Avere vent’anni: ALL SHALL PERISH – Hate. Malice. Revenge

Quando comprai questo CD nel lontano 2003 io il deathcore non sapevo neanche cosa fosse. Principalmente ascoltavo black, death e brutal death (come oggi del resto), e, avendo smesso da tempo di frequentare i forum, il sottogenere è venuto fuori senza che me ne accorgessi. Lo comprai prima di tutto perché usciva per Amputated Vein, etichetta che ha per il 99% un orientamento brutal death/grind/gore eccetera. Di materiale del loro catalogo ne ho diverso ed è tutto un grondare sangue, pus, infezioni, serial killer e altre amenità simili. Pensavo inoltre di trovarmi al cospetto di un gruppo simile ai Man Must Die inglesi (i due moniker in pratica significano la stessa cosa, e io adoro i Man Must Die) ma ovviamente non è così, perché il death metal degli albionici è molto più lineare e canonico. Devo dire che Hate. Malice. Revenge non mi dispiacque allora come non mi dispiace oggi: all’epoca il gruppo era di sicuro più libero di comporre musica senza le pressioni che deve avergli dato la Nuclear Blast, che li ingaggiò al volo visto il più che discreto successo che il disco d’esordio ottenne e visto il nuovo hype che stava crescendo intorno al genere. Figuriamoci se i tedeschi avrebbero perso l’occasione di infilarcisi in mezzo, se si può tirare su qualche soldo questi qua sono sempre presenti.

La dimostrazione che alla Nuclear Blast hanno smesso di capirci un cazzo di musica da tempo è che, come apripista per il secondo album The Price of Existence, usarono un 4-way split con i Blind Guardian (!!!!!!) e altre due band che non conosco e non ho mai voluto conoscere. Figuriamoci. Il diavolo e l’acqua santa. I dischi degli All Shall Perish sotto Nuclear Blast li ho comprati tutti ma non mi piacciono quanto questo esordio, molto più ibridato con il brutal death, con partiture al limite dello schizoide. I brani sono letteralmente sbriciolati, al punto da essere impossibile prevedere che cosa possa arrivare dopo un blast beat o a un rallentamento pesante come un ippopotamo che se ne infischia della dieta e dell’alimentazione sana: un roccioso riff death metal, uno stacco thrash tecnico, un assolo melodico di chitarra, un riff sincopato e dissonante, letteralmente qualunque cosa. Qualsiasi cosa, in soli 36 minuti di musica. Il tutto con un filo conduttore prettamente brutal death. Se da un certo punto di vista questa caratteristica rende Hate. Malice. Revenge un po’ dispersivo e poco immediato, da un altro lo rende interessante al punto di solleticare ripetuti ascolti per cercare di capire dove il gruppo volesse andare a parare. Le influenze core, più smaccate nei dischi successivi e sicuramente incentivate dai manager dell’etichetta tedesca, in questo episodio sono quasi marginali. Io continuo a considerare quest’album come una forma di brutal death tecnico e vario, violentissimo, suonato alla grande, con un growling spaventoso stile Lord Worm ad accrescere la percezione di orrore e violenza.

Secondo me chi vuole accostarsi agli All Shall Perish dovrebbe cominciare con questo disco, perché è il loro apice. I successivi sono violenti sì, tecnici anche, forse più rifiniti – e questo tolse loro molta dell’ingenua spontaneità che spesso fa la differenza tra un buon disco e un grande disco. Tant’è vero che la band implose, i suoi componenti cominciarono a non sopportarsi più tra loro e dopo tre dischi in cinque anni per Nuclear Blast si disgregò e scomparve. Un tentativo di resuscitarla fu fatto qualche anno dopo, fallendo miseramente. I vari membri sono ancora lì che si litigano il nome All Shall Perish, ma possiamo tranquillamente considerarli morti e sepolti. (Griffar)

3 commenti

Lascia un commento