La lista della spesa di Griffar: NYRST, ANTÜ FUCHA, TURPITUDE
Una nuova infornata di dischi più che interessanti per allietare le vostre giornate, di questi tempi nebbiose ed uggiose come usava fare negli inverni di un paio di decenni fa.
È uscito il secondo lavoro degli islandesi NYRST, ancora per la piccola Dark Essence records. Registrato a quanto dice la leggenda nei pressi di un vulcano in eruzione, dimodoché trarre ispirazione dalle forze più incontrollabili della natura e catturarne l’insita violenza, Völd è un album complessivamente più vario del suo già di per sé eccellente predecessore Orlök. Grazie a una maturazione avvenuta sia dal punto di vista compositivo che esecutivo, i brani di Völd sono più elaborati, hanno ancora un sentore di fondo di Svartidaudi ma la ricerca di un proprio suono personale e distinto da tutto il resto sta portando i suoi frutti.
Non sono rari i passaggi che per un disco di black “tradizionale” sono alquanto strani, vedi le aperture melodiche e i momenti ambient che ritroviamo in Sundra Skal Sálu, brano che segue la traccia omonima posta in apertura, uno dei pezzi più rudi e violenti di tutto il disco, e che precede la più epica Hrímviti, incentrata su riff particolarmente melodici. Viene naturale scrivere che il disco è molto vario, anche per merito delle parti vocali, in certi casi ispirate dal miglior Nemtheanga (Primordial) senza sfigurare affatto nel paragone, mentre in altri quasi death metal; laddove invece si propongono come screaming classico riescono a conferire alle musiche quella giusta e doverosa dose di malignità che il genere pretende. Il nuovo Nyrst è un disco che presenta una quantità impressionante di sfumature differenti, dall’epico all’occulto al fast black fino a inserirsi in situazioni blackened death metal: un titolo per tutti è Eilíft Eldhaf. Sei brani (più intermezzo) in preferenza abbastanza lunghi, con il picco ad 11 minuti della complicatissima Drottnari nafnlausra guða. Opera notevolissima: questo gruppo è destinato a cose grandiose in futuro, ma già il presente è portatore di assoluta eccellenza.
Possiamo gustarci anche il terzo lavoro dei cileni ANTÜ FUCHA, il quale contiene sette brani o, per meglio conformarsi a come li chiamano loro, Canti, numerati progressivamente con numeri romani e tutti sottotitolati. Il primo ad esempio si chiama anche Intro, ed è come risaputo il meno indispensabile tra tutti. Ciò che troviamo in Trempulkalve è un più che apprezzabile black metal piuttosto veloce contaminato da svariati altri elementi, primo tra tutti il religious black, ma non sono rari rallentamenti cupi e oscurissimi vicini al doom più catastrofico, così come ascolteremo più di un passaggio blackened death che rievoca paesaggi sonori isterici a-la Abyssal; non mancano – giusto per negarsi alcunché – neppure passaggi di derivazione pagan black.
La registrazione delle tracce di chitarra ritmica è un po’ poco nitida e la scelta di suoni molto compressi rende le sezioni più veloci a tratti farraginose (difetto che scompare quando la velocità diminuisce e nel caso delle sovraincisioni melodiche); se, da un certo punto di vista, questo contribuisce ad aumentare la sensazione di tragicità di tutto il disco, da un altro rende non troppo comprensibili i riff portanti, facendo perdere all’ascoltatore alcune sfumature meritevoli di maggior gloria. I sei brani sono discretamente lunghi e piuttosto omogenei, e hanno un qualcosa di arcano, di criptico, un’atmosfera di malcelata malignità che affascina e porta a reiterare l’ascolto. La voce straziata è tenuta piuttosto indietro nel mixing, così come la batteria è fin troppo nascosta dal muro sonoro delle chitarre, ed è un peccato, perché si intuiscono discrete capacità allo strumento di Vilu Ulen Traiayün, colui che se ne occupa. Non troppo in evidenza neanche le tastiere, che fanno un lavoro essenzialmente di accompagnamento. Detto che non si negano neppure inserti di flauto andino (non tanti, ma ci sono), che in dischi black metal si sono sentiti raramente, consiglio di dedicare un po’ di tempo a Trempulkalve, non sarà sprecato.
Il disco che chiude questa breve carrellata è il più datato tra tutti quelli che vi ho segnalato in questo inizio anno. Risale infatti al gennaio del 2023 e me lo sono colpevolmente perso, fino a quando non l’ho incontrato in una playlist di uno dei tipi di Black Metal Daily, che è gente che di musica ne capisce. Incuriosito l’ho ascoltato e… e cazzo, questa è una bomba mica da ridere. Dietro al progetto si cela la fenomenale Alice Simard, canadese non ancora ventenne, con all’attivo una miriade di gruppi prevalentemente inquadrati nel death/brutal/grind tra i quali gli incredibili Vitrified Entity, autori di un discone techno-death in grado di far impallidire i First Fragment (Eternal Vitreous Dissolve, 2021, aveva 17 anni). Coadiuvata da un batterista che di base si muove in ambito prog rock/jazz, da un session alla voce che si occupa dello screaming – le parti in growl sono della Simard stessa – e da un tastierista che colorisce i pezzi quando l’atmosfera lo richiede, il suo Une Interprétation de la Dissolution Glaciale en Quatre Mouvements (uscito sotto il moniker TURPITUDE) è una vera mazzata sui testicoli quando li avete appoggiati per sfida su un’incudine.
Le trame di chitarra e di basso sono sbalorditive per perizia compositiva, energia, grinta, convinzione, e sono benedette da una capacità di costruire melodie di sicura derivazione classica, perché se questa non ha studiato al conservatorio io sono Chtulhu. Come usa i rivolti, le terzine e le quartine o te l’hanno insegnato per bene o sei la reincarnazione di Gioacchino Rossini, non credo ci siano alternative. Armonizza le tracce di chitarra e basso come un compositore scafato con decenni di esperienza ma cristo, questa tipa non ha neanche vent’anni. Se oggi scrive dischi così, tra dieci anni cosa sarà in grado di creare? I quattro brani (pardon: movimenti) che ci deliziano in questo che è già il secondo full del progetto sono letteralmente uno più bello dell’altro; ce l’avrei avuto sicuramente in playlist se solo non fossi stato disattento, e sì che frequento ogni canale possibile ed immaginabile per informarmi quanto più posso sul black metal in ogni sua derivazione, per goderne io in primis e magari traviare qualcuno di voi interessati al metal estremo. Il disco dura purtroppo solo 38 minuti, fossero stati il doppio non sarebbe bastato e porca puttana, in fisico esiste solo in una tiratura di 100 copie in cassetta, naturalmente esauritissima da tempi immemori. Però questo disco merita una diffusione maggiore, per cui se chi è coinvolto nella band e detiene i diritti legge quanto sto scrivendo ci pensi e lo dia in licenza a qualche etichetta con le palle perché, se capisco qualcosa di musica, le potenzialità di vendita ad almeno quattro cifre ci sono. Una meraviglia. Uno dei dischi più belli del 2023. L’atmospheric/raw black metal oggigiorno si deve suonare così, il punto di riferimento è questo.
Ancora un altro pezzo di recupero di dischi dell’anno scorso e poi inizierò a parlarvi di cose nuove, e ce ne sono già delle belle. Keep calm, drink blood & stay black. (Griffar)



