Avere vent’anni: Galgeras / Göll / Vazal – Rage, Hate and Chaos

Ah, quei sani, (ormai) vecchi, cari CD di underground totale nei quali si potevano scoprire realtà semisconosciute che uscivano per etichettine ancora più sconosciute in versioni strettamente limitate (nel caso in esame 333 copie), e sui quali si mettevano sopra le mani o per puro caso oppure perché si frequentava assiduamente l’underground e si sapeva in che modo procurarsene uno. A dare luce a quest’opera, il cui titolo per esteso è Rage, Hate and Chaos, fu la Sadolust records olandese, oggi defunta, ma che in passato ha potuto contare nel roster, oltre ai tre protagonisti di questo split, gente come Akitsa, Thesyre, Morte Incandescente, Corpus Christii, Nidsang, Funeral Winds eccetera. Insomma gente che di musica se ne intendeva, anche se nei primi tempi avevano minori aspettative e proponevano band di scarsa notorietà, nella malcelata speranza di azzeccare il cavallo vincente e tirare su qualche soldino. Ecco allora un CD che racchiude tre progetti in un colpo solo, tutti olandesi e tutti votati al black metal più brutale e violento.

Dei tre, i più promettenti erano i Galgeras, aventi all’attivo già tre demo, i due più recenti dei quali già ristampati in CD l’anno prima. Il loro black furioso, greve, pesante – in questa occasione privo del basso –  registrato con suoni spartani che ne accentuano genuinità e violenza, si spinse fino a un disco d’esordio prima di sparire nell’aere come una folata di vento. Nulla che reinventasse la ruota, come si suol dire, ma black metal concepito con tutti i non-sacri crismi e proposto in modo convincente ed appassionato. Riff gustosi, interpretati anche con una certa personalità.

Il black proposto dai Göll è più ragionato, meno tirato ad eccessi parossistici, ma non è una passeggiata neanche il loro: è più tecnico e coeso e meno sfasciacarrozze, oltretutto si concedono due interludi elettro-ambient (su quattro brani) che alleggeriscono non solo la loro prova ma l’intero disco. Certo che quando si mettono a picchiare se la giocano con gente come i Funeral Winds, ossia con gente che della tortura sonora ha fatto un vessillo. Sparirono dopo il 2004 per ricomparire in uno split con i Botulistum nove anni dopo, in seguito un percorso composto da una compilation con vecchio materiale e un altro split (risibilmente limitato a 30 copie) li ha portati al debutto nel 2021. Per ora reperibile solo in cassetta, ovviamente… della quale esistono 100 pezzi; va beh, tu chiamala se vuoi attitudine.

I Vazal riprendono il discorso dei Galgeras con il loro raw black metal asciutto e minimale, in parte debitore dei primissimi Bathory ed Hellhammer spinti un po’ oltre nella scala graduata della violenza, specialmente nel pezzo che chiude tutto lo split, Ruler of Chaos Possess Me, il top di tutto quanto il disco nonché uno dei pochi che potrete ascoltare online, visto che, almeno nei canali ufficiali, dell’intero album non si trova traccia; bisogna avere pazienza a cercarlo perché (a me perlomeno) su Youtube salta fuori una volta sì e dieci no. Dei tre gruppi qui presenti sono gli unici ad aver raggiunto quota due a livello full: Age of Chaos nel 2005, cui seguì una lunghissima pausa; e Obsessed del 2022, quest’ultimo preceduto da due demo usciti a metà anni Dieci, chiamati erroneamente demo forse per il fatto di essere usciti solo in cassetta per mano di etichette microscopiche, ma sostanzialmente due ulteriori full album che fanno dei Vazal la band più prolifica del lotto.

Nel complesso, se vi appassiona l’underground, Rage, Hate and Chaos è un piccolo ma luminoso brillante da riscoprire, anche perché si trova ancora a prezzi non proibitivi (in certi casi) su Discogs. Una piccola digressione: a vent’anni di distanza dalla loro pubblicazione abbiamo ancora facoltà di scrivere di dischi di questo tipo, ma è qualcosa che non durerà ancora tanto; un full contenente tre gruppi congregati in un solo CD è sempre sicuramente costato meno che, per dire, tre uscite in sette pollici separate che sarebbero state ancora più di nicchia e verosimilmente trascurate dalla più parte dei blackster, che a quell’epoca di edizioni fisiche ne compravano ancora parecchie. A parità di minutaggio, il risparmio tra l’acquisto di un compact invece di tre vinili è considerevole. Di conseguenza molto più interessante, sia dal punto di vista artistico che – perché no? – economico. Bandcamp e derivati erano di là da venire, e accordarsi per un’uscita multipla veniva considerato vantaggioso per tutti: costi minori, appetibilità anche per un possibile valore collezionistico dell’oggetto, pubblico potenzialmente maggiore per tutti casomai uno dei progetti coinvolti avesse “sfondato”.

Pensate a quant’è cambiato il mondo in vent’anni appena, al giorno d’oggi i 3-way o i 4-way split sono caduti del tutto in disuso, o, se escono, sono rarissimi e spesso unicamente in digitale. Sono diventati anomali persino gli split a due (Trhä a parte, ma quel tizio non fa testo) e questo mi porta a ragionare sul fatto che il mondo, oggi, a qualunque livello, è diventato individualistico ai limiti dell’intransigenza. Nessuno è un amico, nessuno è un collega, mors tua vita mea. Scordatevi un nuovo Emperor/Enslaved, ragazzi, appartiene ad un passato estinto. (Griffar)

3 commenti

  • Avatar di Fanta

    Condivido la tua riflessione sull’esasperazione individualista iper-moderna. Le one-man band da cameretta e da scheda audio con i contro-cazzi impazzano.

