La scissione è servita: ATROPHY – Asylum

Se abbia senso chiamarli Atrophy è una domanda che oggi non mi porrò. I thrasher dell’Arizona erano tornati in giro da metà del decennio scorso, finché il cantante Brian Zimmerman non decise di andarsene. A quel punto la magia dell’heavy metal si adoperò nuovamente in uno dei suoi più riusciti trucchi da palcoscenico: la scissione. Per la gioia dei presenti ci siamo ritrovati per le mani due gruppi chiamati Atrophy. Gli Atrophy di Brian Zimmerman, che fra il 2020 e il 2021 si è preso un anno per riflettere e per telefonare a cani e porci, dato che doveva reclutare una formazione ex novo. E gli Atrophy di Tim Kelly, il loro batterista storico, che ha bellamente sostituito Zimmerman con Mike Niggl e mantenuto l’impalcatura che portava sul palco i brani di Socialized Hate e Violent by Nature all’incirca dal 2015. Questi ultimi hanno optato per il moniker Scars of Atrophy ma io li chiamerò per comodità Atrophy of Fire. Tim Kelly ha fatto clamorosamente flop nel 2022 uscendo con un EP intitolato Nations Divide, un semplice assalto frontale alla Slayer e Razor con tale Mike Niggl messo lì ad abbaiare illogicamente, una batteria compressa da porci e qualche riffettino ganzo sparso lungo le quattro tracce che lo compongono. Tipo l’ottimo attacco di Smokescreen, di cui ancora porto un buon ricordo. Il 15 marzo corrente a uscire sul mercato è toccato a Brian Zimmerman con i suoi Atrophy, che in teoria sarebbero gli originali.

Nonostante la formazione stravolta Asylum è perfettamente capace di farci sentire a casa, specie per quell’immagine ritraente l’infame giullare che, nella copertina del 1988, giocherellava sorridente con gli strumenti di morte della Guerra Fredda. L’ambientazione in cui è stavolta calata la mascotte ha, a dire il vero, un che di certi artwork di King Diamond. Gli Atrophy ripartono da dove avevano lasciato quasi trentacinque anni fa: dalla voce roca di Brian Zimmerman e dalla velocità incontrastata di classici come Puppies and Friends, dal loro trascurato secondo lavoro Violent by Nature. Apro e chiudo subito parentesi: d’accordo che arrivarono in ritardo di un anno o due, se non oltre, sulla concorrenza, e d’accordo che il debutto Socialized Hate era semplicemente un capolavoro (dimentichereste l’attacco di Beer Bong e il ruttone finale?), ma Violent by Nature avrebbe meritato un qualcosina in più.

Rimane la solita annosa questione: ha senso fare confronti con la produzione precedente di gruppo riemerso da un abisso temporale di svariati decenni, a fronte di un Brian Zimmerman oramai sessantenne e in parte afono? Mi sono posto il problema con i Toxik, che girellavano attorno al formato LP da qualche tempo e poi ci sono cascati. Mi sono posto il problema oggi. Io penso che in teoria non avrebbe alcun senso ma se torni con un disco è inevitabile che andrai incontro a quel paragone. Non è che hai riformato gli Atrophy per organizzare in piazza a San Godenzo la sagra del piccione e dell’arrosto girato. Li hai riformati per pubblicare un album e oltretutto lo hai fatto quattro anni dopo esserti tirato fuori per un tour annullato causa Pandemia. Per cui adesso ti prendi tutti i paragoni del caso.Rispetto al thrash metal d’oggigiorno Asylum suona come oro colato e certamente piacerà a chi come me pretende che il thrash metal suoni come tale. La produzione chiaramente non è in grado di rimandare al 1990, ma è accettabile. I riff sono tutti indirizzati nella direzione giusta. A questo punto gridare al miracolo sembrerà la naturale conseguenza ma, da amante incondizionato di Socialized Hate e degli Atrophy, non posso farlo.

Il principale e forse unico problema di Asylum è che ha i riff e l’attitudine, ma Brian Zimmerman stavolta non è stato in grado di ottenere un solo pezzo che si elevasse sopra agli altri. La Chemical Dependency della situazione per capirci. In Asylum sono tutte quante carine e nessuna mi colpisce in particolar modo, tranne, forse, Five Minutes ‘Til Suicide in conclusione del pacchetto. Niente di cui lamentarsi: un album veloce e coeso, che si concede rari rallentamenti (Close my Eyes, finché non accelera perfino lei) e che esalta più per la forma che per i contenuti. Mi siete mancati. Anzi, mi sei mancato Brian Zimmerman: torna presto, anche perché non ti sei particolarmente preoccupato di svecchiare la line-up e sembrano tutti – tranne uno, il sodomizzato per eccellenza – usciti fuori da un raduno al bocciodromo. Quindi il prossimo anno mi rimetterei subito al lavoro. (Marco Belardi)

2 commenti

  • Avatar di Orgio

    Nel frattempo, Chris Lykins è diventato un otorinolaringoiatra e chirurgo plastico di successo, e immagino che l’idea di essere associato agli Atrophy gli causi sincero imbarazzo.
    Il disco non mi ha colpito più di tanto; carino ma niente di che. Per dire, tra questo e il ritorno degli Evildead del 2020 non c’è confronto. Comunque bene sapere che la vecchia guardia sa ancora suonare thrash come si deve.

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  • Avatar di TonyLG

    una volta in Arizona / con cento franchi si andava in mona

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