Non è la Rai e il nulla elevato ad arte. Quando Boncompagni anticipò i social
Giandomenico Boncompagni nasce ad Arezzo il 13 maggio del 1932. Suo padre è un militare, sua madre una casalinga. Sin dalla tenera età tutti lo chiamano Gianni.
Appena diciottenne si trasferisce in Svezia, a Stoccolma, dove rimane per circa dieci anni. Il periodo scandinavo per Boncompagni è denso di avvenimenti importanti e formativi: dopo aver imparato la lingua locale, Gianni frequenta un corso di grafica e fotografia, lavora in radio e convola a nozze con una altolocata donna svedese, dalla quale ha tre figlie. Qualche anno dopo l’unione termina per volontà di sua moglie.
Tornato in Italia nei primi anni Sessanta, Boncompagni tenta il concorso indetto dalla Rai e nel 1964 diventa programmatore di musica leggera per Radio 2, una delle emittenti radiofoniche di Stato. Nello stesso periodo comincia a scrivere testi per diversi cantanti, alcuni anche di gran successo, e si diletta inoltre ad incidere in prima persona dei brani musicali col nome d’arte di Paolo Paolo. Nel 1965 conduce, in coppia con l’allora sconosciuto Renzo Arbore, il suo primo programma musicale, Bandiera gialla. La trasmissione ottiene un enorme riscontro e va in onda per ben cinque anni, rimpiazzata nel 1970 da una pietra miliare dell’intrattenimento italiano, Alto gradimento. Durante le registrazioni, Boncompagni, lo storico sodale Arbore, Giorgio Bracardi e Mario Marenco parlano di musica improvvisando siparietti di comicità nonsense e demenziale: un qualcosa di mai proposto prima nel nostro Paese. Il pubblico impazzisce per questa innovativa formula e quello di Gianni Boncompagni diventa un nome noto.
Dopo qualche esperienza come inviato, il Nostro ottiene nel 1977 la conduzione di un programma televisivo musicale su Rete 1 (l’odierna Rai 1), Discoring, nato da una sua idea e diretto da Fernanda Turvani e Antonio Moretti. Il taglio è molto giovanile e per anni diventa un appuntamento imperdibile per i ragazzi italiani.
Nel 1980 Gianni Boncompagni comincia la sua avventura da regista di trasmissioni televisive con un altro programma a tema musicale, Superstar. Il successo definitivo, dopo una serie di prodotti abbastanza apprezzati dal pubblico, arriva però solo tre anni dopo con una piccola rivoluzione: Pronto, Raffaella?, condotto dalla Carrà.
Siamo nel 1983 e la Rai ha un buco nel palinsesto dalle 12.00 alle 12.30. In quella fascia, infatti, la Televisione di Stato manda in onda il monoscopio, per poi proseguire la programmazione con filmati di repertorio o repliche. Boncompagni pensa di poter rendere redditizio quell’orario e chiede ai vertici di Rai 1 che la sua nuova creatura inizi alle 12.05. La dirigenza, seppur con non poche perplessità, accetta.
Pronto, Raffaella? è un misto tra un talk show e un varietà, ma inserisce inoltre nella televisione nazionale una novità assoluta: i giochi telefonici. Nel corso delle puntate, infatti, i telespettatori hanno a disposizione un determinato momento del programma per telefonare durante la diretta e rispondere a delle domande poste dalla conduttrice: replicare in maniera corretta vale un premio in denaro.
L’esperimento delle 12.00 concesso al regista toscano alla fine della fiera non risulta semplicemente riuscito, ma diventa praticamente subito la punta di diamante della Rete, con una media di quattro milioni e mezzo di telespettatori, che non di rado diventano circa il doppio durante i quiz telefonici, tra i quali, in quanto a gradimento, primeggia il gioco dei fagioli, che consiste nell’indovinare l’esatto numero di fagioli all’interno di un contenitore trasparente posizionato su una scrivania di fianco alla presentatrice.
Nel 1985 Raffaella lascia il programma, ma Boncompagni non si perde d’animo e ne crea una copia, Pronto, chi gioca?, sostituendo la Carrà con Enrica Bonaccorti.
