No, Karwoche non è un ritorno alle origini per i NOCTE OBDUCTA

In ben trent’anni di carriera, i Nocte Obducta di cose ne hanno dette un bel po’. Dallo sfolgorante esordio Lethe del 1999, come già Griffar ha ben sottolineato in uno speciale multiepisodio, i nostri teutonici hanno continuato a sfornare dischi di indiscutibile bellezza, riuscendo a sposare in modo perfetto la grezza energia del black e del death metal con ariose armonie di tastiera affini a tutt’altri territori musicali. La ricerca musicale del quintetto di Mainz si è evoluta costantemente, spingendosi verso lidi piuttosto distanti dallo stile delle origini sino alla realizzazione di un disco fondamentalmente progressive rock che, per qualche anno, era parso destinato a rimanere il loro canto del cigno. Durante quella fase storica si determinò anche un cambio di moniker, testimonianza forse di un periodo di “crisi” identitaria della band come “gruppo death/black metal”.

Questo ultimo disco, Karwoche (Die Sonne der Toten pulsiert), può essere considerato l’ultimo prodotto del ritorno dei Nocte Obducta sulle scene dopo la svolta prog. Una seconda – o forse terza? – fase della loro carriera che li ha visti riaccostarsi al passato, quasi in una reazione convulsa all’eccessiva sperimentazione precedente, ad eccezione del disco del 2013, Umbriel (Das Schweigen Zwischen Den Sternen).

Anche in questo disco il quintetto propone soprattutto riff diretti, lineari, tagliando considerevolmente gli stacchi melodici – siano essi di chitarra o di tastiere – che avevano contraddistinto i capolavori del passato come i due Nektar Teil o Galgendämmerung. Per il loro quattordicesimo lavoro in studio, quindi, i Nocte proseguono un percorso che a loro dire ha origine nel diretto predecessore Irrlicht, e mira soprattutto a celebrare il trentennale della band attraverso la ripresa di quello stile musicale che li aveva caratterizzati nella loro prima e primigenia incarnazione.

A detta del sottoscritto, questo è solo parzialmente vero. Indubbiamente la struttura delle canzoni di questo ultimo lavoro ricorda i dischi delle origini. Fatta eccezione per alcune variazioni di tempo, si denota l’assenza di qualsivoglia struttura e sonorità musicale avantgarde, o anche solo progressive. Allo stesso tempo però, in quest’ultimo full la musica è forse caratterizzata da una ruvidità maggiore rispetto agli stessi esordi. La ridottissima presenza di sezioni melodiche o atmosferiche, la scarsa variazione nell’uso della voce, la cui potenza sembra alle volte quasi soffrire di un eccessivo lavoro di postproduzione, e l’inesistenza delle sezioni sinfoniche, che invece abbondavano già in dischi come Lethe o Taverne, sono tutti elementi che rendono estremamente dissimili lo stile musicale di Karwoche e i precedenti lavori.

Probabilmente, un aspetto la cui consistenza rimane invariata durante le varie “fasi” musicali della band – quindi anche in questa di “ritorno alle origini” – è la capacità di riuscire a creare sonorità sinistre, dissonanti, malate. Grazie a questa capacità, anche Karwoche riserva momenti interessanti all’ascoltatore, con un songwriting comunque di livello superiore rispetto alla media delle band black metal, caratterizzato come già ricordato da repentini e copiosi cambi di tempo, in cui ai blast beat tradizionali si alternano sezioni in mid-tempo assolutamente ben congegnate che raggiungono il loro vertice, sfortunatamente, solo nella coppia di brani in chiusura, Balder e Schwarzbier und Feigen, curiosamente i più lunghi del disco. Sembrerebbe quasi che la capacità dei Nocte Obducta di creare tessiture musicali funzionali e coinvolgenti possa brillare appieno solamente con minutaggi corposi, e venga invece castrata quando provano a proporre brani più sintetici e diretti.

A conti fatti, mi sento di dire che Karwoche è un disco di mestiere, giudizio personale che già avevo espresso a proposito del precedente Irrlicht. Non aggiunge e non toglie niente alla gloriosa carriera dei Nocte Obducta. Non aggiunge e non toglie niente al panorama della musica estrema internazionale. (Bartolo da Sassoferrato)

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