Venga il Diluvio a trasformare tutto in rovina: MY SILENT WAKE – Lost in Memories, Lost in Grief

Qualche giorno fa, sulla chat Telegram di Metal Skunk, un lettore ha condiviso una foto scattata dal marciapiede dinanzi al Parco della Resistenza a Milano. Io, che ho abitato praticamente lì per ben tre lunghi anni, mica lo riconoscevo, dalla foto. Verdeggiante, florido, vivo, un po’ selvaggio. Verde carico sullo sfondo un cielo grigio carico di pioggia. Non lo riconoscevo perchè un periodo di pioggia così non lo avevo visto, in quei tre anni, e quindi nemmeno il parco in quelle condizioni di splendore. Chissà in fondo al parco, dall’altra parte, verso est, dove c’è quella splendida villa in stile Tudor, che spettacolo deve essere adesso. Ci passerei uscito dal lavoro, non mi costasse allungare tipo di un’altra ora il già lungo tragitto che mi riconduce a casa la sera. Quella casa è stupenda, forse l’unico edificio in tutta la città per cui, se qualcuno mi dicesse “tiè, quella è casa tua”, considererei di tornare a vivere a Milano. Con un bello scudo araldico sopra il camino e una spada appesa al muro sopra il tavolo di legno della cucina. Come la cucina di casa di Ronnie James Dio, vista una volta in un’intervista.

Insomma, ho sempre amato quel punto di Milano, quel punto lì e qualcun altro, non molti. Quello lì in particolare mi faceva fantasticare di vivere in una delle isole dell’arcipelago britannico, quando ci passavo. Pioggia, cielo uggioso, verde lussureggiante. Mi ci troverei a mio agio, a viverci, l’ho sempre pensato. Non sono un gran tipo da sole, io. Quindi questo maggio che pare il Diluvio Universale, vi dico, non è che mi dispiaccia, a parte che dal treno vedo campi trasformati in paludi e argini e terrapieno franati che mi fanno pensare a quanto potrebbe tenere il nostro modello di “governo” del territorio se il clima cambiasse di un pochino. Comunque, bando ai pensieri cupi, meglio crogiolarsi col clima uggioso. E con un disco uggioso. In questo momento ho su Lost in Memories, Lost in Grief dei My Silent Wake, in cui suona le tastiere e canta (seconda voce) quel Simon Bibby che abbiamo già conosciuto con l’esordio del suo progetto solista, Thy Listless Heart. Lo seguo sulle reti sociali dall’uscita di quel disco, Bibby, perché uno che ti offre certe emozioni è meglio tenerlo sott’occhio. Così sono arrivato a questo disco dei My Silent Wake, il cui lider maximo è però Ian Artkley, che li ha fondati e li porta avanti da vent’anni e ben dodici album. Oh, beh, scusate, non li conoscevo.

Quindi va da sé che non so mica contestualizzarvelo col resto della discografia dei Nostri. Che vengono da Weston-super-Mare, nord del Somerset. Praticamente inizio Cornovaglia, davanti al Galles. Io ci abiterei, credo. Sto fantasticando ancora, ma non pensate che lo faccia perché non saprei cosa dire del disco. O perché magari si tratta di un cattivo disco. Invece è buono più o meno tutto e alcuni episodi lo sono particolarmente. Alcuni brani sono davvero belli. Però direi che è ora è il caso di dare qualche coordinata musicale, dato che finora ho parlato quasi solo di geografia. Parliamo di un disco di doom death e gotico. Quindi eccellenza inglese, roba loro. Più melodico che death, comunque. Tanto melodico, pure se il growl c’è, lo fornisce Artkley stesso. Bibby invece ci mette il tono pulito. In controcanto ma non solo. Alcuni brani li conduce lui. Alcuni dei migliori. La migliore di tutte è il singolo Lavander Garden. Qui è davvero Bibby che fa la differenza, voce e tastiere. L’iniziale The Liar and the Fool, pure gagliarda, è invece più bilanciata tra i due poli e quindi forse biglietto da visita più veritiero. A me comunque questo disco piace. Penso che un fan del genere debba goderselo. Ma lo consiglio pure a chi spera che Milano gli svanisca davanti agli occhi facendosi progressivamente invece prati, alberi, edera e rovine gotiche. (Lorenzo Centini)

Lascia un commento