Sulla strada verso il metal: la leggenda del barbone nel cassonetto
Noi metallari, oltre che di carne ed ossa, siamo fatti di storie; personali, immaginate, lette, semplicemente sognate.
È vero che questo discorso è valido per qualsiasi essere umano, anche per chi ascolta Chadia Rodriguez, ma penso che noi, più degli altri, abbiamo qualcosa nel nostro vissuto personale, che sia un racconto, un episodio, una suggestione, un film, un videogioco, una punizione inferta o subita, che ci ha prima detto che eravamo degli irrecuperabili disagiati, e poi, in un secondo, terzo, quarto o quinto momento, ci ha indicato, con degli inequivocabili segnali stradali, che la Via del Capro Trionfatore era quella più adatta a noi.
Parliamo di più di vent’anni fa.
Facevo la quarta o quinta elementare.
Ricordo che era un pomeriggio invernale, ed ero a passeggio vicino casa con questo mio amichetto di classe che abitava in un condominio limitrofo al mio. Il classico giro che fai alle elementari quando vivi in una grande città e già solo andare al supermercato a 100 metri dal cancello condominiale desta nei tuoi genitori paura e preoccupazione (ricordo ancora quando una volta in bici andai ad un bar vicino e, attraversando una strada trafficatissima da parte a parte, mi sembrò di essere diventato improvvisamente Lorenzo Lamas in Renegade, sopravvissuto per un pelo ad un fuoco incrociato di banditi texani).
Questo bambino che era con me aveva la particolarità, tipica di una certa gioventù (ma purtroppo riscontrabile anche in moltissimi adulti) di esagerare un po’ troppo, se non di sparare autentiche cazzate.
Ma in ogni ambito, eh: sport, attualità, politica.
Io, che ero un bambino molto ingenuo e credulone (lo sono ancora), spesso gli davo retta, e mi lasciavo trascinare nei suoi racconti menzogneri che parlavano di giocatori della Lazio più forti di Pelè e altre boiate del genere.
E quel pomeriggio invernale di oltre vent’anni fa, non ho mai capito se per un eccesso di immaginazione o per qualche sua autentica preoccupazione personale o semplicemente per spaventarmi, passando vicino ad una fila di cassonetti dell’immondizia mi disse, con aria agitata, che aveva sentito di un barbone che dormiva dentro uno di essi.
Fino a qui nulla di particolarmente strano, purtroppo, ma la parte più succosa doveva ancora arrivare: se qualcuno malauguratamente lo apriva per fiondarci dentro l’immondizia, il barbone sbucava all’improvviso da sotto lo schifo, afferrava il malcapitato per il bavero e lo trascinava dentro, nella sua lurida tana del male.
Cosa succedesse in seguito, a quali torture, nefandezze, perversioni venisse sottoposto il povero onesto contribuente, sciaguratamente capitato nella morsa del ragno, il mio amichetto non lo specificò, o almeno non ricordo; ma l’immagine di questa specie di Pennywise della nettezza urbana mi si stampò subito nella testa.
Per una frazione di secondo, per un paio di bimbi delle elementari, Giardino Nomentano (il nostro sconosciuto quartiere) aveva il suo Mostro, e nella mente di uno dei due (me medesimo) la Via del Capro cominciava a materializzarsi all’orizzonte. Un immaginario oscuro, perverso, macabro, lo stesso che oggi mi fa entusiasmare di fronte alle copertine degli Avulsed o pensare che Stripped, Raped and Strangled sia un bel titolo per un pezzo.
Ricordo che, tornato a casa, ne parlai anche con mia madre, tanto mi aveva colpito. Ovviamente lei mi rassicurò: erano solo le scemenze di quello scemotto che pensa che Di Vaio sia più forte di Pelé, niente di nuovo sotto il sole, nulla di cui preoccuparsi.
Ma com’è come non è, io, a distanza di vent’anni, a quello stupido racconto di fantasia di quel bambino cazzaro ancora ci penso.
Io ogni volta che apro il cassonetto dell’immondizia penso che lui sia lì, nella sudicia ombra, ad aspettarmi.
Sì, lui, il Mostro Mendicante. La jena di Giardino Nomentano. Il Pennywise dell’AMA SpA.
Ma chi è poi veramente? Un fanatico ecologista?
“Hai messo la plastica nell’umido, brutta feccia boomer, sai quanti animali muoiono per la plastica in mare?!?”
“Oddio, mi scusi, la prossima volta farò più attenzione!”
