La lista della spesa di Griffar: URLUK, ACTUM INFERNI

È già pronta una nuova legione di entità maligne pronte a fondervi lo stereo: cominciamo subito ché il tempo è tiranno.

Dopo l’EP Loss dell’anno scorso, arrivano al debutto vero e proprio i milanesi URLUK (termine dialettale per indicare i gufi e i loro simili) con un full di 5 brani, More, uscito per la francese Remparts productions. Viene proposto un black metal molto rallentato dall’impostazione assai retrò nel corso di cinque pezzi decisamente scarni e minimali, di cui solo la strumentale The Fog posta in apertura ha qualche divagazione melodica in più grazie alle tastiere suonate da un session. Altri synth vengono suonati nel corso degli altri brani da Carlo Altobelli dei Camposanto (e della Slughterhouse records). Gli altri sono tutti brani cantati seguendo i classici stilemi del genere, piuttosto lunghi o molto lunghi (Thoughts è da nove minuti e mezzo, onestamente un po’ troppi, un paio di minuti in meno non avrebbero nuociuto alla composizione), con idee discrete, trame interessanti e melodie gustose assai azzeccate per un prodotto che si cimenta con un black/death tendente al doom più cupo.

I due componenti si fanno aiutare da più elementi esterni e il risultato finale è piacevole, anche se si sente che è un debutto e che in futuro si potrà (e si dovrà) fare ancora meglio. More è comunque un disco che può interessare sia chi naviga nelle acque sulfuree e tempestose del black metal sia chi preferisce gli acquitrini maleodoranti privi di vita propri del death metal, non correndo alcun rischio di deludere né gli uni né gli altri. Leggete i testi mentre ascoltate il disco, valgono la pena ed aggiungono pathos alla musica.

Il ritorno a dodici anni di distanza dal precedente The Embodiment of Death degli ACTUM INFERNI (progetto solista del polistrumentista Draconis) è una bomba mica da ridere. Ve ne accorgerete ascoltando Uzurpator Niebiańskiego Tronu in cuffia o su un hi-fi come si deve, perché sono tali e tante le sovraincisioni, gli sdoppiamenti e le armonizzazioni delle tracce di chitarra che, a seguirle attraverso un altoparlantino da quattro lire come quelli dei telefoni o dei PC, ci si va a perdere una buona metà di quanto è stato creato per noi. Il disco si compone di tre tracce molto lunghe e una strumentale conclusiva un po’ più breve; 35 minuti che volano via e quasi costringono a ripetere l’ascolto dal principio per accertarsi di aver udito bene quel che è appena uscito dalle casse. L’ambito nel quale si muove Draconis è il fast black metal, e quando tira lo fa a velocità quasi impossibili, solo che poi, all’improvviso, cambia completamente genere, rallenta sensibilmente e si lancia in cavalcate strumentali che non sono neanche definibili speed metal quanto piuttosto heavy metal classico; queste digressioni sarebbe più normale rinvenirle in un disco di Joe Satriani o Patrick Rondat, se mai nel tempo questi due guitar hero fossero impazziti ed avessero deciso di suonare la loro musica come avrebbe fatto un gruppo black. Oppure nei dischi degli Armored Saint, dei Metal Church, dei Meliah Rage, stesso discorso: se non è heavy è power metal, alla larga.

Già nelle ritmiche il riffing viene sdoppiato regolarmente, anche nelle parti più veloci: una traccia viene tenuta in sottofondo con semplici progressioni di accordi aperti, mentre una traccia molto più alta  ricama la linea melodica del brano e detta la linea agli altri strumenti; in fase di assoli o bridge, che sono anche di durata piuttosto ampia, le tracce diventano tre o anche quattro, al fine di ottenere un effetto armonizzato classic metal, solo rivisto con sonorità black metal per amore di coerenza. Draconis è uno strumentista ben superiore alla norma, si cimenta con enorme successo persino negli sweep picking, usa soluzioni in tapping che fanno centuplicare la salivazione, tutte cose che io nei dischi black metal ho incontrato quasi mai, se non proprio mai e basta. È un compositore che la musica deve averla studiata parecchio, perché non si arriva a suonare in questo modo solo da autodidatta che fa pratica una volta ogni tanto; si scrive e si suona da solo i bridge che gli Helloween hanno sempre fatto in due pure utilizzando le sovraincisioni, e dopo magari riparte a mille all’ora accompagnando la carneficina con uno screaming acutissimo ed ossessivo. Uzurpator niebiańskiego tronu non è un disco normale, qui di normale o “nella media” non c’è assolutamente nulla, fa venire i brividi: è pura goduria, un altro gioiello nella serie apparentemente infinita di album (underground) grandiosi usciti nel 2023.  (Griffar)

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