All’inizio degli anni Novanta Gianni, ormai affermato, riceve una proposta da Silvio Berlusconi. Il Cavaliere vuole riproporre Pronto, Raffaella? sulle reti Fininvest, oltre a strappare l’acclamato autore alla concorrente Rai. L’istrionico aretino accetta, ma mette subito in evidenza un problema: le giovani televisioni del Berlusca hanno un palinsesto composto solo ed esclusivamente da trasmissioni registrate, mentre il format dei giochi telefonici richiede per forza di condizioni la diretta, che però ha costi notevolmente più elevati. Silvio risponde come sa, e offre al suo nuovo acquisto un budget spropositato. Boncompagni non è ancora convinto al 100%, quindi chiede ed ottiene carta bianca dal suo neo-datore di lavoro. Visitando il suo nuovo studio e riflettendo sulle enormi cifre che ha a disposizione per mettere in piedi un format di rilievo, Gianni pensa tra sé e sé che, nonostante l’opulenza ostentata senza ritegno, alla Tv del biscione manchi comunque quel quid tipico della Televisione di Stato con cui ha collaborato per anni. Questa osservazione gli dà lo spunto per assegnare il nome al suo neonato figlio catodico: Non è la Rai.
Gianni Boncompagni fino a quel momento ha collezionato successi per un semplice motivo: è un fine osservatore del contesto socioculturale del nostro Paese e quindi si rende conto che l’Italia – chiaramente di pari passo con la televisione – ormai da qualche anno è in pieno mutamento. L’universo catodico sta gradualmente limando gran parte dei suoi riferimenti culturali, in favore di un intrattenimento sempre più leggero e in un certo senso fuori dalla realtà, molto più che in passato, e questo modus operandi nelle tv commerciali di Silvio è praticamente la legge. Dopo il boom economico e, soprattutto, dopo tutti gli avvenimenti ad esso conseguenti, il Belpaese si avvia a grandi passi verso un immobilismo sociale senza precedenti recenti. L’italiano medio però non vuole pensarci e richiede in continuazione un qualcosa che gli faccia dimenticare il tran-tran quotidiano. Una sorta di panem et circenses in versione moderna, insomma. Gianni, come sempre, gioca d’anticipo e materializza un microcosmo effimero, utilizzando pochi e ragionati ingredienti: il classico nulla mischiato col niente. Un “contenitore di vuoto pneumatico”, come lo definisce intelligentemente lui stesso. Del resto, cos’altro si può offrire a chi ti supplica insistentemente di indurlo a non riflettere sulle brutture della vita di tutti i giorni?
La prima puntata di Non è la Rai va in onda su Canale 5 nel settembre del 1991. Questa edizione, la prima di quattro, è una specie di sperimentazione molto diversa dalle successive. Per la conduzione Boncompagni sceglie una sua vecchia conoscenza, Enrica Bonaccorti, e le affianca due giovani: Antonella Elia e Yvonne Sciò. La fascia oraria in cui va in onda il programma è la stessa di Pronto, Raffaella?, quindi il principale target di riferimento è senza dubbio quello delle casalinghe, seguito a ruota delle persone anziane: i soggetti che durante la mattinata sono in casa con il televisore acceso.
L’ossatura della prima edizione di Non è la Rai è un qualcosa che Boncompagni conosce bene: il riciclo. I momenti salienti delle puntate sono sostanzialmente giochi telefonici e schemi già utilizzati sia nella trasmissione della Carrà del 1983 che nelle stagioni di Domenica in di cui Gianni è stato regista. Non è la prima volta che accade: persino l’amatissimo gioco dei fagioli di otto anni prima – come ammette lo stesso Boncompagni – nasce guardando per caso un quiz molto simile in onda su una piccola Tv locale.
Ovviamente non mancano nemmeno le novità. L’enorme location ubicata nel Centro Safa Palatino di Roma ha quattro ambientazioni diverse che riproducono le stagioni dell’anno. Oltre alla già citata presentatrice e alle due summenzionate assistenti, nell’enorme studio di Non è la Rai ci sono oltre cento ragazzine adolescenti indiavolate che movimentano le puntate nell’unica maniera che conoscono: scatenando un putiferio incommensurabile.