    Mi dai lo spunto per rievocare un episodio che mi ha fatto pensare, un po’ di tempo fa.

    Credo di aver già scritto qua sopra che ho una collezione di cd piuttosto importante, con roba anche molto rara, eccetera. Ho fatto una mezza dozzina di traslochi negli ultimi quindici anni, prima di riuscire a trovare una stabilità abitativa. Come ad alcuni di voi, mi è capitato di stipare dischi in scatoloni, dislocati a vari indirizzi urbani, in attesa di costruire uno spazio adeguato a raccogliere e contenere tutto.

    Ma la sindrome di Pina Fantozzi, con il pane del nipote del fornaio, è tutt’ora in corso. Il 30% della roba acquistata nel corso di tre decadi e mezza è esposta. Il resto lo tengo dove riesco, anche dentro mobili destinabili ad altro. E quando scrivo “ad altro” mi riferisco a spazi funzionali a ospitare utensili, piatti, tovaglie, cazzi vari che le persone normali tendono a conservare perché hanno una funzione domestica. Un’utilità sociale.

    Tempo fa accade una semi-tragedia involontaria (ma su questo non ci giurerei). Mia moglie mette una tanica di acqua distillata per stirare (ma stirare cosa, che non ha mai preso in mano un fottutissimo ferro? Cristo. E io non ricordo nemmeno come sono fatti…) davanti alla fila di cd da 60/70 pezzi circa che ho ficcato in un mobile. Premetto: questa fila conteneva (coniugo al passato, già) tra gli altri: Throne of Ahaz (primo disco, prima stampa su No Fashion), split Emperor/Enslaved (prima stampa), Hades (…Again shall be, prima stampa, ovvio), God Macabre e tanta altra roba oramai introvabile o reperibile a prezzi da infarto.

    Una domenica qualunque, mentre sto con mio figlio piccolo, mi viene voglia di mettere su i Throne of Ahaz. Apro lo sportello con la serenità e l’allegria di un Giovanni Muciaccia. Ma un primo dato fenomenico sollecita una preoccupante variazione del tono dell’umore. La tanica è in posizione orizzontale.

    L’arresto cardiaco arriva subito dopo, quando mi rendo conto che il tappo è avvitato a cazzo di cane. L’acqua è dappertutto. Tiro fuori i CD mentre pezzi di firmamento cadono giù, dio è morto, la fine del mondo non è un cazzo a confronto a come mi sento. Sono il farfugliare esistenzialista di Gandalf, mentre prossimo alla morte giace accanto al Balrog. Ma mio figlio di poco più di due anni, al tempo, mi guarda con i suoi occhi bovini, innocenti, semi-sorridenti almeno fino a che non coglie le croci rovesciate e marchiate a fuoco che mi incendiano lo sguardo. Io sono la furia del Balrog e di Kaiser Soze che vendica la famiglia uccisa.

    “Papà piange”, dice mio figlio, cogliendo perfettamente quel che sto cercando di nascondere. E inizio a provare vergogna. Intanto fantastico di uccidere mia moglie. Sono indeciso sul tagliarle la gola rapidamente, senza processo, come a Murron in Braveheart; oppure immolarla a un pantheon di demoni babilonesi. Ma quando torna, mezz’ora più tardi, mi escono a stento parole confuse. Tiepide accuse. Mi sento un coglione, perché lei non capisce la portata tragica del mio vissuto. Hai quasi cinquant’anni, dio laido, mi viene alla mente.

    Riesco a salvare molto, con phon e pazienza certosina. Ma non tutto. Alcuni booklet e layout posteriori sono irrimediabilmente incartapecoriti. Altri sono ridotti a un miscuglio di vomito cartaceo.

    Quando io più non sarò… l’ultima degli Jedi sarai tu.

    Che dici amore? Stai tranquillo. Sono qui.

    La collezione di dis…cof, cooofff.

    Eh? Non capisco.

    I dischi…la collezz…vale…

    Non capisco, amore.

    Vai su discogs e vendi la collezioooo…cof, cof, coffffff.

    Me ne sto andando, lo so. Lo sento. Ma i dischi valgono….valgono sessantamil…cof, cof.

    Come se una cristiana normale avesse tempo di mettersi a vendere una cazzo di collezione di dischi “a babbo morto”.

    Insomma non so se è chiaro. Chi è più individualista? Chi non fa più split o chi continua ad accumulare dischi del cazzo? E continuo, eh. Sia chiaro.

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  • Avatar di ignis

    Molto interessante la riflessione sull’individualismo che ha distrutto l’idea e la pratica dello split album.

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  • Avatar di Fanta

    Ieri sera, mentre facevo la cacca, ho scritto di getto un poema di cazzate. Ma ultimamente ho qualche difficoltà con il postare attraverso il telefono. Non so se dipende da WordPress o da me.

    Ma conto di vederlo pubblicato, così, flambè, tipo tra una settimana.

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