Ma non chiamatelo black metal: HERESIARCH – Edifice

Tolte due brevi partecipazioni ad altrettanti split qualche tempo addietro, tornano a distanza di ben sette anni dal loro primo full i deathster neozelandesi Heresiarch, quattro ragazzi con i coglioni fumanti sebbene l’unico componente originale della formazione nata nel 2008 sia il cantante NH (anche frontman dei Verberis e in passato dei Vesicant, mastodontico gruppo death/black). Oramai la formazione si è stabilizzata già dal 2018 e così, nel risultato finale, cioè questo elegantemente intitolato (parole della Iron Bonehead che patrocina l’uscita) Edifice, l’affiatamento dovuto a sei anni di lavoro insieme si percepisce appieno e con piacere. Sì, perché si sente lontano un chilometro che l’album è studiato fin nei più minimi dettagli, a partire da registrazione, produzione e cura negli arrangiamenti di livello superiore, degne di iperprofessionisti del calibro di Deicide e Morbid Angel, giusto per dare un’idea.

Meglio precisare: la musica dei neozelandesi è distantissima da quanto proposto oggi dalle imbolsite rock-superstar appena citate. È anni luce più fresca, motivata, è una batosta che ti agguanta le viscere e te le strappa fuori dal ventre a mani nude e senza anestesia. Dissento da chi li definisce death/black metal e da chi li accosta a progetti war black metal del tipo di Revenge, Conqueror o Black Witchery, anche perché, per come la vedo io, gli Heresiarch di black metal hanno sempre avuto pochissimo, e in quest’ultimo loro episodio discografico addirittura non ne rinvengo alcunché. Questo è death metal puro e semplice (semplice si fa molto per dire, ovviamente) suonato con una straordinaria ferocia e annichilente dalla prima all’ultima nota senza il minimo cedimento; death metal che a tratti si avventura nelle sperimentazioni tentate (con successo) dai Portal senza esserne soggiogato, ma che segue anche le tracce aperte in passato dagli Autopsy – pensiamo ai lick di chitarra di Noose Upon the Abyss straziati e contemporaneamente strazianti inseriti in un contesto di tempo lento e pesantissimo – oppure dagli Antediluvian. In particolare questi ultimi con gli Heresiarch hanno diversi punti di similitudine, a partire dall’altissima tensione che infondono puntualmente nei propri dischi anche grazie al sapiente uso di rallentamenti e schemi ritmici che non siano solo un monolitico martellare death/grind, il quale può andare bene per i gruppi brutal ma qui sarebbe fuori contesto.

Melodia ce n’è pochissima, eppure, nonostante l’elevatissimo grado di violenza di tutti i brani, nessuno escluso, non esiste un solo attimo di caos o frastuono fine a sé stesso nel corso di Edifice. Pur preferendo scrivere brani di durata medio-bassa, nella parte centrale del disco troviamo due brani lunghi, strutturalmente complicatissimi, una miriade di stacchi, variazioni, cambi di tempo, un susseguirsi mai caotico ma altamente distruttivo di situazioni tra loro contrastanti eppure rese ammirevolmente grazie alle notevolissime doti creative ed artistiche dei ragazzi neozelandesi. Sto abusando di superlativi? Non è casuale. Se li meritano tutti. Tides of Regression e A World Lit Only by Fire sono due gemme di puro death metal moderno: ascoltatele e ditemi dove diamine ci sentite del black metal. Nemmeno la brevissima (45 secondi) Mystic and Chaos, ai limiti del grindcore, risulta fuori contesto, visto che in scaletta è seguita dalla pur breve Hubris and Decline, tre minuti di doom death pesantissimo. Notate l’attenzione con la quale è stata disegnata la scaletta dei pezzi, queste sono sottigliezze da professionisti scafatissimi. È anche per questo che Edifice è così coinvolgente e riuscito, propone in 41 minuti e mezzo talmente tante ombre, sfumature che non si può evitare di ammirare con quanta abilità gli Heresiarch siano in grado di maneggiare uno stile musicale “pericoloso” come il death metal estremo. Chiude l’album il pezzo più lungo di tutti, Militate Pyrrhic Collapse, oltre sette minuti che condensano tutto quanto potuto ascoltare e lodare nel corso dell’ascolto del disco sin dal suo catastrofico inizio, l’apoteosi finale di un lavoro eccellente che si candida di diritto come pretendente allo scettro di miglior album death metal 2024. (Griffar)

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