Avere vent’anni: THE KOVENANT – SETI
Di Animatronic si è già detto. All’epoca, col cambio di nome e di stile, la gente gridò allo scandalo e prese a inveire contro Nagash chiamandolo venduto, poser e così via. Non che i vecchi Covenant siano mai stati i Satanic Warmaster, però, quindi certe reazioni erano un filino esagerate. Anche perché, ad ascoltare Animatronic senza pregiudizi e senza considerare tutto il percorso fatto per arrivare a quel punto, ce lo si godeva benissimo; o quantomeno: io me lo godevo benissimo. Nel frattempo, nelle interviste, Nagash parlava di un gruppo completamente nuovo, con un grande futuro davanti, che avrebbe presto sfornato altri dischi sempre più sperimentali e ibridati, eccetera. Probabilmente successe qualcosa nel frattempo, perché i The Kovenant sparirono completamente dalle scene e di loro, passato il periodo promozionale di Animatronic, non si seppe più nulla per anni. Me lo ricordo bene, perché io invece ero in attesa di un nuovo album con aspettative altissime. Ricordatevi, amici: mai avere aspettative troppo alte.
E quindi un bel giorno uscì SETI. Erano passati quattro anni da Animatronic, un lasso di tempo decisamente troppo lungo per un gruppo il cui leader era poco più che ventenne. Io ero combattuto: conservavo ancora il fomento per il successore di quello che consideravo un disco bellissimo, ma allo stesso momento qualcosa mi puzzava.
Il risultato fu più o meno a metà tra quello che speravo e quello che temevo. Non so cosa intendesse fare Nagash, io ancora non l’ho capito e forse non l’ha capito neanche lui. SETI parte sullo stile di Animatronic, con Cybertrash e Planet of the Apes che in effetti sembrano una continuazione o quantomeno un’evoluzione dell’album precedente. Il resto del disco però si assesta su ritmi lenti, tendenzialmente moscetti, praticamente senza screaming e con un uso insistito, ma non strutturale, di effettini cibernetici, futuristici e cose del genere, il che vorrebbe identificare la cifra concettuale del disco. SETI infatti sta per Search for Extraterrestrial Intelligence, un programma della NASA per la ricerca, appunto, di intelligenze aliene nello spazio. Teoricamente molto affascinante, ma nella pratica risolto a metà.
Il problema principale è che il disco è troppo lungo. Quasi ottanta minuti che a un certo punto ti risucchiano e di cui non vedi più la fine, affogato tra un’infinità di canzoni che si susseguono senza troppi guizzi. Non capisci dove vogliano arrivare, cosa vogliano fare, che cosa vogliano trasmettere. La cover di The Memory Remains in fondo al disco sembra quasi uno scherzo. Sono tredici pezzi (più la cover), e quelli belli sono due, tre, forse quattro, e il migliore è Star by Star, che con i criteri di Animatronic potrebbe essere definita una semiballad o giù di lì. Gli altri non è che facciano schifo, ma sono troppi. Ottanta minuti di ‘sta roba è troppo. La produzione è fuori contesto, il suono è troppo definito e in particolare il rullante sembra un fustino del detersivo picchiato in una stanza con l’eco. Credo che SETI soffra della sindrome Chinese Democracy, anche se in piccolo: un disco promesso, rinviato e strombazzato per un periodo indefinito il cui autore, arrivato a un certo punto, non sa più come districarsi tra le mille idee e non riesce più a capire quale canzone inserire e quale lasciare fuori, arrivando poi a mettere tutto quello che riesce a contenere un CD. Anche adesso, che mi sono messo a riascoltare il disco per intero più volte dopo anni, mi ritrovo sempre a controllare a che canzone stiamo e quante ne mancano alla fine. Anzi mi sembra che lo spirito di SETI mi stia infettando, e che io stesso non riesca a chiudere la recensione. E quindi, visto che tutto quello che c’era da dire l’ho detto e che non credo che a molti interessi leggere di più, la chiudo qui. Concludo dicendo che SETI fu l’atto finale per i The Kovenant, che successivamente non fecero mai più uscire alcun inedito. Su Metal Archives il gruppo risulta ancora attivo, ma credo che a questo punto Nagash sia concentrato sui suoi Troll e che l’esperimento coi The Kovenant sia un capitolo chiuso. Per certi versi, meglio così. (barg)



Mah,….a me se sembra, almeno per questo pezzo, un lavoro dei Pain di Tangreen…onesto, ma poco personale, andrebbe sentito nell’ interezza..
"Mi piace""Mi piace"
ribadisco il concetto: bellissimo.
"Mi piace""Mi piace"