SANTACREU – Canc​̧​ons d’Amor, Dol i Enyoran​ça

Esordio di qualità, stagagadà, stagagadà. Riassumiamo così Canc​̧​ons d’Amor, Dol i Enyoran​ça. I Santacreu, terzetto di Barcellona alla loro prima prova in studio (eccezione fatta per un singolo uscito circa quattro anni fa), ci regalano infatti un disco decisamente maturo, convincente, solido nella proposta musicale. Perfezione? Non esageriamo. Una piccola gemma da rifinire? Si, questo è già più corretto.

Al netto di una copertina che ricorda sin troppo da vicino Clearing the Path to Ascend degli YOB (secondo me) e The Gallery dei Dark Tranquillity (secondo gli esimi colleghi di Metal Skunk), Eugeni Pulido (chitarre e voce), Kandro Ruiz (basso) e Guillem Bosch (batteria) propongono una musica che si discosta notevolmente da entrambi. Di difficile classificazione, potremmo appioppare alla proposta dei Santacreu l’etichetta di post metal. Le strutture delle canzoni e l’accavallarsi dei layers musicali strizzano infatti l’occhio agli ultimi Isis, ma il suono generale del disco risente soprattutto di evidentissime e preponderanti influenze doom metal melodico. Questo almeno per quanto riguarda gli strumenti, infatti le parti vocali sono cantate totalmente, nella loro interezza, in pulito.

Senza fare eccessivo sfoggio di tecnica esecutiva, i Santacreu costruiscono dei pezzi veramente intensi, guidati soprattutto da un egregio lavoro alla chitarra, tanto nelle parti ritmiche quanto in quelle melodiche; è sufficiente ascoltare il rarefatto intro de L’Absència per rendersene conto. Anche la scelta del minutaggio, quarantacinque minuti suddivisi in sei brani, aiuta ad apprezzare meglio la proposta musicale. Notevole è inoltre l’approccio ai vari brani, che riservano delle gustose sorprese, e la cui esecuzione riesce a trasmettere all’ascoltatore il groove condiviso dai tre musicisti. Sebbene molti dei pezzi contengano reiterate sezioni strumentali, che sovrapposte alle nenie cantate in catalano contribuiscono a creare un apprezzabilissimo senso di mistica ripetitività alla musica, gli stessi sterzano poi in modo repentino in tutt’altri territori musicali in modo ineccepibile, costruendo per contrasto un dinamismo ben congegnato. Les Cicatrius è forse l’esempio più lampante di questa caratteristica costante, che si può ritrovare lungo tutto il disco. L’incipit del pezzo ricorda infatti le parti più psichedeliche dei My Sleeping Karma, dove le velleità hindi vengono però qui sostituite da linee melodiche le cui tonalità afferiscono più alla tradizione della musica catalana, ma lo stesso brano deborda poi in uno dei blast beat più convincenti di questo inizio 2024.

L’elemento che meno mi ha convinto del disco è però proprio la voce. Intendiamoci: Pulido non solamente ha la fortuna di avere una timbrica molto bella, ma mi sembra anche sfoggiare una tecnica più che soddisfacente e interpreta in pezzi in modo convincente. Il problema principale, a mio modo di vedere, è proprio la concezione delle linee vocali dei pezzi: sono tutte uguali. È anche vero che sono poche – la maggior parte dei brani è infatti fondamentalmente strumentale – ma quando sentiamo entrare in gioco la voce, una sensazione di “già sentito” aleggia ad ogni verso. Tant’è che Nana del Caballo Grande, a parere di chi scrive il pezzo più debole dell’intero disco, riesce comunque ad essere avvincente proprio perché è l’unico pezzo in cui l’utilizzo della voce si discosta, sebbene non totalmente, da tutti gli altri brani.

Riprendendo le linee di apertura di questa recensione, Cançons d’Amor, Dol i Enyorança è un debutto raffinato, un disco validissimo. Il 2024 si apre quindi con una gradevole sorpresa, dategli una possibilità. (Bartolo da Sassoferrato)

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