The truest believer – Intervista a Giona A. Nazzaro

 

Giona A. Nazzaro (a sinistra) assieme a un vecchio amico (foto di Luca Rea)

 

Chiunque abbia anche solo un lontano interesse per il cinema dovrebbe leggere almeno una volta le recensioni di Giona Nazzaro. Da ormai vent’anni Giona smazza la sua personalissima e mai banale visione del cinema e della vita attraverso le pagine di Rumore, Cineforum, Duel, Nocturno, Filmcritica, e – più recentemente – FilmTv (il tutto senza menzionare le miriadi di collaborazioni saltuarie anche con testate di cui ho perso le tracce da anni – Panoramiche, Close Up, SFX Cinema, e l’elenco potrebbe andare avanti all’infinito); è stato tra i fondatori della rivista Sentieri Selvaggi (poi ricollocata sul web) e ha curato, in solitaria e con altri, volumi su Abel Ferrara, John Woo, Spike Lee, Gus Van Sant, oltre a illuminanti saggi sul tema del doppio e sul cinema d’azione americano. Nel 1997 ha pubblicato assieme ad Andrea Tagliacozzo Il cinema di Hong Kong – Spade, kung fu, pistole, fantasmi, semplicemente il miglior libro sul cinema di Hong Kong che sia mai stato scritto in Italia, una pietra angolare della critica cinematografica di ogni tempo da cui nel corso degli anni legioni di inetti hanno letteralmente rubato tutto; sia ben chiaro, non è stato il primo a parlarne (io per esempio ho scoperto Hard Boiled grazie a un articolo del 1992 apparso sulla rubrica di cinema del Punitore), sicuramente è stato il primo a trattare il cinema di Hong Kong da una prospettiva che prescindesse totalmente dal modello americano. Fa strano dirlo oggi, quando queste visioni sono già state metabolizzate da un pezzo e dopo essercisi dovuti sorbire le suddette camionate di stronzi di cui sopra che avevano mandato a memoria tutto quanto spacciandolo di volta in volta per idee proprie, ma è proprio così che è andata. Poi la coppia Nazzaro & Tagliacozzo ribadirà la propria superiorità sulla plebaglia asianofila nel 2005 col Dizionario dei film di Hong Kong, ma le tavole della legge erano già state scritte e chi era in grado di confrontarsi con il cinema e con la vita senza malafede aveva già saputo.
Giona Nazzaro è stato il mio Roger Ebert, il mio Lester Bangs, e lo è ancora; critico lucidissimo nonchè serbatoio pressochè inesauribile di frasi memorabili, continua ad entusiasmarsi per James Cameron come per Olivier Assayas, per George Romero come per gli Straub, a scremare il buon cinema dalla merda senza preoccuparsi di generi o etichette, serie A o serie B o serie Z, comunque l’entusiasmo che mette nei suoi pezzi resta invariato, sia se il film gli è piaciuto, sia quando stronca (nel qual caso diventa spesso di una cattiveria meravigliosa).
L’opportunità per intervistarlo si è presentata in occasione dell’uscita del suo primo libro di racconti, A Mondragone c’è il Diavolo, di cui però non si è minimamente accennato (Qui un’intervista al riguardo); si è parlato invece di (praticamente) tutto il resto, in una chiacchierata torrenziale e incontenibile (al punto che quasi non è stato necessario porre domande) di cui questo non è che il sunto il più possibile fedele di oltre un’ora e mezza di piacevolissima conversazione. A breve una seconda parte di argomento prettamente musicale.

