Avere vent’anni: Antichrist Superstar, o dell’ingenuità

Non ricordo in che occasione, ma qualche tempo fa feci un discorso sui dischi che, per essere compresi, vanno vissuti appena usciti, in un determinato periodo anagrafico e in un determinato contesto. Questo è esattamente il caso di Antichrist Superstar, disco-istantanea di un preciso momento, che non può essere capito senza aver vissuto quell’epoca e la cui epoca non può essere davvero capita senza averlo sentito; e quasi necessariamente essendo adolescenti o giù di lì. Antichrist Superstar ha segnato l’esplosione commerciale di Marilyn Manson, prima d’allora pressoché sconosciuto al grande pubblico; Portrait of an American Family era passato quasi inosservato, e lo sconclusionato ep Smells Like Children sarà ricordato solo per la cover di Sweet Dreams.  Antichrist Superstar, al contrario, è il classico album che è capitato al momento giusto. Merito chiaramente delle teste pensanti dietro l’operazione, che sono in sostanza tre: lo stesso Manson, autore dei testi e colui che ci metteva la faccia; Twiggy Ramirez, compositore principale; Trent Reznor, produttore, guida spirituale e influenza primaria.

Non lo ascoltavo per intero da secoli. L’intenzione era chiaramente quella di creare una specie di rock opera, sia concettualmente sia musicalmente, sfumando i confini tra le tracce, ficcandoci intermezzi e cazzatine ovunque e immergendo il tutto in un melmoso intreccio di sintetizzatori, distorsioni acide e bruciori di stomaco; l’obiettivo però è stato raggiunto solo in parte, visto che di Antichrist Superstar rimangono soprattutto le canzoni basate sulla struttura classica, riffone e ritornello anthemico. Tourniquet e Dried Up sono tra le cose migliori mai scritte dalla band; Man That You Fear e la titletrack sono la Hurt e la We Will Rock You che volevamo e ci meritavamo; Cryptorchid fa venire la pelle d’oca ancora adesso; per non parlare delle varie Mister Superstar, Irresponsible Hate Anthem, Angel with the Scabbed Wings e del singolone The Beautiful People, inno generazionale da discoteca rock per un’epoca che processava il mal di vivere in maniera del tutto diversa rispetto ai tizi di Seattle.

Quindi è per questo che a vent’anni di distanza un disco così tanto legato alla sua epoca è riuscito a tenere botta: le canzoni. Tolta tutta la fuffa, gli effettini, l’immaginario satanico da saldi di fine stagione al negozio di bustini gotici, rimangono le canzoni. Certo, alcune cose adesso suonano datate, tipo la distorsione delle chitarre in certi pezzi, che sembrano giocattolini. Però, in qualche modo, funziona.

Un elemento che invece all’epoca non consideravo, o consideravo poco e male, è il ruolo svolto dalla droga. Detta proprio così, tipo nelle fiction di Rai1: droga. Sapete, le dosi di droga, le bustine di droga, cose del genere. Ecco, diciamo che tutti quelli coinvolti nell’ideazione e realizzazione di quest’album erano sempre perennemente strafatti di qualsiasi cosa il loro organismo riuscisse ad assimilare – e anche qualcosina di ciò che non riusciva ad assimilare. Perché all’epoca pensavo che dietro ogni nota e ogni parola ci fosse chissà quale cervellotico ragionamento mirato a risollevare le coscienze o esprimere qualche concetto esoterico e recondito, e invece la maggior parte di ciò che sentite in Antichrist Superstar è dovuto proprio al fatto che questi stavano perennemente fatti come pigne. Sì poi certo, il lavoro di marketing e la sapiente mano dei produttori eccetera, ma questi non so davvero come riuscissero a reggersi in piedi. A un certo punto Manson se n’era uscito giurando di avere fumato ossa umane, e può anche darsi che quello ci credesse veramente, perché si sarà fumato qualcosa di talmente devastante e innominabile da essersi convinto di aver fumato davvero ossa umane. Più probabilmente sarà stata la ketamina tagliata male comprata dal kebabbaro sul Sunset Strip, ma è plausibilissimo che quello si sia fatto un film mentale del genere. Al loro posto avrei denunciato lo spacciatore, perché da Antichrist Superstar si può evincere come fossero presi male, ma veramente male. E il disco, in sostanza, non si può giudicare se non partendo da questo assunto, complicato da capire se hai quindici anni e non hai avuto un’infanzia borderline in una favela.

Per l’impatto devastante che ha avuto sul mondo musicale, avendo sdoganato certi concetti e certe attitudini, e per essere così legato all’anno della sua uscita, mentre lo riascoltavo mi è venuto in mente Roots. Entrambi sono album che non sarebbero potuti uscire in nessun altro momento ed entrambi hanno avuto un’influenza enorme, sia musicale che nel costume, solo che Antichrist Superstar è invecchiato molto meglio, e non ti fa vergognare troppo per quanto ti piacesse da ragazzino. Non è minimamente grandioso come lo consideravo all’epoca, ma è una fotografia fedele e impietosa di cosa fossimo noi nel 1996. Alla fine, se adesso siamo quello che siamo e spacchiamo quanto spacchiamo, è anche perché siamo passati da Antichrist Superstar. (barg)

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