Al Pacino e Alberto Sordi ci spiegano Chiara Ferragni

Chiara Ferragni è senza ombra di dubbio uno dei personaggi più discussi del momento. Le varie vicissitudini Pandoro Balocco / uova di Pasqua / beneficenza / Codacons / video di scuse in tuta con errore di comunicazione annesso hanno quasi monopolizzato i media, così come è avvenuto per le conseguenze del caso: la fine del suo matrimonio social con Fedez, l’indagine in corso, eccetera. Queste vicende hanno messo in luce una questione, quella degli influencer: gli italiani più attempati, cioè quelli fuori target – me compreso – non capiscono cosa facciano di preciso queste nuove figure per campare. I quotidiani mostrano spesso il lusso (o presunto tale) in cui vivono questi soggetti, ma non spiegano mai con dovizia di particolari in cosa consista il loro mestiere. Per tentare di capirlo penso possa essere utile, tanto per iniziare, quantomeno cercare di sviscerare l’esistenza della più famosa (e discussa) influencer nostrana.

Io so poco di Chiara Ferragni, ma Google è mio amico. Cremonese, classe 1987, comincia a farsi conoscere sul web circa quindici anni fa con un blog, The Blonde Salad, in cui parla di moda. Il suddetto blog in pochissimo tempo diventa un vero e proprio punto di riferimento e la Nostra, all’epoca una semplice ragazza della porta accanto/studentessa della Bocconi, si tramuta in una megainfluencer fashion lifestyle guru o qualcosa del genere. Il suo status cresce ulteriormente quando, nel 2018, sposa il famoso rapper Fedez. Il loro matrimonio, figli compresi, si evolve quasi subito in una sorta di spettacolo social che desta, com’è logico che sia, reazioni contrastanti: ammirazione, invidia sociale, rabbia, sdegno e chi più ne ha più ne metta. Tutto, insomma, tranne un cosa: l’indifferenza. Chiara Ferragni e Fedez, in parole povere, diventano la coppia più famosa e soprattutto chiacchierata d’Italia, che genera milioni di euro anche quando respira. Dopo il già citato scandalo, il sistema mainstream scarica la notissima influencer lombarda, fino a quel momento incensata e definita un po’ da chiunque un vero e proprio modello, anche e soprattutto morale. In men che non si dica tutte le persone che fino al giorno prima scrivevano giornalmente e a caratteri cubitali che la Ferragni fosse la miglior persona della galassia cominciano a lanciarle secchiate di letame in faccia (paragoni con Wanna Marchi compresi), rincarando la dose dopo la separazione da suo marito, il quale, manco a dirlo, riceve a sua volta un discreta quantità di fango sulla testa. Il gossip martellante sui presunti flirt post-separazione dei due non dà tregua nemmeno per un minuto.

Le reazioni della rete sono contrastanti. Le seguaci irriducibili di Chiara sono convinte che lei sia una bravissima madre di famiglia vittima dell’invidia (un vero e proprio mantra di quest’epoca), mentre altre persone, ex follower compresi, si accodano alla narrazione mediatica attuale.

La Nostra, inoltre, è parte di una delle più antiche famiglia di Cremona, stracolma di notabili di vario tipo, tra i quali seguaci dell’Illuminismo, carbonari e patrioti, come i fratelli Francesco e Gaetano (gente che dava del tu a Giuseppe Mazzini, per intenderci), per citarne solo alcuni tra i tanti. La notissima fashion blogger è una discendente diretta di Odoardo.

Com’è evidente, nemmeno le note biografiche di Chiara Ferragni aiutano a capire cosa facciano gli influencer per riempirsi le tasche. Eraclito diceva che chi non si aspetta l’inaspettato non scoprirà mai la verità e aveva ragione: qualcuno ci aveva spiegato chi fossero e cosa facessero questi personaggi ancor prima sia del loro avvento che della nascita dei social network: Alberto Sordi lo ha fatto addirittura nel 1954 e decenni dopo, precisamente nel 2002, Al Pacino ha completato l’opera. Scopriamo insieme le profezie di questi due giganti del cinema mondiale.