Come hai cominciato? Quando hai deciso che oltre a guardare film era anche il caso di scriverne?
Mah, in realtà, sai, io non ho mai voluto fare il cinema ‘materiale’, il regista, cose così… ho sempre voluto scrivere di cinema. Mi sono laureato con una tesi in Storia del Cinema su Cronenberg, stiamo parlando… non mi ricordo esattamente, però… Cronenberg aveva appena fatto Inseparabili, io mi sono laureato nel ‘91 quindi credo che fosse la prima tesi di laurea su Cronenberg all’epoca. Scrivere di cinema era in realtà l’unica cosa che mi piaceva fare; per me era un modo per ‘impadronirsi’ del film, farlo proprio e trasmetterlo. Poi all’epoca stiamo parlando di un momento in cui non c’erano i DVD, non c’era Internet, non c’erano un sacco di cose… a stento c’erano le VHS! Quindi il lavoro critico, quello di difendere un cineasta piuttosto che un altro – cosa che oggi ormai fanno tutti, sui propri blog e altrove – aveva un valore totalmente diverso. Cioè, prima, per esempio quando scrivevamo su Cineforum, sia singolarmente che come Sentieri Selvaggi, per far passare un cineasta piuttosto che un altro erano dolori: bisognava fare riunioni su riunioni, bisognava insistere, bisognava convincere, bisognava brigare… Tentavi di beccare il direttore della rivista mentre andava un attimo al bar per lanciargli ‘sto gancio… erano delle vere e proprie correnti politiche. E poi la critica cinematografica italiana all’epoca era reduce da una serie di batoste notevoli: era la fine della militanza dura e pura, che coincideva sostanzialmente con l’inizio degli anni ottanta, la messa in crisi di un certo modello di associazionismo culturale che veniva sostituito da uno radicalmente cinefilo – per esempio, all’epoca si discuteva ancora che SegnoCinema era una rivista che nasceva appunto già dal nome SegnoCinema, perché puntava l’attenzione sul segno, mentre invece Cineforum era ancora legata all’idea dei circoli, delle attività, aveva un comitato centrale, era ancora in piena fase di elaborazione, per cui: i film servivano a migliorare l’individuo e la società in cui si viveva (linea-Cineforum), oppure (linea-SegnoCinema) i film erano soprattutto organismi autosufficienti e autoreferenziali che andavano studiati in quanto tali e così via? – Era un periodo estremamente serrato; poi per fortuna in quegli anni uscivano anche film interessanti, cineasti nuovi, da Carpenter a Ferrara, da Lynch a John Landis, da Cameron a Cronenberg, dalla Bigelow a Brian Yuzna, Sam Raimi… era tutta gente che muoveva i primi passi in quegli anni, e non era difficile capire che erano dei grandi cineasti… non era difficile.


Eppure ne parlavano in pochi in quell’epoca, perlomeno in termini di dare loro una ‘dignità’, mi sembra di ricordare… Cioè, io ero piccolo ma quel che ricordo è che per la “critica che conta” era tutta merda o quasi, Carpenter veniva considerato un regista di serie B, Sam Raimi era quello del purè negli effetti speciali, di Ferrara non ne parlavano (fino al Cattivo Tenente almeno), James Cameron poi era quello delle “americanate”…
Sì, ma guarda all’epoca succedeva questo: noi – io facevo parte di Sentieri Selvaggi e all’epoca, all’interno di Cineforum se volevi insultare qualcuno gli davi del sentieroselvaggista, che significava ‘quelli che non capiscono niente di cinema’ in poche parole…

Stavano tutti a Sentieri Selvaggi quelli che non capivano niente…
Esatto, esatto. Quindi… quindi, voglio dire: adesso a Stallone a Venezia hanno dato il Leone d’Oro alla carriera, però su Sentieri Selvaggi Stallone era stato affrontato in tempo reale anche nel momento più imbarazzante della propria carriera, cioè quando faceva il reaganiano, che è a tutt’oggi il suo periodo più trascurabile, i vari Rambo II, III

E John Carpenter quando l’hai scoperto?
Praticamente in tempo reale: i divieti dell’epoca mi impedirono di vedere Distretto 13, che era un film vietato ai minori di 18 anni, per cui Distretto 13 in realtà l’ho recuperato dopo, il primo che ho visto è stato Halloween. Perché Distretto 13 aveva fatto il botto a livello di farsi notare, però era circolato relativamente poco; mentre invece Halloween era stato distribuito su larga scala e io ero riuscito a beccarlo quando è uscito. Mi sono subito reso conto di trovarmi di fronte a un grande cineasta; e poi, con cineasti come Carpenter, la frequentazione è stata assidua, cioè non è che ci siamo mai persi di vista, è stato un crescere insieme. Un po’ come è stato anche con Cameron: quando è uscito Terminator siamo stati in quattro gatti ad averlo visto, e siamo stati ancora di meno a dire ‘ah, ma questo è un cineasta che vale’… poi voglio dire, sai: oggi Fuga da New York è un grande film e tutto quanto, però se vivevi in provincia e arrivava Fuga da New York, poi andavi a vederlo e in sala si era in 20 persone, a vedere Fuga da New York la domenica. Cioè, non è che gliene fregasse granché alla gente…