La seconda edizione del programma ha inizio nel settembre del 1992 ed è foriera di moltissimi cambiamenti. Il regista punta a un target più giovane, quindi le dirette cambiano fascia oraria e Rete: dalla mattina si passa al primo pomeriggio e non più su Canale 5, ma sulla modaiola Italia 1. La scenografia riproduce un’isola tropicale, con tanto di palme e mare artificiale (un’enorme piscina) in cui tuffarsi a più riprese. Enrica Bonaccorti viene sostituita da Paolo Bonolis e le scatenate ragazzine assumono un ruolo via via sempre più importante, sino a diventare all’atto pratico il fulcro della trasmissione. Boncompagni, quindi, decide di dare maggiore spazio alle teenagers, facendo nascere tra loro una competizione esasperata che non di rado sfocia in episodi malsani. Le giovincelle cominciano a fare di tutto per farsi notare dal boss, il quale si diverte a buttare benzina sul fuoco istituendo dei momenti in cui l’esercito di donzelle minorenni in costume da bagno che popola lo studio televisivo può scatenarsi al ritmo dei singoli dance più in voga, con tutte le logiche conseguenze del caso. Le ragazze che durante una puntata riescono in qualche modo ad attirare l’attenzione di Gianni possono potenzialmente diventare le protagoniste della successiva e così via, in un loop infinito che ben presto, com’è ovvio, si trasforma in un pandemonio.
Tra le tante fanciulle che si mettono in luce, emerge ben presto una quindicenne romana molto sveglia, Ambra Angiolini, che con il passare del tempo conquista sempre più territorio, sino a diventare nel settembre del 1993 la presentatrice della terza edizione di Non è la Rai. Boncompagni, tramite un auricolare, dà le direttive alla giovanissima Ambra e lei le rielabora e le mette in pratica alla velocità della luce. Non è la Rai si riempie progressivamente di spazi in cui alcune fortunate prescelte salgono sul palco per cantare in playback (quasi tutte, per giunta, con l’ausilio della voce preregistrata di una professionista e non con la propria) e/o per dimenarsi come se fossero in una scalcinata discoteca di periferia, in attesa che il tamarro con la fedina penale più sporca della zona le abbordi, caricandole sulla sua Uno Turbo elaborata o sul suo Fifty Top truccato. Gianni, com’è ormai noto, è in grado di capitalizzare praticamente ogni cosa e fa addirittura incidere dei brani musicali alle cantanti della trasmissione: il pezzo T’appartengo di Ambra Angiolini, ad esempio, arriva addirittura ad ottenere il disco d’oro in Italia, viene tradotto in diverse lingue e a suo modo diventa un classico, mentre l’omonimo album conquista ben quattro dischi di platino in Italia e due in Spagna.
Non è la Rai riceve ovviamente una marea di critiche. Orde di genitori imbufaliti, con l’appoggio del settimanale Famiglia Cristiana e perfino del Telefono Azzurro, si scagliano contro Boncompagni e la sua creatura, parlando di “modelli sbagliati e diseducativi”. Le femministe protestano con veemenza, perché ritengono il format un’oggettificazione del corpo della donna. Qualcun altro definisce il programma una sorta di lolita show e diversi, a tal proposito, pongono l’accento sulle frequentazioni amorose passate di Boncompagni: nei primi Ottanta, infatti, un già cinquantenne Gianni intrattiene una relazione sentimentale con l’attrice Isabella Ferrari, all’epoca minorenne. Come se non bastasse, ancor prima che inizi l’edizione numero uno della trasmissione, il famoso regista si fidanza con una delle future ragazze di Non è la Rai, Claudia Gerini, quasi quarant’anni più giovane di lui.
Persino Vasco Rossi dice la sua sulla questione e lo fa nel modo più prevedibile, cioè con una canzone: Delusa. Il testo è una sintesi di tutte le critiche piovute fino a quel momento su Non è la Rai e per assicurarsi di centrare il bersaglio il cantautore di Zocca cita persino il nome di Boncompagni.
Gianni lavora nel mondo dello spettacolo da decenni ed è una persona scafata ed ironica, con le spalle larghe a tal punto da potersi permettere di respingere gli attacchi di chiunque. La risposta ai tanti detrattori, Vasco in testa, non tarda ad arrivare ed è a dir poco pittoresca: è la nuova sigla di Non è la Rai, studiata apposta per lo scopo, Affatto deluse, durante l’esecuzione della quale – tra le altre cose – le ragazze sono tutte vestite da spose, l’immagine più tradizionale/pura/rassicurante possibile. Per rincarare la dose e per ribadire il concetto, nel 1994 Boncompagni fa cantare spesso a una delle stelle di quell’edizione, Maria Teresa Mattei (futura moglie di un grande ex centrocampista della nazionale, Dino Baggio), una canzone esplicativa sin dal titolo: Non sono lolita.
