Avere vent’anni: PORTAL – Seepia

Compie 20 anni anche il debutto del quartetto australiano Portal, una band che zitta zitta ha rivoluzionato il mondo della musica estrema. Inutile dire che non risente minimamente dell’età, e che la musica che troverete in Seepia è quanto di più fresco ed attuale si possa concepire. Anche perché nessuno suona come loro, benché in tanti a loro si siano ispirati cercando di riproporre questo death metal sperimentale suonato spesso a velocità quasi grindcore, acidissimo, turbinoso, dissonante, frammentato senza perdere mai di vista l’obiettivo: cioè suonare death metal tecnico con un approccio diverso, il più possibile personale ed innovativo.

Non è la prima volta che scrivo di Seepia, e anche se l’archivio delle mie recensioni andò perduto (quando il primo gennaio 2011 il computer che fino al giorno prima aveva funzionato normalmente collassò, mostrando solo una schermata blu con sopra scritto “errore irreversibile di sistema” ed un codice. Non fu possibile recuperare niente di niente. All’assistenza tecnica mi dissero: “Ma fare una copia di backup su un disco esterno no? Non si può fare nulla, ricominci da zero”. Mi diedero gentilmente dell’idiota) ben ricordo che ne glorificai la potenza devastante, distruttrice ed annichilente. Insomma, mi sarebbe bastato ricopiare la mia vecchia recensione perché continuo a pensarne esattamente le stesse cose; ricordo che usai una metafora per descrivere l’impatto anche emotivo che Seepia ha sull’ascoltatore: immaginatevi di stare scalando una montagna, siete ad oltre tremila metri in un canalone. Salite faticosamente tra pareti di roccia che non offrono alcun riparo quando all’improvviso trecento metri di quota sopra di voi si stacca una frana enorme. La guardate venire verso di voi, impotenti e terrorizzati, la sentite travolgervi, frantumarvi tutte le ossa, dilaniarvi, prima del Grande Nulla.

Le chitarre rombano, ronzano, assumono il suono catastrofico dello spostamento d’aria dovuto ad una catastrofe naturale. La batteria è molto tecnica sebbene tenuta un po’ in ombra nel mixaggio, il basso è distorto e allucinato e trasferisce questa sensazione straniante nel muro sonoro della band, la voce gutturale varia e plasmabile a seconda del contesto, arrivando ad essere un roco bisbiglio se l’arrangiamento lo prevede. Sunken, Trascending a Mere Multiverse, The Endmills sono i brani più notevoli di un disco che, in poco meno di trentadue minuti, ha segnato per sempre la storia del death metal. (Griffar)

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