L’inverno sta arrivando, ma gli ELDAMAR sono già qui
Il black atmosferico è probabilmente la musica che mi viene di sentire di più negli ultimi anni. Il motivo principale è che viene incontro alle mie esigenze: avendo meno opportunità di ascoltare con attenzione un disco in cuffia, mi ritrovo a sentire musica di sottofondo, mentre scrivo o faccio altro. E questo sottogenere del black è perfetto, così come i suoi cuginetti di primo o secondo grado, il dungeon synth e certo neofolk. È per questo che in questo periodo mi sono affezionato così tanto ad alcuni gruppi che magari prima avrei confuso tra loro, non essendo appunto musica che cattura più di tanto la tua attenzione.
In questo senso, il gruppo a cui mi sono affezionato di più sono gli Eldamar. Gruppo per modo di dire, perché è tutta un’emanazione del solo Mathias Hemmingby, norvegese, che ai tempi del debutto The Force of the Ancient Land aveva appena vent’anni, e che quindi ora, all’uscita di questo terzo album Astral Journeys pt. I: Creation, ne ha ventotto. Musicalmente non sono mai stati originali, quantomeno dal punto di vista strutturale, essendo come molti dei gruppi del genere ispirati pesantemente da Filosofem di Burzum, specie attraverso la prospettiva dei Lustre, ma avevano almeno un elemento che li differenziava da tutti gli altri: una voce femminile operistica sintetica, cioè suonata con la tastiera. Inoltre sono sempre stati un gruppo strumentale, o meglio senza testi, perché gli inserti vocali si limitano a qualche urlo in screaming di Mathias o alla suddetta voce gorgheggiante sintetica. È tutto abbastanza grezzo, come ci si aspetta da un progetto solista di black atmosferico, ma sempre molto nitido e chiaro, senza essere plasticoso. Per capire la loro poetica basta ascoltare Spirit of the North, l’apertura del debutto, perché è già tutto lì dentro.
Hemmingby non faceva uscire niente dal 2017, cioè dal secondo album A Dark Forgotten Past. Da allora solo una raccolta di vecchio materiale e un concerto in streaming durante la pandemia, che ha confermato tutti gli stereotipi secondo cui nella maggioranza dei casi questa musica non è proprio adatta ad essere suonata dal vivo. Ora il terzo disco, e molte cose sono cambiate. In primis manca totalmente quella voce femminile sintetica, che era il principale, forse l’unico, loro marchio di fabbrica. Inoltre la musica si è fatta più varia, ricercando l’evocatività con più mezzi invece che insistere sempre con lo stesso. È chiaro il bivio di fronte al quale si è trovato Hemmingby: a una parte il rischio era quello di snaturare tutto, dall’altra quello di ripetere per tre dischi di fila una formula forse troppo limitata. Ha voluto rischiare e gli è andata benissimo: fatto salvo un primo momento di straniamento, col passare degli ascolti Astral Journeys pt. I: Creation riesce a centrare l’obiettivo, e intorno a noi calano le stesse atmosfere malinconiche e rarefatte dei dischi precedenti. Probabilmente, a conti fatti, questo terzo album è anche migliore del secondo. Peccato per il doppio senso sulla copertina, abbastanza fuori luogo dato che, se al mondo c’è un genere antifiga senza possibilità di redenzione, è proprio il black atmosferico fatto dai ragazzini solitari nella propria cameretta. Quando le temperature inizieranno a calare sapete già cosa ascoltare. (barg)



Me li ri-segno.
Sono solo io che nella mia ignoranza sento i Pixies qua e là?
O addirittura certi passaggi popposi alla deafheaven?
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Non proprio Pixies e Deafheaven, però con questo disco hanno introdotto svariati elementi “post”, diciamo così
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“se al mondo c’è un genere antifiga senza possibilità di redenzione, è proprio il black atmosferico fatto dai ragazzini solitari nella propria cameretta.”.
L’AOR è sovrano incontrastato in questa categoria.
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