La lista della spesa di Griffar: BEYOND THE PERMAFROST, KVAD
I BEYOND THE PERMAFROST sono un gruppo francese esordiente. Esordiente si fa per dire, perché i due personaggi coinvolti suonano entrambi negli ACOD e uno dei due anche in Celestia e Mortifera, entità solidamente radicate nel sottobosco del black francese da decenni. Lo scopo è scrivere black metal avendo come punti di riferimento il movimento Black Legions e la scena scandinava degli albori. Si può dire che l’obiettivo sia stato raggiunto, perché questo debutto Fallen From the Throne è un onestissimo disco di puro black metal tradizionale, scaraventato in faccia all’ascoltatore con l’energico utilizzo di chitarre piene e roboanti suonate prevalentemente ad alta velocità. Ma con tutta probabilità scapoccerete lo stesso col riffone mid-tempo che apre Call of the Darkest Past, ruvido, roccioso, d’impatto non da meno degli altri brani impostati su tempi di metronomo di gran lunga più frenetici. Poi anche questo pezzo parte a mille all’ora con il classico riff monocorda tre/quattro note e via: ma questo è il black metal ortodosso, e cambiarne le regole oggi, ad ottobre 2023, mi domando che senso potrebbe avere.
Va comunque precisato che i Beyond the Permafrost non inventano assolutamente nulla, sono dei buoni riciclatori di cose già fatte migliaia di volte in passato. Però sono riusciti a firmare per la Naturmacht, piccola etichetta tedesca con un roster da major per qualità dei gruppi e delle uscite, non certo gli ultimi arrivati. Hanno anche loro una politica di limitazione piuttosto stretta (di questo CD esistono solo 200 copie) ma anche una distribuzione globale capillare, un servizio di spedizioni di primissimo livello e soprattutto si ha la fondata probabilità che non si sprecheranno soldi acquistando qualunque loro disco. Fallen from the Throne annovera sette composizioni: mi lascia un po’ interdetto il fatto che ben due di esse siano brevi interludi strumentali, uno suonato con chitarra acustica e l’altro composto da effetti ambient già sentiti e risentiti, e che siano posizionate come quinta e settima, ravvicinate sul finire del disco visto che la traccia che li divide (A Tragic End under a Majestic Frost) è una delle più brevi canzoni “vere” della scaletta. Peccati d’inesperienza, forse. Vedremo se il progetto avrà un seguito, giacché essendo un side project non è così scontato che succeda; intanto per gli appassionati del classico black metal primi anni ’90 un nuovo nome valido si aggiunge alla lista infinita di band che vale la pena ascoltare.
Praefuro è l’entità maligna che si cela nell’ombra di Solus Grief e Unholy Craft, ma questo non gli basta, e così con lo pseudonimo Peregrinus adesso porta avanti anche la sua più recente creazione, i KVAD. L’essere nata in tempi discretamente recenti (2022) non gli impedisce di annoverare nella discografia già due full e un mini. Questo criminale (che nei Kvad si fa aiutare da un batterista) ha la spiccata propensione a pubblicare dischi a raffica: nel 2023 con gli Unholy Craft ha realizzato altri due full e uno split, e ancora un altro full sotto l’egida Solus Grief. E poi ha anche un altro paio di gruppi in piedi, quindi non manca molto prima di ascoltare altre sue creazioni.
Essendo norvegese, mi pare logico che il suo sia black metal ispirato dai grandi nomi della sua terra d’origine. La musica dei Kvad è più aspra però, raw black metal impostato su sonorità molto low-fi, il che conferisce a tutte le composizioni una malignità abissale. Poi usa effetti sulla chitarra che la distorcono, la riverberano e la acidificano in modo quasi stridente, come quel suono del gessetto strofinato sulla lavagna che fa drizzare i capelli in testa anche a un non udente. Ci sono inoltre arrangiamenti di tastiere “cosmiche”, siderali. L’effetto ottenuto è raggelante come buon black norvegese comanda, ma, sebbene i Kvad vengano definiti atmospheric black metal, qui di atmosferico non c’è praticamente nulla. So Old è violentissimo, quasi parossistico, non lascia quasi mai tregua e dura quasi 52 minuti, non pochi per un’opera così tanto impostata sulla furia sonora più calamitosa, al termine dei quali se imprudentemente si butta su un po’ di volume ci si troverà ad avere le orecchie che ronzano e un principio di emicrania. Nonostante queste righe sembrino descrivere So Old come un’opera sgraziata e rumorosa non è per nulla così, le composizioni sono ben studiate e strutturalmente intrise di sottile ma maligna melodia. La voce ovviamente in screaming estremo accompagna perfettamente le partiture, anch’essa riverberata e rammentante le urla di qualche perfidissima entità infernale proveniente da profondi abissi di dolore e disperazione. So Old è un disco che fa male, è black norvegese rivisto in ottica moderna, non può e non dev’essere ignorato. (Griffar)


