HOLY GRAIL – Ride The Void (Nuclear Blast)
Certo che i messicani quando ci si mettono le cose le fanno veramente bene. Cioè, a dispetto di quello che noialtri decadenti conquistadores del vecchio continente si possa pensare di questi simpatici indigeni un po’ abbronzati e geneticamente narcolettici, pensate un attimo anche, chessò, alle tortillas, ai tacos, ai burritos (cazzo, i burritos!), a Dino Cazares (almeno fino ad un certo punto), al narcotraffico, a Speedy Gonzales (che vabbè se lo sono inventati alla Warner Bros, ma è pur sempre messicano), all’immigrazione clandestina, a Guillermo Del Toro, ai primi tre dischi di Rodrigo y Gabriela, ai film porno con gli asinelli, alla tequila, al wrestling mascherato, oppure a Roy Z. Ma di Roy Z casomai parleremo un’altra volta.
Questo comunque per dire che, se sti Holy Grail spaccano così tanto, buona, anzi, buonissima parte del merito è di un chicano chitarraio a nome Eli Santana (nulla a che vedere con l’altro omonimo, famoso vegliardo, però) che, una volta innestato in quella che era per larga parte l’allora formazione degli White Wizzard, ha tirato su una band con i controcazzi che, alla prova del secondo album dopo il precedente Crisis In Utopia, non delude le aspettative ed anzi migliora quanto di buono precedentemente fatto. Insomma, un po’ come Schelotto all’Inter, che è pure un po’ scuretto e brutto come il peccato, tipo chicano, appunto.
Gli Holy Grail in pratica non c’entrano nulla con il metalcore, il djent (…per l’amore di Gesù) o qualsiasi altra puttanata provenga attualmente dagli Stati Uniti, ma piuttosto pescano a pieni mani dalla NewWaveOfBritishblablabla (che poi sostanzialmente vuol dire per lo più Iron Maiden e Judas Priest, solo che scrivere NWOBHM nelle recensioni ancora oggi fa molto fico, e quindi…), dal thrash ottantiano a stelle e strisce, con più di un pizzico di quell’abilità masturbatoria prettamente chitarristica a nome shred di cui Eli Santana ed Alex Lee, l’altro tizio alla chitarra, amano dar sfoggio in lungo ed in largo per tutto il disco con ottimi risultati, che gente che cita i Racer X tra le proprie influenze chitarristiche è piuttosto difficile che poi partorisca qualche porcata. Quindi assoli ben fatti, tecnici il necessario, che non oltrepassano quella soglia di tolleranza superata la quale di solito all’ascoltatore medio s’ingrossa a dismisura lo scroto, con melodie ed armonizzazioni (che poi è quella roba lì che fanno due chitarristi quando suonano all’unisono la stessa cosa, nel caso ve lo stiate domandando) riuscite e ben centrate nel contesto.
Metteteci pure dentro l’ottimissima prestazione del cantante James Paul Luna, non il classico castrone a sirena ma piuttosto uno con una buonissima estensione ed un’eccellente tecnica, pur rimanendo comunque entro il cosiddetto “limite Farinelli”, ad arricchire ed impreziosire i pezzi già buoni di loro, ed ecco fatto il discone.
Ai piedi di tutto sto panegirico vi includo la canzone che titola il disco, che poi è un buon manifesto di quello che poi troverete nell’album, ma vi invito a dare un ascolto anche alle varie Bestia Triumphans, Bleeding Stone, oppure Silence The Scream, o alla veloce The Great Artifice… cioè, per la verità se vi piace il genere e non fate vostro sto disco siete proprio dei cabrones fatti e finiti, lasciatevelo dire. E stasera niente tortillas per cena. (Cesare Carrozzi)


schelotto eroe nazionale
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