TUBE CULT FEST 2024 @Pescara, 27.04.2024
“Che bello suonare qua, porca troia!”, esclama il batterista degli AINU a metà concerto, continuando a picchiare come un maniscalco. All’inizio gli stacchi tra le parti più crude e quelle più ariose mi erano sembrati troppo bruschi. Poi i genovesi ingranano, la Cave Room dello Scumm si riempie e tutti scuotono il capo con il post rock in salsa sludge del trio, circondato da enormi pedaliere multicolori. Sale il trombonista degli Ottone Pesante, che si esibiranno più tardi, e il fiato conferisce ulteriore profondità a un suono che riesce a incarnare la dicotomia tra riffoni e tripponi (copyright Barg) che anima il Tube Cult, un festival a cui siamo talmente affezionati che, anche quando l’agenda lavorativa e familiare è particolarmente fitta, è obbligatorio farci sempre almeno un salto. Riesco quindi ad assistere solo a una serata, la seconda senza contare l’aperitivo di riscaldamento del giovedì. Ma l’importante è esserci sempre e comunque, Pescara è a manco tre ore, è impossibile voltare le spalle alla tradizione del racconto annuale del Tube Cult.

Mi sposto al contiguo Mamiwata per gli HOLY GIANT. Il terzetto bolognese suona uno stoner pesante e monolitico, basato sulla ripetizione del riffone e fedele al canone kyussiano. Li traina una sezione ritmica coinvolgente, con un basso snello e deciso. Quando il cantante annuncia l’ultimo pezzo osserva che è solo il quarto e questo succede quando li fai di otto minuti. “C’è un’atmosfera pazzesca, qui”, aggiunge felice. Ed è vero. Asteroid Blues è la più leggera e accessibile della scaletta, torpido incedere pentatonico, odore di casa.

Per i PONTE DEL DIAVOLO le aspettative erano alte, dato che sapete quanto abbiamo apprezzato Fire Blades from the Tomb. Tali attese sono state superate. Il gioco dei due bassi è perfetto e conferisce ai torinesi un’originalità che li proietta un po’ oltre il già positivo status di “gruppo che magari non ha inventato nulla ma non somiglia a nessun altro”. Un basso fa le note alte, l’altro si occupa dei riff monocorda nei frangenti più pesanti. Insieme riescono allo stesso tempo a creare un impressionante muro di groove e a mantenere un costante clima di tensione che non si libera mai davvero, tenendoti avvinto. Tante anime sonore si rincorrono senza pause.C’è il doom, c’è il black metal. E c’è tanto hardcore, post e non. Elena si guarda intorno compiaciuta. La sacerdotessa sa che il rituale sta avendo effetto. La sua voce è potente, ha un retrogusto black e, nei pezzi in cui più emergono sfumature new wave, mostra una vena cantautoriale sommessa della quale ti accorgi solo se sei italiano. Hanno la convinzione di chi sa di avere per le mani qualcosa di potenzialmente grosso. Applausi scroscianti da tutti. Migliore performance di oggi.

Vado a intervistare i Ponte del Diavolo in compagnia dell’egregio lettore noto come Ver agli iscritti alla nostra fiera e potente chat di Telegram. Mi perdo quindi purtroppo lo sludge dei THRONE, dei quali riesco ad ascoltare solo un brano, che mi stava pure piacendo. Ed entro al Mamiwata quando i MOONSTONE hanno già quasi terminato il loro concerto. Per quel poco che ho sentito, hanno un piglio thrash che spezza in modo rinfrescante l’alternanza tra riffoni e tripponi di cui sopra. A giudicare dal fomento del pubblico, devo essermi perso qualcosa.
Al Mamiwata non c’è il palco, è un piccolo pub, la gente poga insieme alla formazione dei padovani WOJTEK. All’alternanza summenzionata si unisce una nuova componente: le mazzate. Suonano con la gente che gli finisce addosso nel casino che alzano. Post-HC violentissimo e incazzatissimo con sbandate sludge per tirare il fiato ogni tanto. Show tirato allo spasimo, tra i più intensi di questo sabato.

Gli OTTONE PESANTE sono stati grandiosi però quando mettono su le basi black metal penso che sarebbe fantastico se avessero a disposizione persone che quella roba te la vengono a suonare dal vivo. Il sogno, quindi, sarebbe che diventino una big band. Per il momento, spaccano comunque. Aggressione e psichedelia con tromba e trombone. Partono spinti, riescono a farti scapocciare con i fiati, poi abbassano le dinamiche, ipnotizzandoti. E hanno i pezzi. L’acclamazione li dirige a un bis. Io li avrei sentiti pure per un’altra ora. (Ciccio Russo).
Le immagini sono di Daniele Di Egidio, potete vedere il suo intero servizio fotografico sulla pagina Facebook del Tube Cult.

insomma, vi siete persi i Kadabra! Nessuno andato a vederli a Bologna? Io visti a Trieste, spettacolari
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