Signore e signori, ecco il mio disco dell’anno
Sembra la solita banalità, ma non è semplicemente possibile formulare un’opinione secca, perentoria, su alcun disco dei Malokarpatan senza prima passare attraverso diversi ascolti, un certo lasso di tempo per digerire la proposta, assimilarla e infine esprimere un giudizio qualitativo. Anche con decenni di esperienza nel riconoscere la merda dalla cioccolata e la capacità di farsi un’opinione abbastanza precisa su qualsiasi lavoro all’interno di un genere, il metal, che ormai si conosce come le proprie tasche, in tutte le sue sfumature possibili e immaginabili. Per quanto riguarda gli Slovacchi, in tal senso forse l’unica eccezione fu il debutto Stridžie Dni, sul quale le potenzialità o lo stile si intravedevano, ma erano però serviti in una forma sonora non ancora ben definita e un po’ più accostabile ad un canonico black metal internazionale di matrice e ispirazione più o meno novantiana. Un bel disco pure quello.
Voi direte che, considerando lo stile specifico attraverso il quale i nostri si esprimono, che quasi rifugge ogni tecnicismo e sembra a tratti essere molto primordiale, come da scuola boema e morava, non è poi così complicato stabilire se Vertumnus Caesar sia bello o faccia schifo. Niente di più sbagliato.
Fino a qualche giorno fa non avevo la più pallida idea di cosa scrivere su questo disco, e principalmente perché, come nello stile tipico di gran parte del metal che viene fuori da quelle parti d’Europa, è un disco strano, atipico, che affonda le radici in maniera profonda in una determinata cultura. I Malokarpatan non sono uno dei millemila gruppetti che affollano le scene estreme, tutti senza idee, tutti con gli stessi suoni e tutti con gli stessi pezzi. Mi pare che Nordkarpatenland nel 2017 e soprattutto Krupiske Ohne tre anni fa lo avessero messo ben in chiaro.
Vertumnus Caesar si cimenta, al contrario dei predecessori, non con la Mitteleuropa rurale, quella delle leggende gotiche per intenderci, ma con la swingin’ Prague del sedicesimo secolo, sotto la dominazione degli Asburgo e più precisamente di Rodolfo II. Questo disco è, per essere precisi, la colonna sonora perfetta per ammirare i gargoyle della cattedrale di San Vito.
Rodolfo, nato come molti dei rampolli d’Asburgo con tare fisiche e deformità dovute all’abitudine di quella potente dinastia di figliare tra consanguinei (i genitori erano cugini di primo grado), fu grande mecenate e amante delle scienze occulte. Tematica perfetta per i nostri amici stregoni dei Carpazi, visto che il suo regno coincise non solo con la rovinosa Lunga Guerra contro gli Ottomani, iniziata come possibile preludio ad una Crociata in cui si illuse di poter coinvolgere l’intera Cristianità, ma anche con l’esistenza del rabbino Loew, personaggio ammantato di leggenda e creatore del proverbiale Golem.
Il Nostro, dipinto da Arcimboldo come una macedonia di fruttaIl disco procede per capitoli, cominciando dall’infanzia, quando Rodolfo abbandona Vienna, lasciva e decadente, e viene mandato in Spagna per ricevere una rigida educazione cattolica. Proprio qui, mentre il pugno di ferro di Filippo II colpisce senza pietà gli eretici e li condanna al rogo, egli si appassiona alle scienze occulte e alle arti, che saranno la costante di tutta la sua vita, fino a portarlo all’impazzimento e alla morte all’età di sessant’anni. Rodolfo muore mentre è recluso ormai da anni nelle stanze del suo castello a Praga e dopo essere stato esautorato da tutti i titoli, tranne quello ormai simbolico di Imperatore del Sacro Romano Impero, dal fratello Mattia, suo successore.
Altro motivo per cui ho aspettato a scrivere di Vertumnus Caesar è che attendevo la pubblicazione dei testi, che essendo in slovacco desideravo tradurre anche solo sommariamente per rendermi conto di quanto lavoro ci fosse dietro. Questi infatti confermano il giudizio, ovvero che l’album è un altro disco della madonna ispiratissimo, con dietro una grande ricerca. Le parole che accompagnano ogni singolo capitolo stilizzano alla perfezione la vita di questa figura importante dei suoi tempi. Musicalmente poi riesce ad essere misterioso, epico e trascinante al tempo stesso, con citazioni di un heavy metal di altri tempi, riff ispiratissimi e divagazioni a tratti quasi progressive e psichedeliche.
Per me questo è il disco del duemilaventitrè, poi fate voi. (Piero Tola)


Non ho ancora avuto modo di dedicare del tempo a questo album. Credo mi toccherà sia rimediare, sia rispolverare i miei studi di boemistica… L’epoca che trattano è magica
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Disco sicuramente da top 5 di quest’anno lo adoro alla follia
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La corsa a fare i più fichi. Mondezza
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