Il vuoto pneumatico ideato dal regista di Arezzo, insomma, diventa un vero e proprio fenomeno pop gigantesco, in grado di fare praticamente di tutto: smuovere le acque, solleticare pruriti, scaldare gli animi e generare sia consensi che indignazione, ma è nello stesso tempo capace anche di portare montagne di soldi, ottenere primati e battere record. Non è la Rai è la prima trasmissione in diretta dei canali di Berlusconi ed è inoltre uno dei pochissimi format italiani venduti anche all’estero, nonché uno dei programmi col più alto numero di spettatori della storia della televisione italiana. La Angiolini, una semplice ragazzina della porta accanto, viene tramutata, suo malgrado, in un’icona degli anni Novanta, simbolo del male assoluto per i suoi detrattori, mito intoccabile per i suoi numerosi adepti.
Per rendere l’idea dell’impatto che ha sulla massa in quel periodo il fenomeno Non è la Rai/Ambra basta raccontare un singolo episodio: quando il patron Silvio Berlusconi decide di scendere in campo non esiste alcuna regolamentazione sul conflitto di interessi, quindi il fondatore di Forza Italia utilizza i personaggi più amati/influenti dei suoi Canali televisivi per pubblicizzare la sua candidatura. Tra loro, in mezzo a colossi del calibro di Mike Bongiorno e Raimondo Vianello, c’è anche la Angiolini, come sempre pilotata da Boncompagni. In uno dei tanti siparietti sul tema, Gianni fa dire alla imberbe Ambra, una ragazzina che non ha nemmeno l’età per avere la patente di guida, che Dio vota per Berlusconi, mentre Satana parteggia per Occhetto.
L’ingresso del Centro Safa Palatino, sia prima che dopo le puntate, è costantemente assediato dai fan sfegatati del programma, ammassati lì per ore, incuranti delle condizioni metereologiche, con la speranza anche soltanto di vedere dal vivo per qualche secondo la propria beniamina. Le stelline di Non è la Rai, in larghissima parte adolescenti comunissime, cominciano a sentirsi delle dive e a comportarsi da tali. Gli episodi di stalking non si contano e non è raro che alcune ragazze si ritrovino addirittura gli ammiratori più audaci di fronte alla porta di casa. Isteria di massa alla stato puro, in poche parole.
I fruitori di Non è la Rai sono tantissimi, per la stragrande maggioranza di età compresa tra i sette e i diciotto anni: le donzelle aspirano a diventare come le ragazze che urlano e saltano in tv e le imitano nel salotto di casa, mentre i giovani maschi rimangono con gli occhi sgranati di fronte alle decine di flessuosi corpi femminili che si contorcono vorticosamente dietro lo schermo.
Nel corso di una puntata della prima edizione di Non è la Rai avviene un fattaccio divertente, forse tra i più spassosi della trasmissione e della tv nostrana in generale, passato poi alla storia del trash televisivo, che ha però un epilogo letteralmente surreale, probabilmente sconosciuto ai più. Tra i giochi telefonici previsti per quella stagione della trasmissione c’è Il Cruciverbone, già utilizzato in precedenza da Boncompagni ai tempi della collaborazione con la televisione pubblica. Le regole sono intuibili: si tratta in buona sostanza di una sorta di trasposizione catodica del classico passatempo proposto da uno storico periodico, La Settimana Enigmistica. La telespettatrice che riesce a prendere la linea, tale Maria Grazia dalla provincia di Viterbo, dopo una serie di risposte corrette, seleziona il numero di una casella completamente vuota. Vista la decisione bizzarra e sconveniente, Enrica Bonaccorti, rivolgendosi alla concorrente, dice ad alta voce: “Tutta vuota l’hai scelta?”, ricevendo come replica dalla giocatrice viterbese “eternit”, cioè la parola da indovinare. A quel punto la conduttrice interrompe il gioco: non ha nemmeno posto la domanda a Maria Grazia, quindi è palese che la risposta corretta le sia stata suggerita da qualcuno, molto probabilmente – ipotizza senza mezzi termini in diretta nazionale la Bonaccorti – un membro dello staff di Non è la Rai. Per il pubblico quella buffa parentesi mediatica si conclude lì, ma fuori dagli studi televisivi la storiaccia prosegue in tribunale. Davanti al giudice la signora Maria Grazia si dichiara veggente e afferma candidamente di essere riuscita a rispondere al buio grazie alle sue doti paranormali. Incredibile ma vero: il giudice dà ragione alla concorrente del Cruciverbone e l’iter giudiziario si conclude così, davanti agli occhi di una incredula Enrica Bonaccorti.
