Il black metal è (al)la fine del mondo – Speciale black cileno

Una piccola carrellata di progetti black metal provenienti da una nazione, il Cile, che solitamente si fatica ad immaginare frequentata da truci blackster benché il suo territorio più meridionale, la cosiddetta Terra del Fuoco, sia uno dei luoghi più gelidi del pianeta. Ben sappiamo che i climi rigidi favoriscono la creatività nel comporre musica estrema, comunque. Inoltre i gruppi cileni hanno la fortuna di poter contare su una piccola ma ben avviata label che li sostiene e li distribuisce capillarmente a livello mondiale, la Australis Records, anche se purtroppo bisogna fare sempre i conti con le spese di spedizione che incidono notevolmente sul costo finale. Ma se non siete patiti del disco in versione fisica e vi basta il digitale questo problema non si pone.

Esordiscono con il loro primo full gli UMBRIO, un trio che propone un black atmosferico molto ben fatto, assai oscuro e caliginoso. Dopo tre demo Cd-r usciti tra il 2020 e il 2022 e praticamente impossibili da trovare (due di essi tra l’altro contenenti un singolo brano), Proclamación al vórtice de los tiempos consta di 8 brani, tre dei quali interludi strumentali di chitarra acustica. Gli altri cinque sono privi di titolo e di lunghezza non eccessiva, con in più una ghost track con la cover di Something in the Way dei Nirvana in versione black atmosferico. All’interno dei brani, che non viaggiano mai a velocità sostenute, sono numerosi i cambi di tempo e di atmosfera, con sezioni acustiche che s’intersecano a momenti più poderosi tenendosi sempre ben focalizzati su melodie comprensibili ed accattivanti. Voce in classico screaming abbastanza acuto, forse l’elemento più estremo di tutto il disco, poi batteria semplice ed efficace, basso in notevole evidenza, ottime composizioni arrangiate con cura e competenza utilizzando praticamente mai le tastiere, di solito onnipresenti in dischi di questo genere. A me ricordano a tratti gli Evilfeast, che sono tanta roba. Vale un ascolto attento.

Opera prima anche per i più violenti ELTUN, più simili ai grandi nomi del black norvegese più gelido. A la Sombra del Pillán è uscito in versione digitale nel 2022 passando per lo più inosservato, poi agli inizi di quest’anno l’etichetta francese Remparts Productions ne ha stampato ufficialmente una piccola quantità di copie in CD oltre a renderlo nuovamente disponibile in digitale. Il disco è violento tendente al violentissimo, crudo e sgarbato, con riff grezzi, freddi, taglienti ed efficaci, privi di rifiniture che ne smussino gli spigoli e arrangiati in modo volutamente scarno e minimale. Qualche voce più epica in mezzo a uno screaming prevalente (la furiosa Funeral Ancestral, ad esempio) la si rintraccia, così come qualche traccia di musica folkeggiante eseguita con chitarra acustica o con quello che sembra una specie di corno andino, ma nel complesso A la Sombra del Pillán è una discreta mazzata di circa mezz’ora che placherà la sete di violenza di chi di questo tipo di sonorità non ne ha mai abbastanza.

Attiva da meno di un anno, la one-man band denominata AIMLESS, che fa capo a tal Jorge Drolett, nel corso di quest’anno ha già pubblicato un EP d’esordio (Carved in Fire) e un singolo dal titolo piuttosto lungo, A Breathless Smirk on the Face of Death. La proposta è un black atmosferico con più di un’influenza depressive/doom, sofferente sia musicalmente sia per le tematiche trattate nei testi: disagio, depressione, desolazione, mestizia e tutto quanto può esserci di svantaggiato al mondo. I tempi sono prevalentemente lenti ma il ragazzo non disdegna accelerazioni (When the Light Falls) che ad esempio i suoi colleghi Umbrio trascurano, così come nelle sue partiture le tastiere ci sono eccome ad hanno una discreta rilevanza. Dei sei brani che troviamo nell’EP (dalla durata comunque notevole di 29 minuti, sarebbe più corretto chiamarlo mini-LP) due sono brevi strumentali non particolarmente significativi, tre sono i pezzi propriamente detti ed uno è una cover (ovviamente indurita) di A Million Little Pieces dei Placebo. Precisato che anche il singolo si aggira nei contesti musicali che troviamo nell’EP, un tantino più violento a tratti se vogliamo essere pignoli, io vi consiglio di dargli un’ascoltata perché il progetto è interessante e i pezzi sono ben fatti e anche discretamente personali. È la classica musica che non ha nulla di particolarmente nuovo, anche se si fatica a trovare qualcuno a cui somigliano in modo più smaccato.

Ultimi ma non per importanza i VESTHANGHARTH, che da neonati realizzano un EP di tre brani di raw black metal cattivissimo molto impostato seguendo l’ottica più recente del genere, quindi cattiveria bruta messa in musica suonando nel modo più ruvido e scabro possibile. I tre pezzi di Doomed Blood Concatenation sono semplici e maledettamente efficaci, i riff prevalentemente sulle note alte sdoppiati quando serve con una ritmica più bassa che accompagna con gli accordi base, il tutto impreziosito dal basso e dalla batteria che fa la sua parte con suoni ben bilanciati. In tutto il disco dura meno di tredici minuti: ce lo si gusta in apnea, tutto d’un fiato, ma forse è un po’ troppo breve per indovinare come i due componenti coinvolti nel progetto possano evolvere questo tipo di suono, qualora mai ne abbiano l’intenzione. A tratti in 2/4 punkeggiante come storia del black metal comanda, più spesso lanciato a velocità tritatutto, il disco suona spontaneo e genuino e merita supporto, in attesa di ulteriori sviluppi. Per il momento esiste solo in formato digitale.

Questo è tutto, ma se cercate altre realtà attive in quella remota parte di mondo vi consiglio di seguire Australis Records su Bandcamp, di materiale interessante ce n’è a bizzeffe. (Griffar)

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