Anche perché il periodo era quello di Blade Runner, magari la gente era più interessata a Blade Runner al tempo…
Sì, quella infatti è stata una diatriba che mi porto appresso dall’82, nel senso che ho sempre pensato che Blade Runner fosse il film di uno scenografo; il vero film post-moderno, il vero Blade Runner è Fuga da New York. Tra Blade Runner e Fuga da New York si capisce perfettamente perché un cineasta come Ridley Scott è diventato centrale all’interno dell’industria e uno come John Carpenter è rimasto sempre di più a muoversi ai margini. La prima volta che ho visto Blade Runner ho pensato ‘c’è un grande occhio dietro’, ma i temi che erano stati attribuiti erroneamente al film erano temi di Philip Dick, quindi… quello che interessava a Ridley Scott erano i neon, i controluce, tutte cose ben fatte eh, per carità, però… Blade Runner è un film che è rimasto un po’ congelato nella sua inutile bellezza, laddove Fuga da New York è rimasto sempre urgente e attuale nel suo nervosismo crudo. Pensa che a me, per dirla in altri termini, a me piace molto il progressive, però tra un disco degli Yes (cito un gruppo che mi piace moltissimo) e un disco meno riuscito dei Ramones, è chiaro che i Ramones anche con un disco meno riuscito sono più interessanti di un disco molto riuscito degli Yes – e sto parlando di due gruppi agli antipodi che adoro, io ho tutti i dischi degli Yes… quindi, come dire; a volte Blade Runner, quando lo vedi, ti fa l’effetto di Tales of the Topographic Ocean: tu lo metti e parte il suono, ti avvolge e non capisci cosa sta succedendo né te ne frega, mentre invece quando metti un disco dei Ramones anche meno interessante le canzoncine comunque partono sparate, arrivano a destinazione e c’è un’altra urgenza, c’è un altro senso del mezzo, di quello che si può fare, quindi insomma… la vedo un po’ così, ecco.

 

cibernetico

 

In Italia sei stato tra i primi, se non il primo in assoluto, a scrivere del cinema di Hong Kong…
Credo di essere stato non tanto il primo, c’erano già state una serie di proiezioni a Rimini, a Bergamo, però il problema in quel caso è che quelli che avevano visto i film di John Woo e simili non avevano capito la differenza, lo specifico di quel tipo di cinema; piuttosto, io credo di aver contribuito, con le cose che ho e che abbiamo scritto, a far sì che lo specifico del cinema di Hong Kong tornasse a Hong Kong. Se tu leggi le cose che scrivevano su John Woo o su Tsui Hark prima delle cose che abbiamo scritto noi, il modello di riferimento era sempre quello statunitense, per cui John Woo faceva ridere, era sopra le righe rispetto al modello americano, perché era un’esplosione del modello Peckinpah, oppure – se si riferivano al finale di The Killer – del modello Duello al Sole di King Vidor. In realtà, riportando tutto a Hong Kong, si scopre che è consequenziale, non è né sopra né sotto le righe: è esattamente nella tradizione di quel tipo di cinema lì. Ieri sera stavo in sala a vedere l’anteprima stampa di New Moon, il terzo film dei vampiri efebici, e i combattimenti sono montati esattamente come quelli di un wuxiapian di Hong Kong degli anni ottanta, quindi: attori che si muovono con i cavi, che volano per aria, che rimbalzano sui tronchi della foresta… e nessuno, all’epoca (e in questo senso non ho alcun problema a rivendicare una specie di primogenitura), aveva capito che quel tipo di spettacolarità così eccessiva sarebbe stata… era, per quanto riguarda Hong Kong, l’ultimo grande rigurgito vitale del cinema analogico, e che – nessuno l’avrebbe potuto immaginare – a guardare le cose con attenzione sarebbe stato ciò che avrebbe rivitalizzato il cinema d’azione digitale americano. A Hollywood NON PUOI fare quelle robe lì come le faceva Jackie Chan, che si sfasciava il bacino cadendo da 40 metri; però con l’aiuto del digitale quel cinema di Hong Kong oggi è diventata la valuta più diffusa del cinema spettacolare contemporaneo.

