Una chitarra, gli amici e un paio di birre: DUFF MCKAGAN – Lighthouse

Oltre ad essere particolarmente affezionato ai Guns n’Roses e a considerare Appetite for Destruction uno dei venti dischi da isola deserta, se non dieci, ho sempre ammirato Duff McKagan come talento individuale. Stiamo parlando comunque di un tizio che ha co-firmato pezzi tipo It’s so Easy, Nightrain, So Fine (per me una delle canzoni più belle di Use your Illusion) e altre. Avete presente ste canzoni, sì? Di che parliamo, quindi?

Duff è sempre stato l’anima “trasandata” del quintetto storico, che era comunque composto da tossici e sbandati. Lui ne rappresentava comunque il lato più punk, tant’è vero che le sue origini vengono proprio da là, musicalmente parlando: gruppetti punk o hardcore di una scena di Seattle che ancora non contava quello che sappiamo. Io l’ho sempre visto come un figlio spirituale di Johnny Thunders e infatti molte delle sue canzoni hanno lo stesso sentore di sporco, puzza corporea, degrado e dipendenze varie che potevano avere gli indimenticati Heartbeakers di L.A.M.F., ma anche quel feeling intimista di You can’t Put your Arms Around a Memory, semplicemente una delle più belle canzoni mai scritte.

Ricordo ancora l’uscita di Believe in Me, ormai trent’anni fa. Un disco forse un po’ confuso e ancora acerbo, ma con diverse note positive e permeato da un’aura di autodistruzione degna della migliore tradizione del rock n’roll. Trenta anni dopo, e successivamente a Velvet Revolver e altri progetti solisti, ecco che esce Lighthouse, con un Duff molto diverso da quello del 1993, quando da lì a poco sarebbe stato ricoverato d’urgenza perché il troppo bere e la troppa polvere bianca gli avrebbero quasi fatto scoppiare il pancreas. Da quel giorno il Nostro avrebbe abbracciato una vita di totale sobrietà, dedita allo sport, allo studio e alla musica, diventando un businessman fatto e compiuto ma senza perdere il talento che lo ha sempre contraddistinto.

Lighthouse è un bel disco, ancora una volta intimista, raccontato da una persona che in vita ne ha viste di cotte e di crude, e che forse qualche parola saggia o qualche messaggio importante ce l’ha per chi lo vuole stare a sentire. E la mente torna ancora a Johnny Thunders, nel senso che Duff Mckagan può essere definito un Johnny Thunders che, alla biforcazione della vita della rockstar, invece di scegliere la via dell’autodistruzione ha intrapreso l’altro sentiero, arrivando così a salvarsi e continuare a fare quello che ha sempre fatto meglio, ovvero scrivere belle canzoni ma senza intenti predicatori o rompicoglioni come certi personaggi che tutto ad un tratto si trasformano in suorette.

C’è un sapore puro e cristallino di semplice rock, per esempio in I Saw God on 10th Street, singolo anticipatore dell’uscita del disco, che da ballata acustica quasi di tradizione folk si trasforma nel finale in un riff elettrico semplice, coinvolgente e con tutti i crismi della pura tradizione americana, quella che tutto il mondo ama. Oppure Just Another Shakedown, che ci ricorda che il signor McKagan fa parte della progenie nichilista e caotica del punk, e che tra un’atmosfera rilassata riesce ad assestare anche qualche rasoiata, se non altro per spezzare la scaletta e dare una scossa.

Da segnalare anche le collaborazioni con Slash su Hope e Jerry Cantrell su I Just Don’t Know, e un cammeo di Iggy Pop che declama il testo sulla ripresa del tema di Lighthouse nel finale. (Piero Tola)

3 commenti

  • Avatar di Orgio

    Con tutto il rispetto per Duff McKagan, sul genere meglio il Mike Ness solista.

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  • Avatar di Valerio

    Non per niente fu Duff a cantare sulla cover di ‘(You Can’t) Put Your Arms Around a Memory’, inclusa in ‘The Spaghettti Incident?’.

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  • Avatar di Sam

    Invecchiato maluccio il Duff. Ma visto il passato, è già tanto che sia arrivato ad invecchiare.
    Comunque, rispetto i gusti e le opinioni, ma dal poco che ho sentito quest’album, biondo il mio modesto parere, è fiacco e noioso e, guarda caso, esce in un momento in cui i Guns n’ Roses stanno avendo un rigurgito di visibilità (non accompagnato da alcun rigurgito di qualità, purtroppo),
    Privo di qualsiasi verve o sussulto come i “nuovi” brani del Guns n’ Roses.
    Bocciato

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