Avere vent’anni: TÝR – Eric the Red

Per la seconda volta ricordiamo un ventennale dei Týr in ritardo. L’anno scorso con How Far to Asgaard arrivai lungo di undici mesi, mentre con il presente Eric the Red sono a cinque mesi dopo. Sembra che ce ne freghiamo e invece non è affatto vero, perché i Týr sono uno dei miei gruppi preferiti, per lo meno fino a un certo punto della loro discografia, ma la verità è che non posso mai fare affidamento sulla mia memoria, inesistente, o sulle mie restanti capacità mentali. Cerchiamo per lo meno di rimediare al danno, annunciando fin da subito che Eric the Red è il capolavoro dei Týr ed è a oggi il loro album più significativo. Uscito per la faroese Tutl a giugno del 2003, contiene una sintesi perfetta del loro stile: metal classico, doom, folk, con una lontana vena prog che verrà fuori più avanti nel tempo. 

L’album si apre con The Edge, una bellissima canzone epica e variegata da arpeggi e passaggi più duri, in linea con lo stile del precedente How far to Asgaard; qui però si sente un deciso innalzamento della qualità, sia a livello di composizione che di suoni. Ha la particolarità di avere le strofe in inglese e il ritornello in faroese e introduce la storia di Eric Thorvaldsson, detto il Rosso, che venne esiliato per omicidio prima dalla Norvegia e poi, sempre per omicidio in una rissa, dall’Islanda. La fuga dal bando lo portò in Groenlandia nel 985. Il secondo brano è diventato uno dei più celebri del gruppo, Regin Smiður, ripreso direttamente dall’omonima ballata faroese che narra del mitologico fabbro Reginn, protagonista delle complesse vicende della Völsunga saga. L’andamento e la melodia sono quelli della ballata tradizionale e l’arrangiamento è talmente ben fatto che riesce sia ad essere rispettoso del materiale (medievale) originario che a creare uno stile nuovo e credibile.

TYR-ETRUn altro brano diventato popolare è The Wild Rover, famosissima ballata irlandese da cantare per lo più in birreria, che i Týr resero in una loro personale versione più nordica, evidenziandone la melodia, e al tempo stesso metallara.
Il terzo brano più popolare di Eric the Red è un’altra ballata tradizionale, Ramund Hin Unge, “Raimondo il giovane”, stavolta danese, che racconta di un eroe coraggioso che affronta vari pericoli e alla fine delle sue peripezie arriva a decapitare un imperatore. Dal momento che le Føroyar stanno alla Danimarca come la Sardegna sta all’Italia, vi dico che non è scontato che un faroese canti una ballata danese, oggi. A parte questo, è un altro brano che segue scrupolosamente la melodia e il testo originali, con quella sottile ibridazione con l’heavy metal in cui i Týr sono diventati maestri. Altri brani da ricordare sono Ólavur Riddararós, ballata faroese riadattata, che venne pubblicata come singolo nel 2002, e l’eponima Eric the Red, la quale si apre su un doom di arpeggi rarefatti e procede con un crescendo di intensità ed epicità da meditazione.

Eric the Red venne ristampato nel 2006 dalla Napalm Records con una copertina diversa, più fumettistica e peggiore dell’originale, e due brani in più, che erano nuove registrazioni di due brani del primo disco. Ad oggi rimane il miglior album dei Týr e il più rappresentativo della loro esistenza, in quanto riassume le loro principali caratteristiche musicali e immortala un particolare momento della loro creatività. Seguiranno altri ottimi album, come Ragnarok e Land, ma se si vuole capire la loro arte è meglio cominciare proprio da Eric the Red.

Eggin tykist mær bert ein gátt “Il confine (della morte) mi sembra solo una soglia”, pensò Eric.
(Stefano Mazza)

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