La lista della spesa di Griffar: MJÄLTSJUKA, LE PROCHAIN HIVER
Eccoli, i MJÄLTSJUKA, nuovo gruppo di black atmosferico dalle tendenze molto ombrose e angoscianti nel quale milita come cantante Matthew Bell (ne ho parlato di recente in omaggio agli Skuggor); di tutto il resto si occupa Rasmus Rolling (più noto – neanche poi tanto – come Heiðinn, uno degli altri suoi progetti). La loro collaborazione ha portato alla nascita di questo Nordiska Svarthågor, full di quattro pezzi abbastanza lunghi, lenti e intrisi di melodie tetre, meste, a tratti non distanti dall’affranto, dal disperato, dal puro sconforto. Lo dimostrano anche titoli come In my Tomb of Solitude, The Only Way Out, Distant Howls of Agony che rammentano sin da subito il depressive black più spinto verso tematiche autodistruttive.
I tempi di esecuzione sono più lenti, le tastiere più in evidenza e usate con suoni molto fluidi, come ha fatto Bell stesso con gli Skuggar e con gli Spell of Fog, ma si può tranquillamente affermare che tutto il concept della band derivi da un ascolto assiduo dei primi tre dischi degli Shining (ossia i migliori) e dei primi due dei Forgotten Tomb, anche. O dei Lifelover, sebbene costoro seguano strade meno lineari rispetto ai Mjältsjuka, che invece non complicano eccessivamente le ritmiche e affidano quasi sempre alle tastiere le armonie più infelicemente depresse, usando le chitarre come mero accompagnamento o come riff a nota lunga armonizzato sulla base ritmica. L’unica sfuriata blast beat del disco arriva poco dopo la metà della conclusiva Distant Howls of Agony, brevi istanti prima che la velocità torni al consueto livello di lentezza. È questo ciò che differenzia maggiormente Nordiska Svarthågor dalle opere dei summenzionati illustri colleghi, che tendevano a usare di più la velocità. Un disco emotivo, molto coinvolgente, che non vi rallegrerà la giornata ma, se siete in quel mood un po’ così, demoralizzato, tardo-autunnale, quando fa buio presto Nordiska Svarthågor come colonna sonora ci sta a pennello.
Già dalla copertina si intuisce che l’atmosfera del nuovo disco dei francesi LE PROCHAIN HIVER non sarà allegrissima, dato che raffigura la carcassa di un cervo nella neve. Talvi (significa inverno in finlandese, ah, la globalizzazione, ora persino i francesi rinunciano ai titoli nella propria lingua) segue di due anni il loro debutto, Hiver 96, uscito per Drakkar records. Nonostante tutte le sei composizioni siamo ammantate di una mestizia spessa, quasi palpabile, quasi concreta, il disco è incentrato su riff in tremolo picking lanciati in un blast beat praticamente continuo. Non mancano tuttavia gli stacchi più lenti, in cui le atmosfere si fanno ancora più grevi e intervengono inserti di violini, chitarre suadenti (la conclusiva La fonte des neiges, stupenda, da brividi), pianoforte e flauti.
Il criterio compositivo di fondo dei Le Prochain Hiver ricorda molto quello canadese dei gruppi della Sepulchral records, a partire dai Forteresse passando per i Monarque per poi arrivare ai Frozen Shadows, attraversando la storia di almeno altri venti gruppi che questo tipo di suono lo hanno forgiato giorno dopo giorno. Quel che maggiormente salta all’orecchio sin dal primo ascolto del disco è la voce soprano di miss Dama Pandora (canta nei Dark Sanctuary, gruppo gothic metal con influenze classiche) che fa da contrappunto allo screaming estremo del cantante e chitarrista Hylgaryss, con vocalizzi molto suadenti che solo in rare occasioni esprimono testi di senso compiuto, mentre nella maggior parte dei casi sono solfeggi su note altissime che poi dettano la linea melodica del riff portante oppure la ricalcano fedelmente (complimenti per la tecnica non indifferente, tra l’altro); succede ad esempio nel pezzo che apre il disco, Allégeance, ma la sua presenza è costante in tutti i brani di Talvi e ne costituisce una peculiarità imponente, perché con tutta probabilità in sua assenza il responso sonoro sarebbe stato differente e non credo migliore. Quello che stupisce è l’abilità di amalgamare una musica aggressiva e furente, che fa suo il tipico suono tempestoso e turbinoso della bufera che infuria, con atmosfere così infelici e dolcemente romantiche – prendendo questa definizione in senso lato, perché in una scala di violenza da 1 a 10 Talvi si assesta su un 7 abbondante – ottenendo un risultato finale sorprendentemente fresco (non inteso in senso termico, anche se in questo disco l’inverno è il concept prevalente) melodicamente accattivante e personale. Vi riassumo tutto lo spiegone qui sopra in poche semplici parole: Talvi è un gran bel pezzo di disco. Esce per Antiq records in edizione limitata a 300 copie digipak oversize con un booklet da 20 pagine. Antiq è famosa per confezionare i suoi prodotti in modo spettacolare, quindi se il disco vi piace un pensierino ce lo farei. (Griffar)


