Il doom black islandese colpisce ancora: SÓL ÁN VARMA – st

La miseriaccia, se sono pesanti. Opprimenti, grevi, malmostosi, definiteli come volete, ma per ascoltare il debutto omonimo degli islandesi Sól án Varma ci vuole una certa preparazione mentale. Intanto il disco è composto da dodici brani, tutti denominati Afbrigði seguito da un numerale in cifre romane da I a XII, e dura 67 minuti. Cose simili fanno pensare ad un unico brano suddiviso in dodici parti e almeno in questo caso non si sbaglia per nulla, perché l’ascolto ha senso se fatto dall’inizio alla fine: già usando la funzione random l’effetto che si ottiene non è lo stesso.

I primi tre pezzi sono i più impegnativi, da soli contano per quasi la metà dell’intero lavoro e, com’è ovvio, sono gli alfieri di quanto si potrà ascoltare nel resto dell’album. C’è molto funeral doom in questi solchi, ma – come nel secondo brano, solo per citare una delle digressioni – non mancano le sfuriate black metal, il che un po’ sorprende perché sulle prime non si immagina che questi islandesi vogliano spingersi più di tanto in territori estremi. Ci si sbaglia, invero.

Quando i Sól án Varma inseriscono parti black metal lo fanno a ragion veduta e lo sanno fare anche molto bene, come apprezzeremo in seguito. Ma il loro campo d’azione in questa prima parte dell’album è il doom metal, che sia lentissimo o qualcosa meno, che sia maestoso, talvolta epico (ascoltatevi il finale del secondo brano, lo stesso citato poco sopra: è il pezzo più lungo di tutto il disco e cambia mood trentacinquemila volte in 9 minuti e mezzo), elettrico oppure ambient, a tratti rimembrante gli ultimi Solstafir, che qualche discepolo in patria debbono ben averlo allevato; i minuti iniziali del disco offrono un genere di metal che successivamente viene ripreso solo a tratti (Afbrigði X, esempio).

Dopo il quarto pezzo, sempre in bilico tra un’impostazione lenta e poderosa saggiamente intersecata con staffilate più veloci, i brani si alleggeriscono un po’ nella struttura, diventano più brevi, meno criptici, aumenta la velocità di esecuzione e si privilegiano partiture di black sperimentale contaminato con il death, con un risultato onirico, siderale, assai tecnico, intricato, situazioni che non sarebbe anomalo ritrovare in un nuovo disco dei Sulphur Aeon (l’album in versione fisica esce per la Ván Records, guarda caso) giusto per fare un nome che grazie al cielo quasi tutti conoscono.

In sostanza è palese che i Sól án Varma non si siano posti troppi limiti stilistici e abbiano scaraventato nei loro brani tutto quanto gli è piaciuto ascoltare negli anni passati, senza stare a menarsela troppo su cosa si poteva fare oppure no; in fin dei conti nessuno vieta nulla a nessuno, almeno per il momento, quindi perché non passare dagli Skepticism agli Oreida ai Misthyrming ai Sulphur Aeon nel contesto dello stesso disco, quando non dello stesso brano? Se ci sono le capacità tecniche (e non difettano, credetemi), se c’è creatività, convinzione, se ci sono idee vincenti, chi ti proibisce di proporti al grande pubblico con dischi che difficilmente lasceranno distaccato l’ascoltatore? Anche perché, mischia che ti mischia, dovessi indicare uno e un solo gruppo al quale i Sól án Varma somigliano sarei in decisa difficoltà. Percepisci variegature di questo e di quell’altro, ma sono amalgamate talmente bene che il suono è innegabilmente definibile come personale e, giunti a questo punto, credo non ci sia altro da aggiungere se non un energico consiglio di andare ad ascoltarvi questo gran bel dischetto prima che potete. (Griffar)

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