La storia di Non è la Rai finisce nel 1995. Per la quarta ed ultima edizione i dirigenti della Fininvest, probabilmente convinti che il prodotto abbia raggiunto il suo apice e che possa quindi essere destinato solo ad un rapido declino, propongono a Boncompagni un contratto grazie al quale i vertici della Rete hanno la possibilità di sopprimere il programma in qualunque momento. Gianni, indispettito, per tutta risposta rompe il giocattolo, mettendo in piedi una stagione scialba, tra le altre cose inserendo nel cast delle bambine di 11-12 anni, poi va via sbattendo la porta e torna a lavorare in Rai.
Nel 1996 un terremoto scuote le fondamenta del mondo dello spettacolo italiano. Il 18 giugno, infatti, Gigi Sabani, showman/presentatore molto amato, finisce agli arresti domiciliari, perché una ragazza denuncia di avere avuto degli incontri con lui nell’ambito di un presunto giro di ricatti sessuali che, sempre secondo la testimone, sfocerebbe addirittura nell’induzione alla prostituzione. L’11 luglio la stessa sorte tocca ad un collega/amico di Sabani, Valerio Merola. L’inchiesta poco dopo travolge anche Gianni Boncompagni, al quale viene notificato un avviso di garanzia. Il tutto si conclude nel febbraio 1997, quando la procura archivia il caso, ritenendo che non ci siano nemmeno gli elementi basilari per imbastire un processo.
Questa vicissitudine, nonostante termini con un nulla di fatto, probabilmente getta ulteriori ombre sulla già ampiamente chiacchierata figura di Boncompagni, che nella sua vita lavorativa post-Non è la Rai non riesce più a replicare gli enormi successi raggiunti più volte nel corso della sua pluridecennale carriera. Ottiene dei discreti ascolti con Macao nel 1997, per la cui conduzione sceglie Alba Parietti, scoperta proprio da lui qualche lustro prima. Successivamente arranca tra Rai, LA7 e Mediaset, senza portare a casa risultati di particolare prestigio, escludendo forse l’ultima edizione della storica trasmissione Carramba! Che fortuna, presentata dalla certezza Raffaella Carrà, una delle muse più datate del regista, nonché sua compagna di vita per oltre dieci anni.
Gianni Boncompagni è morto il 16 aprile del 2017, dopo una lunga malattia. Di lui si è detto tutto ed il contrario di tutto, ma è d’obbligo mettere in evidenza alcuni dati oggettivi sul suo operato mediatico. Dopo una serie di idee vincenti, l’iconico autore toscano raggiunse il suo apice proprio con Non è la Rai: un successo sia di tipo economico che – forse soprattutto – culturale. Con quella trasmissione, infatti, Boncompagni gettò le basi dell’attuale mood italiano, cambiando per sempre la cultura pop del nostro Paese, sdoganando concetti che fino ad allora erano semplicemente inimmaginabili: con Non è la Rai il regista normalizzò la figura, oggi assolutamente ordinaria, dei personaggi televisivi in quanto tali, cioè soggetti che mediaticamente parlando esistono semplicemente perché posizionati dietro ad uno schermo, pur non possedendo doti artistiche rilevanti. Nel contempo anticipò diversi aspetti – oggi sostanzialmente normalizzati – degli attuali social network: il nulla elevato ad arte che intrattiene chiunque (i reels di Instagram e i balletti di TikTok, tanto per citare i primi esempi che mi vengono in mente), l’esteriorità come unico Dio, la caciara trasformata in qualità che genera denaro sonante, il disvalore che diventa valore e viceversa. Dal punto di vista commerciale, quello di Gianni Boncompagni è stato semplicemente un capolavoro assoluto. Considerando l’aspetto etico della questione, invece, probabilmente ci sarebbe ben altro da dire, ma riguardo questo punto forse potrebbe risultare più saggio chiedere il parere di Vasco Rossi. (Il Messicano)














Ottimo articolo come sempre nonché ulteriore dimostrazione di come Metal Skunk sia tre spanne sopra rispetto a molti altri siti metal grazie alla sua originalità. Aggiungerei solo una piccola nota: Ambra Angiolini ha poi avuto un programma tutto suo, “Generazione X”, e ricordo che in una puntata ospitò Carlo Climati, giornalista e scrittore che negli anni ’90 condusse una crociata contro il metal e il rock in generale. Non pago, nel suo libro “Inchiesta sul rock satanico”, Climati se la prendeva anche con artisti lontani dal metal, come Madonna e Zucchero. Se non ricordo male, ci fu anche uno scambio epistolare tra lui e il grande Luca Signorelli (sempre sia lodato) nella rubrica Hammermail di Metal Hammer. Un po’ mi mancano quegli anni, quando il metal e il rock suscitavano sdegno e ribrezzo tra gli amici di Gesù.
