Avere vent’anni: GALNERYUS – The Flag of Punishment

Ho smesso di seguire i Galneryus da qualche anno, così a naso direi almeno cinque anni e forse più, e quindi non ho idea di come possano essere gli ultimi lavori dei poweracci giapponesi; però, con l’occasione del ventennale, sono andato a ripescare The Flag of Punishment, primo lavoro dei Nostri che all’epoca fece un discreto botto, se non a livello internazionale sicuramente sulla scena metallara del paese del Sol Levante.

Che poi è piuttosto ironico che i Galneryus alla fine verranno conosciuti all’estero con album che di testi in inglese hanno giusto i titoli e qualcosa nei ritornelli (come da tradizione in Giappone, diciamo), piuttosto che con questo che è completamente nell’idioma d’Albione, anche se alla fine è stato sicuramente meglio per Yama-B cantare nella lingua madre, visto che si sente che su The Flag of Punishment non è proprio a suo agio. D’altronde non è manco l’unico: The Flag of Punishment è un album ruvido, grezzo, frutto di tante idee ma piuttosto fuori fuoco, sia nelle performance individuali che nei singoli pezzi, a volte eccessivamente tirati per le lunghe (anche se questo è un problema ricorrente nella loro discografia), altre non proprio ispiratissimi.

Per carità, i prodromi del buono che verrà (che per quanto mi riguarda è l’accoppiata One For All – All For One/Reincarnation, entrambi partoriti in evidente stato di grazia) col senno di poi si sentono, ma appunto “col senno di poi”. Per dire, ci sono pezzi fantastici, tipo Struggle for Freedom Flag, Final Resolution o United Flag, e altri che sono delle vere mattonate sui coglioni, vedi The Garden of the Goddess, In the Delight, Requiem, Child of Free e varie ed eventuali.

Ecco, se non li avessi conosciuti con One For All – All For One per poi andare a ritroso e avessi invece ascoltato per primo questo Lp, probabilmente non avrei atteso il successivo. Comunque vi lascio la riproposizione dal vivo di Struggle for Freedom Flag, risalente a qualche anno dopo, che mostra quanto sono maturati nel frattempo, se non altro per l’aver abbandonato i costumi di cartapesta da carnevale di Viareggio propri dei gruppi visual key giapponesi. (Cesare Carrozzi)

Un commento

  • Alberto Massidda
    Avatar di Alberto Massidda

    Penso che sto disco in Italia lo conosciamo in 3 😀
    Cmq si`, parte fortissimo con Struggle For Freedom Flag (anche se dopo l’urlo iniziale la strofa si smonta un po’, in qualche modo; forse e` la produzione all’osso) e poi rompe un po’ subito

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