Benson – La vita è il nemico: una recensione lirica
Tanti muoiono, no? Ma io non sono mai morto. Spero! […] Ma la mia è una storia vera, ma piena di bugie.
Una frase che è tante cose assieme. Uno dei più famosi tra i tormentoni ermetici di Richard Benson – e allo stesso tempo, uno di quelli che, se ci si sofferma, diventano più pregni di significato. È il testo di un video montato a mo’ di trailer che mi comparve verso la fine dell’anno scorso su Instagram, in una di quelle matriosche di storie che si creano quando le pagine rilanciano vicendevolmente i loro contenuti e che mi ha portato a conoscere l’esistenza di questo docufilm. L’incipit magnificamente scelto del docufilm stesso, che imposta sapientemente l’umore e la chiave di lettura con cui affrontare la visione.
Benson – La vita è il nemico racconta la storia vera, piena di bugie, di Richard Benson. Il progetto prende vita nel 2016, quando Maurizio Scarcella, regista e ideatore, decide di seguire il chitarrista più veloce del mondo e la moglie dopo aver visto il loro video in cui chiedevano aiuto, anche e soprattutto economico. La distribuzione assomiglia di più a quella di una pièce teatrale, di un tour promozionale, con Maurizio Scarcella direttamente in sala a dire qualche parola di introduzione prima della proiezione, solitamente accompagnato dalla vedova Ester Esposito Benson, che però non riuscirà a essere presente alla data meneghina del 23 febbraio al Multisala Colosseo – quale cinema poteva ospitarlo e tributarlo a Milano se non il Multisala Colosseo? In sala ritrovo anche qualche faccia familiare di giornalisti di altre riviste di altri settori, sullo schermo rivedo invece qualche faccia conosciuta ai concerti romani, finita per essere ripresa nel periodo in cui il regista ha seguito i coniugi.
Quello che inizialmente doveva essere un altro video, atto a sensibilizzare il pubblico sulle condizioni di vita difficili in cui versavano Richard ed Ester, si è interrotto nel momento in cui i due sono stati presi in carico dai servizi sociali e si è arricchito di contenuti tratti dalle sue trasmissioni TV e da interviste agli amici del chitarrista infernale, tra chi suonava con lui ancora prima dell’esperienza con i Buon Vecchio Charlie e chi ci suonerà dopo – ovvero il Gianni Neri che lo accompagnerà per un periodo anche in TV, ma anche Federico Zampaglione dei Tiromancino, che produsse L’inferno dei vivi. Viene svelata una parte che ogni tanto viene dimenticata, quella degli albori come personaggio televisivo provocatorio e controculturale, ancora prima delle sue conduzioni, e una parte della sua vita che era rimasta in parte nascosta, seppur intuibile, tra cui l’appartenenza all’alta borghesia romana e l’enorme eredità ricevuta e interamente dilapidata. Ricostruisce anche come si è passati dal Natale del Male agli ultimi concerti della sua vita – tra i quali ho avuto insieme la fortuna e il dispiacere di vedere l’ultimissima sua apparizione su un palco, a Genzano di Roma nel 2016.
Ciò che risalta, finalmente, della figura di Richard Benson e del suo personaggio è la ricerca costante di quello spazio tra la menzogna e la realtà, come quando tutti lo prendevano in giro chiamandolo Riccardo Benzoni e lui alla fine si chiamava davvero Richard Philip Henry John Benson. E ancora tra l’autostima e la megalomania, come quando Cruciani lo chiama in diretta alla Zanzara, con un misto di seria preoccupazione per le sue condizioni e sfacciato scherno tipico della sua trasmissione, e Richard gli risponde di sentirsi bene e di stare preparando un tour con John Macaluso, da lui considerato il migliore batterista del mondo; alla fine tutti ridono di lui paternalisticamente, ma lui stava davvero suonando con Macaluso in quel periodo. Si scopre la volontà e la necessità di occupare quegli interstizi tra l’autoumiliazione e la performance artistica di repertorio, quando comincia a organizzare tour sapendo che la gente gli avrebbe tirato cose sul palco, volendo inscenare quel teatrino di reciproci insulti e sfoghi e avendo la consapevolezza che nel momento in cui avesse detto, anzi, urlato “VI RACCONTO UNA STORIA”, tutti sarebbero pesi dalle sue labbra.
Richard ci ha abbandonati proprio quando stava lavorando a un nuovo album che, dal primo singolo estratto, sembrava promettere bene, indagare nuovi stili e generi maggiormente cantautoriali. Sicuramente lo avrebbe portato a un tour mondiale e avrebbe suonato in 75 stadi sparsi per il pianeta riempiendoli tutti, dal primo all’ultimo. Ma le note di Processione, da lui dedicata alla moglie Ester, sempre al suo fianco, nel bene e nel male, ci restituiscono un Richard più casalingo e più vicino a noi, che sarebbe stato bello poter conoscere.
Il commovente docufilm, a metà tra l’opera esegetica e agiografica, si conclude con un’ultima intervista a Richard al cimitero, davanti alla tomba dei suoi genitori. Lì, il vate del metallo, che in quel momento ancora non è mai morto nonostante la morte avesse cercato di colpirlo undici volte, ci racconta, con una serenità invidiabile, che lui non ha paura della morte. Della morte non si deve avere paura, perché dopo tutto è tranquillo. Al massimo è prima che bisogna preoccuparsi. Bisogna avere paura della vita: la vita è il nemico.
E adesso, ANDATEVENE TUTTI A FANCULO, PER CORTESIA. (Edoardo)

“Io non so mai se è giusto fare gli auguri compleanno oppure no, hai un anno di più, sei un anno più vecchio, sei un anno più vicino alla fine, eppure siamo come dei cretini, regali, buon compleanno, felicitazioni, ma che siamo noi, dei pezzi di merda, che siamo noi se non dei pezzi che dobbiamo mettere insieme per fare una cosa una, ma in realtà poi si sfalda e casca tutto per terra, facendo rumori di vetro e di metallo” cit. Richard
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Non ho vissuto trascorsi romani, ma francamente mi pare una visione idilliaca di un artista non così rilevante. Pace a lui.
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Benson era un personaggio affascinante. Artisticamente ha lasciato pochissimo, quasi nulla, in una carriera durata decenni. Ma quel pochissimo ha un peso specifico che altri musicisti si sognano.
A differenza di altri pagliacci che si spacciano anticonformisti blaterando idiozie da bar, lui è stato davvero controcorrente e l’ha pagato con anni di merda.
Probabilmente non sarebbe riuscito ad essere altro.
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L’Italia è uno dei pochi paesi dove al rock non si è mai voluto dare importanza (persino paesi del centro america possono godere di una doffusione più ampia anche su canali TV/radio nazionali).
Richard da solo ha fatto un lavoro immenso e dobbiamo essergliene grati.
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Secondo te perchè al rock in Italia non si è voluto dare importanza?
Soprattutto perchè al rock no ma a rap/trap si (altro mondo musicale che non appartiene alla nostra cultura).
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…..povero Bensone….voglio ricordarlo come un simpatico svitato….forse non l’unico guitar player diventato pazzo nel cercare di realizzare il suo sogno!!!…. è riuscito comunque negli anni a ritagliarsi un proprio spazio anche mediatico….e quante cose vere che diceva nei suoi sproloqui… : )
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L’album postumo non è niente male, aspetto una vostra recensione
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Se devo essere sincero non mi è piaciuta troppo come operazione – e anche la musica non mi ha colpito particolarmente
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