Il Dr. Magus colpisce ancora: NOCTURNUS AD – Unicursal

Finalmente tornano i Nocturnus, torna il Dr. Magus, tornano i Grandi Antichi e torna la migliore colonna sonora per la fantascienza horror che possiate immaginare. Non tutti hanno compreso l’importanza dei Nocturnus di Mike Browning, sia all’epoca dell’immenso The Key (1990) sia nell’attuale periodo del ritorno con Paradox (2019) e con l’ultimissimo Unicursal, che trattiamo oggi. Questo gruppo ha ampliato le frontiere del death metal negli anni Novanta, sotto tre punti di vista: strumentale, per il noto uso delle tastiere; compositivo, perché hanno intensificato l’uso di fraseggi sorprendenti e imprevedibili; infine tematico, per l’uso preponderante della fantascienza nei loro testi e nelle illustrazioni, per quanto sempre ibridata con l’horror e l’occulto.

Al di là di quanto possano piacere e quanto si possano comprendere i Nocturnus, che suonano una musica molto particolare, intricata e densa di note, va osservato che Unicursal fa parte di un percorso di rinascita e di riappropriazione di un primato che spetta a Mike Browning ed è una nuova testimonianza della sua visione artistica. Come ci si aspetta, il legame di Unicursal con The Key è sempre forte, così come era avvenuto anche nel precedente Paradox e come speriamo sarà sempre, perché i Nocturnus, ragazzi, non si limitano a fare un genere, i Nocturnus sono un genere, sono stati sempre un caso a parte: sono un suono, sono la voce ritmica e robotizzata di Mike Browning, sono il theremin (uno strumento da fantascienza anni Cinquanta), sono quei riff pazzeschi che accelerano e rallentano di continuo e ci fanno sentire sulle montagne russe, immersi in un’atmosfera di viaggi interstellari, trame occulte e scontri epici oltre le dimensioni conosciute. 

L’album è una fusione perfetta di tecnica, atmosfera e aggressività; è uno di quei dischi che vanno ascoltati con una certa dedizione, perché sono talmente ricchi di dettagli che è impossibile cogliere al primo passaggio. Si evidenzia molto il lato più progressive dei Nocturnus, i brani hanno tutti una struttura complessa e poco convenzionale, a partire dall’apertura di The Ascension Throne of Osiris, uno dei momenti più energici e veloci, lanciato su un iniziale blast beat e su una classica progressione thrash death, mentre nella seconda metà il riff portante è più melodico, ma anche marziale. Da segnalare poi Mesolithic, che si apre con un due minuti di percussioni tribali ed è il seguito della “saga preistorica”, iniziata con Neolithic su The Key e Paleolithic su Paradox, ed è raccontata da una voce narrante più che cantante. Come avvenne su The Key, la seconda metà dell’album è dedicata alla storia del cosiddetto Dr. Magus, il viaggiatore nello spazio-tempo che nel primo episodio uccise Cristo alla nascita per liberare il mondo dalle guerre di religione e che ora è impegnato in un viaggio attraverso i pianeti, qui identificati anche con i sefirot della tradizione ebraica. Mission Malkuth, Yesod, the Dark Side of the Moon, Hod, the Stellar Light e Netzach, the Fire of Victory sono gli episodi di questo concept fantascientifico e filosofico. Tutti ottimi brani, anche se Hod, the Stellar Light colpisce più degli altri per la struttura coinvolgente e il suo sviluppo drammatico. Nell’edizione in CD e in quella digitale c’è la bonus track Nocturnus Will Rise, che è il rifacimento della originaria Nocturnus, proveniente dal primo omonimo demo del 1987.

La produzione di Unicursal suona piuttosto analogica; è conservatrice, perché si ispira chiaramente agli anni Novanta, tanto è vero che è stata curata da Jarrett Pritchard, vecchio amico di Mike Browning, con incisione, missaggio e post-produzione al New Constellation Audio di Orlando. Qualcuno potrebbe forse trovarci qualche difetto tecnico, ma io la trovo filologicamente ineccepibile. Ed ora un’ultima cosa: se vi state chiedendo perché non ho mai scritto il nome Nocturnus completo di “AD”, sappiate che è perché i Nocturnus sono e potranno essere soltanto la creatura di Mike Browning, per cui dimenticatevi il pur buono Thresholds (1993), con la tristissima idea di farlo cantare a Dan Izzo, e dimenticatevi quello che è uscito fraudolentemente sotto questo nome fino al 2019. La storia di questo gruppo mai troppo celebrato comincia con The Key, uno dei dischi della mia vita e di quella di tanti altri, prosegue con Paradox e arriva oggi fino a Unicursal, con la speranza che non si fermi qui, ma che prosegua negli eoni a venire. (Stefano Mazza)

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