In questo sei stato tra i primi, dicevamo. Come l’hai presa quando TUTTI hanno cominciato a salire sul carro del vincitore, magari senza nemmeno sapere perchè?
Ma guarda, quella è stata una cosa un pochino meno piacevole, perché francamente, molta gente che era cresciuta leggendo i libri che avevamo scritto è finita poi a lavorare in reti, oppure vedevi tranquillamente… cioè: non è… guarda, è molto semplice: non è questo il… non so come dirti. Alla fine le cose che… non si conserva memoria di questa roba. Noi le abbiamo scritte, ok, adesso, sia detto senza recriminazioni: le abbiamo scritte, le abbiamo pubblicate, e raramente – tranne, caso più unico che raro, ma del resto si trattava di un gentiluomo, tranne Tullio Kezich, che recensendo Terremoto nel Bronx citò le cose che avevamo scritto su Jackie Chan nella sua recensione – e tranne Morandini che ci citò nel suo dizionario, sono gli unici due esempi di persone che hanno citato le cose che abbiamo scritto. Sono due esempi grossi. Tutti quanti gli altri hanno sempre fatto finta che le cose che avevamo scritto noi le avessero in qualche modo inventate loro. Fa parte del gioco eh?, fa parte del gioco, però personalmente non è il mio gioco, ecco. Io ancora oggi continuo a omaggiare i maestri che mi hanno insegnato a scrivere e a vedere film, da Buttafava, Germani, anche persone che non ho conosciuto, così via. Quindi… Il punto è che oggi passano per esperti persone che si sono formate sulle cose che abbiamo scritto, che va benissimo, significa che le cose che abbiamo scritto sono valide.

Come sei entrato a Nocturno?
A Nocturno ci sono entrato per amicizia nei confronti di alcuni redattori: Davide (Pulici, nda), Manlio (Gomarasca, nda), Mauro (Gervasini, nda), e così via. Ho conosciuto per primo Manlio, all’altezza del secondo-terzo numero, quando era un po’ difficile immaginare che Nocturno non sarebbe finita come Amarcord… e quindi, quando ci siamo conosciuti, non è che ho conosciuto il Manlio-persona che fa Nocturno da quasi vent’anni: ho conosciuto un ragazzo che aveva fatto delle robe molto interessanti e che io avevo cercato per fargli i complimenti rispetto a un’intervista a Ruggero Deodato che aveva fatto. Ci siamo messi a parlare, e siamo rimasti in contatto da allora; ma in generale tutti i redattori storici di Nocturno sono amici fraterni, con i quali mi piace parlare di cinema e con i quali mi piace collaborare. Ci si vede relativamente poco-pochissimo, ma ogni volta che ci si vede si dimostrano persone degnissime. Sono persone con le quali sono cresciuto fino a che si prendessero varie strade.

A proposito di Deodato; quando mi sono deciso ad acquistare un lettore DVD gli amici mi hanno regalato la ristampa di Cannibal Holocaust, dove negli extra tra le altre cose c’era un tuo audio commentary realizzato insieme ad Antonio Tentori e a Deodato stesso; è stata la prima volta che ho sentito la tua voce. Poi nel tempo ho preso altri DVD della stessa collana, dove continuavi a collaborare negli extra; erano DVD molto ben fatti, ma a un certo punto a quanto mi risulta le pubblicazioni cessarono repentinamente. Tu sai come andò?
Mah, guarda, quella è una storia un po’… particolare. Diciamo che mi tengo gli aspetti piacevoli. Niente: avevo conosciuto il direttore di produzione dove mi rifornivo di DVD di Hong Kong, a Piazza Vittorio. A un certo punto era arrivato questo qui che comprava le stesse cose che compravo io, e sembrava saperne tanto quanto, siamo entrati in confidenza sulla base di alcuni gusti cinematografici molto forti e sentiti, e poi da lì abbiamo iniziato a frequentarci regolarmente. Così, parlando, gli avevo espresso il mio apprezzamento per il cinema di Deodato; lui mi ha detto: ‘Vabbè aoh, se tte piace tanto, perché nun vieni a ffà n’audio commentary?’. È iniziata così. Di audio commentary poi ne abbiamo fatti altri, La casa sperduta nel parco, Milano trema, Milano odia, Tepepa, Se sei vivo spara di Giulio Questi… Mi tengo gli aspetti piacevoli perché poi con questa persona ho avuto un rapporto lavorativo che è andato a finire in maniera catastrofica… si è rivelato in realtà una delle persone più scorrette e disoneste con cui abbia mai avuto a che fare. Perché rovinare una conversazione piacevole parlando di un individuo così ignobile?

