Avere vent’anni: DEW-SCENTED – Impact

Faccio molta fatica a mettere a fuoco i Dew-Scented a vent’anni dall’ultimo ascolto di un loro album. Sebbene scrivessi su una webzine, nel 2005 trovai il modo di bypassare Issue VI e da allora non ci rimisi mano. Due anni prima, però, Impact lo dovetti recensire su costante forzatura del webmaster del sito, uno che non scriveva mai ma che s’incazzava se non recensivi gli album che teneva a cuore. La regola generale era il tupatupa, il che aveva trascinato un thrasher sopraffino come lui negli abissi di tutta la merda svedese che andava uscendo a quei tempi. I Dew-Scented li adorava, perché, a differenza di The Haunted e cugini vari, il DNA della Bassa Sassonia ne faceva una versione più orientata al thrash metal rozzo oltremisura. Comunque chiunque ascoltasse le liquefatte e nauseanti fuoriuscite degli scoli del porcile svedese poteva tranquillamente sciropparsi i Dew-Scented con gran goduria e rotolarsi ancora un po’ in quel bestiale bailamme.

Impact era il proseguimento dei Dew-Scented maturi inaugurati dal precedente Inwards. I primi album avevano mantenuto una fiera attitudine low-fi, in controtendenza al generale ripulisti delle produzioni dell’epoca: al quarto tentativo cedettero anch’essi alla tentazione – o alla regola – e al quinto si ripeterono seppur con buon gusto. Impact era ben prodotto ma non era né un plasticone di merda né un disco dall’appeal sfacciatamente moderno. Aveva i riffoni in stile Slaughter of the Soul, o al limite in stile The Haunted, ma era in sostanza un album thrash metal. Chiunque in sede di recensione ne parlava come fossero un gruppo death per via della voce caustica del biondo Leif Jensen, oggi nei Phantom Corporation in seguito allo scioglimento dei qui presenti Dew-Scented.

Non chiedetemi di parlare di questa o di quell’altra canzone di Impact: sono tutte uguali, tutte a presa rapida, tutte forgiate da quello snervante seppur efficace tupatupa a martello. Un album alla lunga noioso ma che, se rimesso per una decina di minuti, qualche scapocciata ve la farà fare anche oggi. Soprattutto dopo esservi disintossicati da quella insostenibile overdose di musicaccia svedese tutta uguale, alla quale fummo sadicamente sottoposti per cinque anni buoni. (Marco Belardi)

5 commenti

  • Avatar di Matteo Piotto

    Musicaccia perpetuata a tratti dai Kreator da Violent Revolution in poi. Adoro i Kreator, ma quei passaggi melodeath creati da Sami mi servano. Ridateci Vetterli!

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  • Avatar di andrea

    scusate avrei una curiosità ma nei vinili(soprattutto metal ma anche in generale) c’è un libretto con testi come nei cd? ci sono confezioni di plastica o solo di cartone?

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    • Avatar di griffar

      Dipende da cosa compri. Oggi le etichette preferiscono edizioni di lusso, con poster, booklet a più pagine, testi, disegni, fotografie, artwork complessi. Un po’ lo fanno per fidelizzare il cliente, un po’ per fomentare il mercato del collezionismo proponendo svariate versioni dello stesso disco una più limitata dell’altra, colori stravaganti (il classico nero è diventato raro e oramai è tra tutti il colore più limitato in assoluto, nel senso che se ne stampano pochissime copie a discapito di tutte le altre varianti), così i prezzi lievitano. Per esempio, conosco un ragazzo che possiede “Scum” dei Napalm Death in 20 colori differenti. È sempre lo stesso disco, ma quando si entra nel gorgo del collezionismo poi si viene risucchiati nell’abisso. Se ci fai caso oggi si preferisce sovente l’edizione in doppio vinile, sempre gatefold, anche se l’album dura 40 minuti o anche meno; uno/due brani per lato, meglio se 45 giri, vinile 140 o 180 grammi. Tutti particolari determinati a “coccolare” l’acquirente, a convincerlo di aver comprato qualcosa di speciale, di unico.
      Per quanto riguarda le copertine, io di vinili ne possiedo circa 4000 e sono tutte in cartone stampato. In plastica non ne ho mai viste, i picture disc sono casi a parte che o non hanno copertina (la busta che li contiene non è una copertina) o se ce l’hanno è essa stessa di cartone.

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  • Avatar di griffar

    Ci sono ancora etichette che producono edizioni più scarne, più spartane: il disco nella classica busta in carta bianca, la copertina e basta come succedeva negli anni ’80/primi ’90 e nient’altro. Sono generalmente prodotti molto underground pubblicati da etichette molto piccole con ridotte potenzialità economiche. Oggi stampare un disco in vinile ha un costo alla fonte che rasenta il delirio, chi non ha molti mezzi tende a tagliare il superfluo. Tanto, chi vuole il titolo in vinile se lo compra per la musica, non per gli aghi di pino dell’Antartide inclusi in una bustina all’interno della sleeve.

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  • Avatar di max

    i vinili odierni sono fighi, tutti colorati nel gergo splatter vinyl, i testi sono messi in un unico foglio. Nei vecchi vinili non c’era nulla ma alcuni avevano la copertina apribile formando un poster. Tipo madonna erotica con lei quasi in topless, i rainbow con un arcobaleno gigante, i led zeppelin Physical Graffiti con un edificio con le finestre apribili ecc

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