Il culto della stregoneria oggi: UNAUSSPRECHLICHEN KULTEN – Häxan Sabaoth

Il mio sodale Belardi e la metafora basata sul cruscotto della FIAT Tempra di suo nonno hanno ormai richiamato l’attenzione sui dettagli, e fatto scuola qui a Metal Skunk. Per questa ragione vi propongo un quesito matematico che si basa proprio sui dettagli: quante sono le band, soprattutto metal, che hanno incorporato, in un modo o nell’altro, l’immaginario lovecraftiano? Vi assicuro che non è possibile dare una risposta, visto che non è possibile quantificare l’infinito. Capite quindi che il nome di questa band death metal cilena è originale quanto lo sia cagare dal buco del culo.

Unaussprechlichen Kulten rimanda infatti a uno pseudobiblium inventato dallo scrittore Robert E. Howard, popolarizzato poi da H.P. Lovecraft che lo inserì, accanto al ben più noto Necronomicon e ad altri, nel suo universo horror cosmico e lo consegnò quindi alla posterità e ad autori di weird fiction come Caitlin R. Kiernan e Micheal Chabon, ai fumetti di Dylan Dog e alla canzone del disco Annihilation of the Wicked dei Nile. Sull’esattezza linguistica dell’espressione tedesca non mi dilungherò. Basti dire che alcuni la considerano corretta, altri no.

Anche la parola sabaoth, che troviamo nel titolo dell’ultimo disco della band, ricorre spessissimamente nelle opere del testone di Providence, per esempio nei ben congegnati racconti Il caso di Charles Dexter Ward o L’orrore di Dunwich, che incorporano vere e proprie “formule magiche” saccheggiate perlopiù da reali pubblicazioni di Alphonse Louis Constant, noto anche con lo pseudonimo di Éliphas Lévi (rimandiamo, a questo proposito, al seminale saggio di Valerio Evangelisti dal titolo I riferimenti esoterici e le formule magiche de Il caso di Charles Dexter Ward di H.P. Lovecraft). Non ho fatto molte ricerche, ma ho come l’impressione che i nostri cileni – opinione mia, supportata dal niente – non conoscano bene il significato di sabaoth, e interpretino la parola come una variante di sabbath. Già perché la cosa che più mi ha incuriosito, e in effetti la più originale, almeno sino a quando non si sente la musica, è l’altra parola del titolo, Häxan, che sapevo per certo non aver mai letto in Lovecraft ma che, per qualche motivo mi risuonava dentro la testa, complice anche il fatto di averla cava e vuota.

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Häxan in effetti è svedese, e considerato che significa “strega” magari questi sudamericani hanno ben pensato alle festicciuole dove le fattucchiere e i fattucchieri baciavano le terga dello diaulo. Un disco metal su sabba e streghe. Originale anche questo. Deretano. Escrementi. Häxan, guarda caso, è anche il nome di un film svedese per la regia di Benjamin Christensen. Oggi semisconosciuto, ma nel 1922, anno della sua produzione, è stato particolarmente rilevante. Considerevole è stata la cifra mastodontica spesa per realizzarlo, e quella ormai è stata chiaramente polverizzata dall’evoluzione dell’industria cinematografica. Considerevole è però anche la peculiare atmosfera da esso evocata, allo stesso tempo onirica ma deliziosamente grafica e “tangibile”, questa sì rimasta intatta. Con immagini anche piuttosto spinte, e che arrivano a lambire gli estremi della tortura e dell’infanticidio rituale, il film tenta di ripercorrere, mescolando sezioni pseudo-documentaristiche e altre recitate, giusto la storia della stregoneria in Europa: dalle superstizioni antiche e medioevali, al fanatismo religioso di matrice cristiana, sino alla demistificazione razionalistica di stampo positivistico, ormai tradizionale al principio del XX secolo.

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Quel diavolaccio panzuto rappresentato al centro della copertina del disco, intento a miscelare nel suo calderone chissà quale intruglio diabolico (probabilmente quella merda alla frutta che si inventò negli anni 90 una notissima ditta che dovrebbe produrre prima di tutto rum), è infatti uno dei personaggi della pellicola e viene utilizzato anche nella bellissima riedizione moderna del film curata dalla Criterion Collection.

Dato che non conoscevo la band, mi sono sentito i lavori precedenti. È evidente che Häxan Sabaoth riprende il discorso nel punto esatto in cui gli Unaussprechlichen Kulten lo avevano lasciato con il precedente Teufelsbücher, che mi ha fatto – rimanendo nel tema – veramente cagare. Il disco abbandona completamente lo stile degli esordi, quello cioè pesantemente ispirato al brutal death metal di cui ormai preservavano solamente certe sonorità. Teufelsbücher ha voluto sperimentare una forma musicale più complessa e decisamente meno lineare, ma il risultato è stato quello di un guazzabuglio piuttosto indigesto. Häxan Sabaoth è molto meglio perché riesce, anche se sembra contradditorio, a “ordinare” il trambusto di un death metal che si vuole prepotentemente caotico. Il gruppo affastella infatti più livelli musicali, immagino con l’intenzione di evocare proprio la ritualità oscura di un culto proibito. I suoni sono volutamente slabbrati, le composizioni dissonanti, la compressione dei suoni totalmente assente. Anzi, i riverberi degli strumenti e i veli di tastiera che accompagnano l’ascoltatore lungo tutto il minutaggio danno la costante e permanente sensazione di trovarsi davvero dentro una caverna. L’atmosfera sonora è densissima, il puzzo della carne dei corpi, di sangue, di sudore è tangibile.

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In questo senso, il disco traspone bene parte delle sensazioni che si generano durante la visione del film di Christensen. Ma se nel film l’orrore (quello della violenza, certo, ma anche quello dell’ignoranza e dell’intolleranza) viene in qualche modo controbilanciato dalla colonna sonora (almeno nell’edizione Criterion, so infatti che vi sono diverse versioni, con colonne sonore distinte) e dalla recitazione (che a tratti sono entrambe giocose e/o caricaturali), nel disco all’orrore non c’è alternativa. La cacofonia è la vera padrona di casa, con alcune erratiche melodie che fanno saltuariamente la loro comparsa, ma che non cambiano la fisionomia generale della musica. Gli stessi assoli di chitarra obbediscono a questa sorta di regola generale, e gelano il sangue nelle vene. In alcune sezioni del disco, la musica si avvicina più a sonorità black metal (Our Almighty Chthonic Lords) ma le accelerazioni in blast beat sono alternate bene con le sezioni più lente, di accordi aperti. Proprio per questa ragione la band riesce a lavorare con forme molto fluide, che non lasciano punti di ancoraggio all’ascoltatore. Veniamo continuamente fagocitati da nuovi assalti sonori sino a perdere letteralmente il senso dell’orientamento. Il barocchismo di queste sinuose forme musicali si avvale della asincronia dei riff di chitarra, dello scardinamento dell’andatura ritmica di ogni pezzo e di una massiccia dose di tremolo picking ma il tutto, ripeto, utilizzato con molta più sapienza del precedente album.

Per queste ragioni credo che Häxan Sabaoth sia una buona testimonianza della nuova direzione intrapresa dalla band, ma anche una prova in studio più solida dove le buone idee che già si potevano sentire in modo seminale su Teufelsbücher vengono rifinite a dovere e pienamente sviluppate. (Bartolo da Sassoferrato)

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