For further info:
https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Climati
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Mamma mia che commentone. Metal Skunk 3 spanne sopra, e tanti suoi utenti pure.
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Avevo completamente rimosso sia Generazione X (conosco di nome la trasmissione, ma non penso di averla mai guardata) che Carlo Climati, un personaggio notevolissimo sparito da anni
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Se non ricordo male Climati era quello che sostenne che “il chitarrista degli AC/DC si era ucciso pugnalandosi con la propria chitarra” prendendo come reale la copertina di “If You Want Blood”.
E in TV lo spacciavano pure per un “esperto”.
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“impalato sulla sua chitarra”, ma non sono sicuro fosse Climati, lo lessi su una rivistaccia scandalistica e pecoreccia ad argomento “occultismo”
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Mi permetto di correggerti, Bargonaz: quello era Corrado Balducci. Ricordo che, durante una trasmissione di Videomusic, il mitico Attilio Grilloni gli spiegò che era “tecnicamente impossibile”.
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C’era una ragazza di colore che era di una bellezza terrificante… quando era in piscina levava le musiche… come si chiamava cavolo
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Letizia Sedrick Boupkouele.
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Bellissimo articolo sul periodo secondo me più buio della TV e della pop culture italiana. C’era un articolo del sempre ottimo Farabegoli che forniva uno sguardo storico alla vicenda, lo consiglio a chi non l’ha letto, aveva una chiusa eccellente:
“A conti fatti la sua interpretazione del berlusconismo aveva un sapore quasi verista: ti sedevi e lo guardavi per quel che era e diocristo non c’era proprio un cazzo da vedere.”
L’articolo è questo:
https://bastonate.wordpress.com/2017/04/19/tappartengo-100-canzoni-italiane/
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questo articolo è mirabile! Complimenti
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Lolita show, corretto. Dice tutto.
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Il paradosso di tutto questo carrozzone è che la figura di Ambra Angiolini sia diventata una bandiera per femministe e movimento lgbtq+(aggiungere altre lettere a cazzo). Non c’era djset trash nei centri sociali dei primi anni 2000 che non proponesse quella merda di canzone.
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Un genio. Perché sapeva fiutare l’aria e le sue trasmissioni vengono ricordate a distanza di decenni. Se avete genitori settantenni chiedete loro se si ricordano di Alto gradimento. E a noi della generazione X se ricordiamo Non è la Rai. Quanti potranno dire la stessa cosa tra quarant’anni dei programmi trasmessi oggi?
Poi boh, per il resto se è vero che stava in un harem di lolite dovrei indignarmi ma provo anche un po’ di sana invidia.
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Articolo molto bello, complimenti!
Ecco una domanda che, a un certo punto, anche in chi diprezzava la trasmissione, non può non affacciarsi: qual era la vostra preferita?
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Alessia Merz, senza alcun’ombra di dubbio.
Per la cronaca: è stata protagonista di “Jolly Blu”, film di Stefano Salvati sugli 883. Film trash alla decima potenza alla pari con altre punte di diamante della cinematografia italiana come Alex l’Ariete, Panarea e Mutande Pazze.
Fun fact: la prima scelta fu una certa Angelina Jolie, che però venne scartata perché (cit.) “troppo sensuale”.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Jolly_Blu
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Antonella Elia, pur non essendo mai stata il mio tipo e in presenza di molte altre ben più belle mi ha sempre saputo emozionare.
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Cristina 40 l’avrei piegata di altri 140 gradi, non so se mi spiego.