Accadde al commissariato (1954, regia di Giorgio Simonelli). Alberto Tadini (Alberto Sordi) esce di casa di buon mattino indossando una vistosa gonna e attira lo sguardo della gente salutando chiunque incroci il suo passo, per giunta mentre marcia quasi come un militare. Il risultato è scontato: non solo viene notato praticamente da tutti, ma ad un tratto, gradualmente, decine di persone cominciano a seguirlo: le prime lo fanno incuriosite dalla stranezza del personaggio, mentre le successive si accodano innanzitutto per adeguarsi alla massa in maniera acritica/irrazionale e poi perché, riflettendo, pensano che se così tanti individui si dirigono spediti verso la stessa direzione sicuramente sarà conveniente fare altrettanto. Quando Tadini si rende conto di aver raccolto dietro di sé un alto numero di follower, raggiunge il centro di Piazza San Salvatore in Lauro, si posiziona ritto su uno sgabello pieghevole e, rivolgendosi al pubblico che ha sapientemente attirato, declama a gran voce e con tono teatrale:

“Cittadini! Voi che mi avete seguito di vostra spontanea volontà! Voi, cittadini, ben sapete in quali tempi ci troviamo! Tempi in cui tutto si può dire e tutto si può fare! Tempi in cui non si sa che dire e non si sa che fare! Tempi in cui l’intrepido aviatore diventa donna e la donna diventa caporale di giornata. Tempi in cui tutto è appeso a un filo come un palloncino. Questo palloncino si chiama incertezza. Questi sono i nostri tempi, oh cittadini! Tempi incerti in cui da un momento all’altro può arrivare il fatto nuovo sotto forma di una bomba! Bubum! Sotto forma di un marziano! Aaargh! Sotto forma di un essere informe. Attaccati perciò, oh cittadino, all’attimo presente! Attaccati ai tuoi piccoli momenti di libertà e di riposo… Alle tue illusioni che salgono fino al soffitto della tua dolce casa come variopinte bolle di sapone. Cittadino! Non trascurare le tue bolle di sapone!”

Terminato il monologo, Alberto tira fuori dalla sua valigetta delle bottigliette per fare le bolle di sapone, un banalissimo giochino per bambini, e le offre agli astanti al prezzo di 100 lire cadauna. Mentre Tadini è impegnato a mostrare il suo prodotto alla folla, però, sopraggiunge un poliziotto che interrompe la pantomima e porta via l’istrionico mercante improvvisato. Di fronte al commissario, interpretato da Nino Taranto, al venditore di bolle vengono contestati degli illeciti: commercio in luogo non autorizzato, oltraggio al pudore e perturbazione dell’ordine pubblico. Tadini non ci sta e allestisce, da venditore/commediante nato quale è, un’altra messinscena. Inizialmente, per darsi credibilità, dice al commissario di essere un nobile decaduto e un eroe della Resistenza, vittima dell’invidia sociale del proletario agente della forza pubblica che ha interrotto il suo lavoro. Il dirigente della Polizia di Stato, indispettito, rimette al suo posto Alberto e gli contesta con veemenza anche l’indecoroso abbigliamento. Tadini, da par suo, prosegue la sua corsa spiegando – sempre con il solito fare melodrammatico – che per sbarcare il lunario è costretto ad attuare quel bizzarro metodo di vendita, altrimenti non riuscirebbe a crearsi una clientela. Mentre i toni della discussione si alzano vertiginosamente, Alberto ha un’idea geniale. Dopo aver notato un bambino adagiato sul divano dell’ufficio (l’infante abbandonato è stato portato lì quel giorno stesso e il commissario gli si è affezionato al punto da valutare la possibilità di adottarlo), tira fuori una delle sue bottigliette e comincia a formare delle bolle di sapone: Il piccolo rimane incantato e cerca di afferrarle, attirato sia dal giochino in sé che dalla gestualità di Tadini. È la scelta giusta: il commissario, intenerito dal banale gesto del commerciante di illusioni, dimentica le intemperanze e le malefatte di Alberto, affibbia tutte le colpe all’eccesso di zelo del suo sottoposto e lascia andare il pittoresco venditore senza conseguenze, limitandosi a consigliargli di vestirsi da uomo.

