ed immaginabili, perché Songs of Blood and Mire è indubbiamente un signor lavoro, seppur non il loro migliore di sempre, come ho letto più volte in giro. È studiatissimo, quasi maniacale riguardo alla precisione, e si posiziona ai piani alti del black metal ascoltato nel 2024, ma proprio questo suo essere così studiato e curato alla fine lo rende prevedibile. Certo, oramai gli Spectral Wound sono una realtà consolidata e da loro ci si aspetta solo ed unicamente dischi di questo livello, e forse non possono neanche più contare sull’effetto sorpresa che ebbero in passato, quando uscirono Terra Nullius e il seguente Infernal Decadence, due bombe inesplose portate alla luce e fatte brillare in tutta la loro devastante potenza distruttrice, ma, tanto per fare un esempio, anche A Diabolic Thirst – loro terzo album – ascoltato subito di seguito al nuovo episodio risulta essere più potente, più deflagrante, più guasto, più malevolo. Songs of Blood and Mire è un disco vincente, è ovvio che qualunque appassionato di black metal, ascoltandolo, altro non possa fare che apprezzarlo pienamente, invero in cuore mio spero tornino a farcire i loro pezzi con quel sano grezzume che spesso rende indimenticabili brani che, se di questo sprovvisti, sono “solamente” dei gran bei brani. (Griffar)


“Molti nella band hanno radici nella scena punk e crust, ma per noi questi elementi non sono esattamente estranei alla sfera black metal. Si possono sentire influenze simili fin dai primi dischi partoriti dal genere (pensate al brano “Begravelsesnatt” dei Gorgoroth, contenuto in “Pentagram”), e naturalmente i Darkthrone possono essere visti come l’esempio ‘moderno’ più significativo di questo approccio”.
Riporto questo stralcio di intervista da Metalitalia, per mettere l’accento sul fatto che alcuni passaggi, cui fai riferimento tu caro Griffar, non sono né black’n’roll, né death’n’roll. Piuttosto arrivano da lì, inseriti direi volutamente e in qualche modo forzatamente secondo me. Suonano bene quei momenti, eh, intendiamoci. Sono d’accordo con te però sostanzialmente, perché in linea di massima il disco perde quella dimensione sinistra e maledetta che aleggiava sui dischi precedenti. Per quanto sì, scorre molto bene e ogni brano è riconoscibile, belloccio e laccato, però. Il che stride con quelle svisate punkettone di cui sopra.
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Faccio fatica a smettere di ascoltarlo… gran disco. Solo io a volte sento “echi” anche dei Naglfar?
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Ma infatti, lana caprina a parte, è proprio un bel disco.
Lo dico a te ma mi rivolgo a tutti quelli che amano il black metal greco:
Thyrathen – Lakonic
C’è Stefan Necroabyssious al microfono, intanto. E lui ha una modulazione nello screaming che mi fa impazzire, mi prende al petto, mi fa vibrare corde ferine. Ma il disco nella sua interezza è un mezzo capolavoro che tanto mi ha riportato con la mente ai Nightfall di Athenian Echoes. Bellissimo anche il modo di utilizzare uno strumento tradizionale come la lira.
Straconsigliato, pure a Squalo.
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me lo segno, grazie!
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