Avere vent’anni: GORGOROTH – Twilight of the Idols

Nella fantasia dei blackster della prima ondata, alla quale io anagraficamente appartengo (ahimè) giocoforza visto che nel 1992 avevo vent’anni, i Gorgoroth hanno inciso quattro dischi: Antichrist, Pentagram, Under the Sign of Hell e Destroyer. Quest’ultimo uscì per Nuclear Blast e fu probabilmente questo insignificante particolare a far storcere il naso a molti degli estimatori della primissima ora, anche per via di una produzione giudicata non all’altezza del blasone del gruppo. Sarà, ma a me il disco piacque sin dal primo ascolto, una batosta come essere investiti da una slavina di neve ghiacciata. In tanti non capirono che Destroyer stava aprendo la strada al raw black metal: se ci fate caso molti dei dischi dei quali parlo oggi negli articoli che periodicamente dedico a questo sottogenere – oltre 20 anni dopo la sua uscita – hanno un responso sonoro persino più caotico, ma l’idea di fondo arriva da quel disco lì. Bisogna riconoscerglielo. Destroyer kicks asses.

Poi, esattamente come successo per i Marduk che, dopo aver distrutto tutto (anche il loro futuro) con Panzer Division Marduk, decisero di cambiare stile – perché oltre il deserto di macerie non ci si sarebbe potuti avventurare – tarpandosi le ali con quell’immensa schifezza di La Grande Danse Macabre, i Gorgoroth cambiarono di colpo, pubblicando quell’oscenità di disco intitolato Incipit Satan, insulso, rammollito, moscio come il mio cazzo dopo 25 chilometri di nordic walking. Un disco che, sorpresa tra le sorprese, ebbe un buon successo di pubblico e di vendite ma che all’interno della band deve aver causato sconquassi, visto che non troppo tempo dopo la sua uscita Tormentor (uno dei due membri fondatori) se ne andò sbattendo la porta, seguito a ruota da Sjt. Erichsen che era arrivato apposta dai Molested ad incidere le parti di batteria del summenzionato deplorevole lavoro. Incipit Satan non ci mise molto a mostrare la corda, e per il nuovo album – uscito dopo tre anni, distanza minima di sicurezza da una ciofeca – era necessario proporre qualcosa di diverso, ritornare sui propri passi e cercare di scrivere pezzi più consoni ad un passato incontestabilmente glorioso. Salutato e non rimpiazzato Tormentor, reclutato un nuovo batterista con trascorsi nei Bak de syv Fjell e nei Sahg (più che discreto progetto di power/death metal, recuperateli se vi capita), nel 2003 esce il sesto album Twilight of the Idols (In Conspiracy with Satan), titolo impegnativo e sottotitolo rivolto ai fasti di una gloria oramai antica.

È palese il tentativo di rimediare all’errore di Incipit Satan; del resto fare peggio sarebbe stato avvilente. I brani tornano a essere assai più veloci, energici e malvagi, in definitiva più consoni a un gruppo che la storia del black metal norvegese ha contribuito a scriverla in modo concreto e significativo. Non è tutto oro ciò che luccica, tuttavia. Il disco è piuttosto breve, sette brani più una outro del cazzo da neanche un minuto messa lì per l’anima di non si sa bene cosa, 32 minuti e mezzo. Va bene così, la durata è quella giusta, perché in quasi tutti i pezzi ci sono passaggi azzeccati e altri che lasciano piuttosto indifferenti. A concentrare le parti migliori ci sarebbe uscito un ottimo EP in stile vecchi Gorgoroth da 4 pezzi e 16 minuti di durata, ma secondo voi la Nuclear Blast glielo avrebbe consentito? Ma neanche per sogno, il discorso tra le parti dev’essere stato del tipo: “Ehi bastardi! Avete firmato un contratto ed è ora che muoviate il culo ed andiate a fare un disco prima che veniamo a invadere di nuovo la Norvegia solo per vedere le vostre schifose carcasse crocefisse lungo le vie di Bergen! E vedete di fare qualcosa che venda almeno 100mila copie, se no vi sbattiamo fuori a calci nel culo”. Vista la gentile esortazione, Gaahl, Infernus & soci si sono messi d’impegno e hanno provato a ritornare ad un passato che non avrebbe mai potuto essere uguale al presente, non fosse altro perché Tormentor non era più della partita. Così, tra ammiccamenti al black metal più rozzo e volgare contenuto nei primi quattro dischi ed altrettanti al death metal scandinavo proto-black era-1990, sono stati scritti 7 brani non lunghissimi (il più lungo l’ultimo Of Ice and Movement…, 6 minuti e 40” ma ha una outro anch’esso e precede la outro vera e propria, un difetto di montaggio nella scaletta non insignificante), non particolarmente melodici o smaccatamente commerciali. Si lasciano ascoltare, come detto hanno dei picchi in grado di destare l’attenzione sebbene soffrano altresì di cali che non pareggiano le parti migliori del disco. Il risultato finale è un lavoro di certo più interessante di Incipit Satan, tuttavia neanche lontanamente paragonabile ai fasti del loro eminentissimo passato. Si sente oggi come si sentiva allora, e credo che pochi – ma più probabilmente nessuno – citeranno mai Twilight of the Idols come proprio disco preferito della band. Se qualcuno lo fa buon per lui, ma credo dovrebbe allargare l’orizzonte dei suoi ascolti con una certa urgenza.

Il fatto è che quando imbocchi il viale del tramonto il declino è inevitabile e raramente si riesce a percorrerlo a ritroso. Non succede quasi mai. Continui cambi di formazione, scazzi tra i membri storici per questioni di diritti e copyright, cause in tribunale, Gaahl che ci metteva del suo con le sue pagliacciate modaiole diversamente etero (cosa ci facesse in un gruppo come i Gorgoroth ho sempre faticato a capirlo), se ne andava, poi tornava, poi spariva ancora… Twilight of the Idols ha un titolo che spiega molte cose. È il loro penultimo disco che io abbia comprato: Ad Majorem Sathanas Gloriam uscì per Regain records nel 2009, è molto simile a questo che non è che sia proprio imperdibile (naturalmente la Nuclear Blast li scaricò, viste le vendite non eccezionali), acquistatolo ed ascoltatolo qualche volta cercando di farmelo piacere mi sembra di aver pagato loro il debito di riconoscenza che giocoforza avevo contratto, perché senza i Gorgoroth non è detto che sarei oggi quello che sono. Poi basta però, e la riedizione di Under the Sign of Hell – nel 2011, immondizia inavvicinabile – mi ha fatto alfine capire che ho fatto bene a considerarli un progetto morto e sepolto già da allora. Non incidono niente da Instinctus Bestialis del 2015 (meno male, vien da dire) ma, se anche dovessero malauguratamente tornare con un disco nuovo, non credo gli concederei un solo minuto del mio tempo. (Griffar)

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