Avere vent’anni: KHANATE – Things Viral

Things Viral è La Fin Absolue du Monde ma reale: come i film, anche la musica è magia e, nelle mani giuste, un’arma. A differenza di quanto accade nell’ultimo capolavoro di Carpenter però, qui averne iniziato a scrivere la recensione nel 2003 non renderebbe comunque nemmeno parte dell’idea. Il primo al confronto diventa preistoria. In realtà niente avrebbe potuto preparare alla portata di questo, non un disco ma la più brutale seduta di psicanalisi immaginabile per ognuno, una sonda nei recessi più oscuri del subconscio come probabilmente nessun disco prima e certamente nessun altro poi: astratto quanto confrontazionale, snervante quanto rivelatore, è l’abisso che guarda dentro di te, l’interpretazione numero due del finale di Taxi Driver, l’uomo misterioso di Strade Perdute che ti sta telefonando da casa tua. Titolo che senza volerlo prevede di diversi anni cosa sarebbe diventato internet, la comunicazione in generale e la condizione umana in particolare, letteralmente quello che siamo oggi: cose virali tra uno spazio bianco e l’altro, cellule che si riattivano il tempo necessario per vibrare di sdegno a comando alla nuova polemica del giorno, per i prossimi due minuti d’odio, poi di nuovo a vegetare e aspettare. I brani sono più che altro scheletri di ‘canzoni’ dove gli intervalli sono quel che terrorizza di più, la ridefinizione di silenzio assordante, mentre quel che viene lasciato intravedere innesca viaggi psichici cruciali nei particolarmente predisposti; per altri invece una rottura di balle, nessuna via di mezzo, in entrambi i casi nessun compromesso. È la noia l’ostacolo maggiore, probabilmente l’unico: al momento sbagliato, nel giorno, mese, anno o vita sbagliati, Things Viral è un supplizio particolarmente crudele e inutile. Viceversa, per chi ha le orecchie e lo stato mentale, tra i pochissimi dischi che sappiano dirsi formativi: per misurare con esattezza la soglia della sopportazione, della forza di volontà, del dolore, localizzare le colonne d’Ercole della sanità mentale, quantificare la capienza di mostri nel cervello prima di togliere gli ormeggi. Per quel che mi riguarda ci sono Exterminating Angel di Robin Crutchfield, i primi quattro dei Cure, i primi quattro della Rollins Band, e Things Viral; l’unica differenza è che Things Viral è il solo a cui non ritorno mai. Ho preso quel che mi serviva, resta in memoria, senza sarei un’altra persona, ma dubito lo riascolterò. Come tanti altri dischi cruciali è passato praticamente sotto silenzio, minimizzato innanzitutto dall’etichetta e dal gruppo stessi – tutt’altre le priorità per Southern Lord allora (Boris, Darkest Hour, i Probot del pestilenziale Dave Grohl), con White 1 i Sunn erano finalmente entrati nel giro giusto, Justin Greaves ci sarebbe entrato di lì a poco con il primo Crippled Black Phoenix e tutti i successivi, Plotkin e Alan Dubin avevano/hanno lavori veri. I Khanate tireranno avanti a corrente alternata il tempo di un mini e un altro disco, nel mezzo anni di oblio, fino alla riattivazione che è storia recentissima. Passati i decenni, cambiano le motivazioni: impossibile tornare ai livelli di un tempo ma si vive meglio con una valvola di sfogo e qualche gita fuori porta. (Matteo Cortesi)

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