Miriana Trevisan era la fidanzatina ideale, invece.
Ma se ti dovessi dire chi è invecchiata meglio ti direi Nicole Grimaudo.
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Nel periodo i cui i Pantera facevano uscire grandi dischi,non era true neanche dare una mezza sbirciata a questa robaccia televisiva.
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Quindi i peli facciali colorati di Dimebag Darrell erano meglio delle grazie di Miriana Trevisan? Ai posteri l’ardua sentenza
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hai ragione, a quelle sgallettate preferivo Vanessa Warwick.
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Ricordo in maniera piuttosto vivida di averne guardato qualche puntata delle ultime stagioni, in fondo quando andava in onda avevo tra i 10 e i 14 anni…
Qualche anno fa ne beccai delle repliche trasmesse al primo mattino su un canale mediaset del digitale terrestre, al momento del quiz da casa al telefono c’era un ragazzo che si stava palesemente masturbando e a stento conteneva il fiatone ed i gemiti, ma Ambra non se ne accorse o fece finta di nulla.
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Molto probabilmente Boncompagni suggerì ad Ambra di far finta niente, visto che il pubblico del programma era composto per buona parte da soggetti di quel tipo
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menomale che poi è uscito internet ed addio televisione
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Al tempo ragazzi, rimbecilliti dal testosterone, rovinavano antiche mura a ridosso dei studi televisivi di questa specie di trasmissione.Bastava questo per odiare il frutto di un delirio di un uomo che gli piacevano le ragazzine.Anni dopo la Trevisan e la Quaranta erano due ragazze da sogno per me e non sapevo che avessero partecipato a quella mondezza.
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Oh beh…il paradiso dei pippaioli fu quel programma ed io ero tra quelli, visto che all’epoca avevo l’età di quelle ragazzine. Geniale come marketing concordo, ma deprecabile sotto ogni altro punto di vista, se analizziamo la cosa non più attraverso l’ottica ormonale degli adolescenti. L’unica caratteristica era essere carine ed apparire, i balli da tarantolate erano la massima espressione di talento e anche una nullità come la Angiolini furba e sgamata riuscì ad emergere, e con lei tante altre. Alcune andarono a Striscia la notizia, altre fecero le attrici in agghiaccianti film estivi ed altre dopo altalenanti fortune si misero con i vari maschi Alpha dell’epoca (calciatori attori ecc…). La maggioranza probabilmente dopo aver presenziato a qualche ospitata in in discoteca e aver cercato di restare più o meno famose sono ritornate nell’anonimato. Concludo dicendo che tutti i nostalgici di quel periodo dovrebbero ammettere che l’inizio dei ’90 fu anche l’inizio della fine a livello di ideali e spinta creativa della società. Da li a poco sarebbero arrivati gli 883 a condire con la loro musica di merda il declino di quegli anni, ed ora siamo messi così male che c’è persino gente che li ricorda con nostalgia e li rivaluta, due pirla di cui uno sapeva solo dimenarsi senza soluzione di continuità e quell’altro ammorbava l’etere con le sue lagne cantate con quella voce di merda.
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Grande!
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La trasmissione più demente e rincoglionente degli anni 90, forse solo la Buona Domenica condotta da Costanzo ci si avvicinava.
Ovviemente poi arrivò anche di peggio, ad esempio Mistero di quel pagliaccio di Ruggeri.
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Però, io ricordo la mitica “Mister O”, con un giovanissimo Cecchi Paone.
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Porco Dio , cosa Siete andati a riesumare ! All’epoca della trasmissione avevo cominciato le superiori e mi stavo addentro nel mondo del metallo , per me questa era IMMONDIZIA allo stato puro.!!! Non voglio dire che programmi del genere abbiano fatto nascere la mia Misantropia ma hanno sicuramente contribuito a rafforzarla , tolto il fattore ormonale ( alcune di quelle ragazzine starebbero diventate delle gran belle donne , tra l’altro ho riconosciuto Lucia Ocone!!!) guardavo ste tizie e pensavo che forse i Motley Crue non avevano tutti i torti a considerare certe donne delle mere svuotapalle . Ambra è veramente il nulla elevato alla potenza , una che non sa : cantare , ballare , recitare , però fa tutte e tre le cose ( Luca Argentero è il suo corrispettivo maschile , uscito dal GF).
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merda pura pero’ quante seghe
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