S1m0ne (2002, regia di Andrew Niccol). Viktor Taransky (Al Pacino) è un regista in declino. I suoi fallimenti lavorativi lo logorano sino ad arrivare a distruggergli anche la vita privata, ponendo fine al suo matrimonio. Sembra un tunnel senza uscita, ma un incontro cambia il suo destino: Hank, un informatico, gli regala un innovativo software, una sorta di intelligenza artificiale ante litteram, in grado di generare un essere umano virtuale. Viktor crea Simone, una giovane donna bellissima, e la fa diventare la protagonista di un suo film, fingendo che sia una ragazza in carne ed ossa: è l’unico a conoscere la verità sulla sua musa.

La pellicola sbanca il botteghino: pubblico e critica si innamorano dell’attrice bionda mozzafiato creata da Taransky. Tutti vogliono Simone e la acclamano, quindi il regista, da uomo dello spettacolo navigato, accontenta la platea e organizza delle interviste in collegamento via satellite, animando e doppiando in prima persona la sua creatura tramite il sofisticato programma. Questo copione si ripete ciclicamente per anni, facendo schizzare lo status di Simone verso vette impensabili, sino al paradosso più assurdo: l’attrice, pur non esistendo realmente, conquista telegiornali, trasmissioni televisive di ogni genere, importanti quotidiani e copertine, diventando una delle donne più ammirate, invidiate e desiderate del mondo. Nessuno ha mai visto la bella star del cinema dal vivo, ma nonostante ciò chiunque ne è ammaliato. La situazione, insomma, sfugge dalle mani di Viktor e fa nascere nel regista una sorta di risentimento nei confronti della sua figlia virtuale, che ben presto diventa un’ossessione: Simone deve morire.

Taransky cancella il software dal computer, poi raccoglie tutti gli hardware che contengono la sua attrice protagonista, li mette all’interno di un baule e se ne disfa, sia praticamente che simbolicamente, lanciando il tutto in mare aperto. In seguito comunica alla stampa la tragica scomparsa prematura di Simone e organizza un solenne funerale, al quale partecipano centinaia di persone, tv e stampa comprese. Viktor ignora un importante dettaglio: delle telecamere di videosorveglianza lo hanno ripreso mentre caricava il baule sulla sua barca. Le immagini giungono alla polizia e viene aperta un’indagine: il sospetto è che il regista abbia ucciso l’attrice e si sia in seguito liberato del suo corpo, rinchiuso all’interno del sopracitato baule. Le forze dell’ordine ottengono un mandato e interrompono il rito funebre poco prima della tumulazione: aprendo la bara gli agenti scoprono che al suo interno non c’è il cadavere della diva. Taransky viene arrestato con l’accusa di essere l’assassino di Simone.

Viktor ovviamente va in crisi, perché non sa come uscire da quella assurda situazione. Alla fine decide di seguire la via più semplice: confessare al mondo la verità, cioè che Simone in realtà non esiste e che, come logica conseguenza, lui non può essere il suo carnefice. Colpo di scena: nessuno gli crede. La donna più amata del globo non può essere un ologramma: la versione del regista è per tutti senza alcun dubbio un maldestro tentativo di scagionarsi. Taransky non ha più scampo.

L’unica persona che dà fiducia a Viktor è la sua giovanissima figlia. L’adolescente indaga e scopre che suo padre non mente: si ingegna e riesce a ripristinare il software e quindi a far rivivere Simone. A questo punto sarebbe semplice dimostrare la veridicità della versione che Taransky ha fornito agli investigatori, ma ciò che accade è ben diverso. Il regista ritiene più opportuno far rinascere la beniamina della gente, quindi racconta che in realtà la sua attrice, in accordo con lui, aveva deciso di fingere la sua morte per uscire dalle scene. L’epilogo è il migliore tra quelli possibili: Viktor e Simone rivelano di essere innamorati da tempo e si sposano, annunciando il ritiro in un’intervista congiunta, sempre grazie all’ausilio del portentoso programma, in collegamento dal loro nuovo nido d’amore, mentre cullano il loro figlio neonato.

E vissero tutti felici e contenti. (Il Messicano)

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