Avere vent’anni: POISON THE WELL – You Come Before You
Ve la ricordate quella terribile iattura del trend metalcore e di tutte le sue varianti? Verso la fine della prima metà dei 2000 iniziò a diffondersi il virus di questo maledettissimo genere che, inspiegabilmente, fece breccia non solo nel piccolo orticello della scena – più o meno – estrema ma anche nel grande pubblico. Ovviamente questa sbornia collettiva è durata poco, per fortuna, anche se ho scoperto che molti gruppi di quel periodo continuano a pubblicare ancora dischi, ovviamente tutti uguali e sempre di merda.
Nel periodo “d’oro” di queste sonorità, incredibilmente, le cose migliori venivano proprio dai gruppi che appartenevano al sottogenere dell’emocore in cui, diciamoci la verità, all’epoca si infilava un po’ tutto quello che aveva i ritornelli puliti, senza troppa attenzione, includendo cose che avevano ancora meno a che fare con il metal. Non sto parlando ovviamente di quegli immondi gruppi venuti su per battere il ferro finché è caldo e che impazzavano su MTV e sugli altri canali musicali dell’epoca (tutti morti, ovviamente), ma di gente che proveniva da scene assolutamente rispettabili e che, a volte anche solo per un album, hanno pubblicato cose interessanti.
In questo contesto ricordo che, tramite il mio prode coinquilino dell’epoca, Roberto Angolo, scoprii i Poison the Well.
Roberto Angolo era il mio principale negozio di fiducia, perché all’epoca comprava un quantitativo di album che non può essere descritto a parole: servirebbe una sua liberatoria per pubblicare le foto dell’epoca (confermo tutto: la stanza di Roberto Angolo era un incrocio tra una di quelle edicole che si espandono su 30 mq e la Biblioteca di Alessandria, ndbarg). E ve lo dice uno che nella sua vita ha dilapidato un patrimonio per la musica.

I giri per negozi di dischi nel corso dei weekend si concludevano con vagonate di album. Sono ancora convinto che Discoteca Laziale si inventò i cestini all’ingresso per rendere più agevoli gli acquisti di Roberto. La cosa migliore era che la selezione era vastissima e conteneva anche chicche rare, e il prode Angolo spesso si spingeva in generi che magari non avrei mai approfondito autonomamente.
“Ma che è sta ********?” (termine che autocensuro per evitare di dare problemi al blog da parte della polizia morale di facebook), avrò chiesto la prima volta a Roberto quando è entrato in casa la copia di You Come Before You, spinto dall’odio verso certe sonorità e dal pregiudizio verso qualunque cosa avesse a che fare con l’emo e senza avere la minima intenzione di essere smentito.
Poi, tra una partita di Dead or Alive, Marvel Vs Capcom 2 o Street Fighter (dove le buscavo sonoramente ogni volta) e un’altra, è capitato di mettere su il disco. E mi sono innamorato dei Poison The Well.
Seppure il loro apice e il loro disco più riuscito resti il precedente Tear From the Red, You Come Before You resta quello al quale sono più legato e che meglio è capace da fungere da introduzione alla band. Per un semplice fatto: perché i suoni, la produzione e i ritornelli sono pazzeschi. Ti si stampano in mente dopo due-secondi-due e non se ne vanno più. E perché, quando si tratta di menare, i Poison the Well non si tirano indietro e non lo fanno nel modo monotono, monocorde e noioso di molti gruppi del genere, ma sempre con personalità e cercando di creare qualcosa di diverso.

Anche dopo vent’anni, quando parte Ghostchant mi esalto come un ragazzino, non c’è niente da fare. Il passaggio dall’inizio rabbioso e sincopato a quel ritornello della M-A-D-O-N-N-A non è da tutti e denota una capacità melodica sopra la media. E il bello è che i quarantatre minuti di You Come Before You sono quasi tutti così: dal bellissimo riff di For a Bandaged Iris allo spleen di Meeting Again for the First Time, da A)The View From Here is … B)A Brick Wall (forse la mia preferita) al singolo Apathy is a Cold Body, fino alla conclusiva Crystal Lake, si resta preda di questi riuscitissimi e repentini cambi di atmosfera, che sono la quintessenza della cifra stilistica del gruppo.
Non tutte le canzoni sono sullo stesso livello, qualche calo c’è e oggi si avverte ancora di più, ma ciò non toglie viene sempre voglia di rimettere su il disco. Quindi, alla fine, sticazzi, anche perché è un disco che regge assolutamente la prova del tempo. E ora scusatemi, fa caldo come il 2003, la sessione estiva è finita e vado a buscare combo dal mio coinquilino mentre programmiamo qualche festival nella consapevolezza che il futuro non è scritto e senza avere neanche un pensiero per la testa. (L’Azzeccagarbugli)

Inserire i PTW nel calderone dei brutti gruppi metalcore sarebbe stata un’ingiustizia. Sarebbe poi carino un articolo che definisce cosa è davvero il metalcore e cosa è davvero l’emocore…..così visto che arriva l’estate e non avete una fava da fare.
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Il metalcore è un errore di interpretazione dei Pantera.
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Definizione spettacolare
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