“NOOO, NIENTE SCUSE, ADESSO MUORI!” – e poi BAM, giù nel cassonetto.
E voi, amici di Metal Skunk, qual è la vostra storia di formazione sulla strada verso il metal?
(Gabriele Traversa)



Articolo geniale!
Io credo di essere arrivato – ormai 34 anni fa, all’età di 14 anni (eh sì, i 50 sono vicini…) – sulla strada del metal per un insieme di cose: un desiderio di indipendenza, di non accettazione delle mode, dei modelli e dei pensieri imposti (infatti, di questi tempi dove il pensiero e il finto rispetto vengono imposti per legge, mi sento un po’ come un pesce d’acqua salata buttato in un fiume) e un conseguente senso di disagio e alienazione.
Per me, il mostro non era nei cassonetti.
Per me, il mostro erano tutte quelle persone che prendono tutto per scontato, che accettano ogni cosa senza un minimo di giudizio e pre-giudizio, che si adeguano a tutto per rendersi “accettabili” salvo poi urlare in giro che a loro non interessa nulla dell’opinione altrui.
Quelli sono sempre stati i miei mostri. E al giorno d’oggi hanno persino acquisito più spazio, forza e potere.
E io continuo ad ascoltare metal
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Da bambino una volta mi trovai in salotto con mio padre a mettere a posto le sue cassette, tra queste reign in blood e live after death.. lui dice che gliele avevano date e neanche le aveva mai ascoltate, io invece mi innamorai all’istante di aces high e angel of death.. nel mio caso i metallica sono arrivati molti anni dopo..
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A casa di un amico ai tempi delle superiori. Nella stanza accanto il fratello stava ascoltando quelli che poi si sarebbero rivelati essere i Metallica. Una roba che non avevo mai sentito e che non pensavo esistesse, ma che contemporaneamente sembrava scritta proprio per me. Rimasi totalmente fulminato. Il resto, come si dice, è storia.
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https://youtu.be/tz8VNzX_IHs?si=WuYeeDiaSOuuLpMF
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https://youtu.be/dU2Pbm9wtnw?si=vP1_Ti9Ccovze_eI
Non so se è chiaro.
Io sono metallaro perché il metal è come il grigio. Sta bene su tutto.
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A 15 anni vidi il CD di The Number of the Beast. Lo comprai solo perché mi piaceva la copertina. Il Capro già scorreva forte in me.
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Alle medie , io ero prima , vedevo quelli di terza : se la tiravano , pensavano di essere dei meglio degli altri, dietro i loro ray-ban quadrati , tutti con la stessa mountain-bike con cambio Shimano a 16000 velocità , vestiti firmati e e quella techno/ house di merda nelle orecchie , sembravano la brutta copia dei fighi di un teen-movie americano di serie Z. Non odiarli era impossibile , erano i protagonisti dei miei immaginari film splatter… Arrivato in terza io, scopri roba Guns e Nirvana , poi Metallica e Megadeth… finché a 16 anni un mio amico mi trascino nel fossa del Death/Black…
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Non saprei dire l’anno, ma ero in prima liceo.
Ascoltavo già tanta musica, anche rock, ma limitandomi a ciò che trovavo in casa.
Poi un giorno, a casa di un compagno di classe, c’erano dei vinili, del fratello.
Li guardai uno a uno, fino ad incappare in quello di Fear of the Dark.
Deve essere successo qualcosa in quel momento, di terremotante.
Ma quell’immagine, quel momento è ancora li, chiaro come fosse ieri.
Perché è stato quel genere di momenti che ti cambiano la vita.
Da li in avanti, tutto in discesa…
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Iniziato al culto della chitarra distorta e del feedback alla fine della seconda media, sentendo a ripetizione “Bullet the Blue Sky” degli U2 riavvolgendo con la bic arancione il nastro tdk di “The Joshua Tree” di mia sorella. dopo un anno arrivò la gita in cui i compagni di scuola mi passarono il walkman con Appetite for destruction e il Black album….”ferst riakscion sciocc”, come avrebbe detto l’ex sindaco di Firenze.
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1991,prima media e gita in Liguria,un mio compagno mi passa il walkman.
Era fear of the dark,me ne innamorai subito,poi arrivarono guns,metallica e nirvana.
Nel 93 in pullman sentivo “sono i carcass”,”cazzo i carcass”,”che gruppo i carcass”.
Dopo essermi informato,l’indomani comprai la cassetta di heartwork,amore a primo ascolto!
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