Cambiamo allora argomento. Quando ho cominciato a interessarmi di cinema diciamo “underground” reperire certi titoli era faticosissimo, un’impresa disperata anche solo riuscire a reperire copie di copie di copie, ogni tanto le TV locali trasmettevano un Fulci a caso a orari inverecondi ma era un prenderci… Buttgereit era censurato in patria e quando riuscii a mettere le mani su una copia praticamente invedibile di Nekromantik ero al settimo cielo. Immagino che per te sia stata ancora più dura. Come riuscivi a procurarti i film?
Guarda, il fatto di essere stato a Roma in qualche modo mi ha facilitato. È una storia che racconto sempre perché è andata esattamente così: per quanto riguarda il cinema di Hong Kong, cercavamo di capire dove e come procurarci i film, quindi avevamo cominciato a fare dei giri per i ristoranti cinesi, chiedendo… però la comunità cinese è molto chiusa. Non è un luogo comune: è molto chiusa, tranne qualche eccezione. Poi ci fu il caso dell’ospedale cinese trovato a Milano dove operavano, facevano cose… e allora dissi: ‘Accidenti, ma c’hanno pure gli ospedali, figurati se non c’hanno le videocassette’… per cui, approfittando della simpatia che si era creata con un ristoratore cinese dove andavamo a mangiare in genere durante le pause d’ufficio, gli dissi: ‘Senti, ma tu, i film cinesi, a Roma, dove li prendi?’, e lui mi diede un indirizzo, al che ci andammo direttamente. In realtà questa non era una videoteca, o meglio: non era SOLO una videoteca. Era una specie di bisca… roba losca… che aveva anche questa specie di noleggio. Per cui entrammo dentro, e questo ci guardò come fossimo dei marziani, e gli faccio: ‘Hai dei film cinesi?’, e lui mi risponde: ‘No, no, niente film, solo cinesi‘, che era esattamente quel che cercavo. Però lui continuava a dire: ‘No, no, non ce li abbiamo’, e intanto aveva aperto un cassetto con un sacco di fotocopie in bianco e nero delle varie fascette; io lo noto e dico: ‘Ma io voglio questi!’, e lui: ‘No ma questi sono cinesi, non ti interessano!’, ‘Ma come no?!? Ti dico che mi interessano!’, ‘Ma questi costano tanto!’, ‘Perché, quanto costano?’ – avevo nel frattempo riconosciuto i caratteri, gli ideogrammi di Ashes of Time e di una erotic ghost story che ora non mi ricordo bene – allora gli dico: ‘Voglio questi due’. ‘Ah, questi costano diecimila lire l’uno!’, dico ‘OK’, tiro fuori ventimila lire, ‘Ora dammi i nastri’. Quando ha visto che mi son preso i nastri e me ne stavo andando tutto contento, mi ha detto: ‘Amico, amico! Guarda che ho anche questi!’ e mi fa vedere altre robe. Ovviamente le cassette si vedevano malissimo: io ignoravo all’epoca che esistesse un supporto che si chiamava ‘Video-CD’, che era un po’ la fase intermedia tra la VHS e il DVD, il ‘VCD’, e all’epoca addirittura il mio amico Andrea Tagliacozzo si era comprato un paio di lettori VCD dai cinesi per poterli vedere… ma le videocassette intanto erano in condizioni pietose, perdevano colore, saltavano… credo di essermi rovinato la vista a vedere quelle robe… però questo qui, questo cinese, dopo un po’ aveva preso a chiamare me: si annunciava, faceva ‘Amico! Amico! Sono film cinese! Nuovo film, molto sparakung-fu!’, e quindi significava che bisognava correre a Piazza Vittorio perché aveva fatto arrivare delle robe nuove. Poi la finanza lo fece chiudere perché ovviamente non aveva i diritti della roba che vendeva; dopo fortunatamente aprì un negozio di video del mio amico Sing, con il quale sono diventato proprio amico, anche se ci vediamo una volta all’anno in occasione del Capodanno cinese… e quindi, grazie a Sing, mi son fatto un’intera videoteca di film cinesi. La cosa interessante del cinema di Hong Kong è stata che mi ha… cioè: ogni volta che ti occupi di cinema sei comunque costretto ad ‘uscire fuori da te’. Nel senso: il cinema non sono i film che ti vedi solo, a casa. Bisogna comunque fare un passo al di fuori di sé stessi. Per me, il cinema di Hong Kong è stato scoprire parti di Roma che non conoscevo, scoprire una parte di comunità che vive a Roma che non conoscevo, e poi incontrare le specificità culturali, linguistiche, estetiche, di una determinata cinematografia; è una questione sempre di curiosità, se non sei curioso non vai da nessuna parte.

 

"Io non ci resto con Windows. Non ci resto con lui. Vado con Childs."

 

Cambiano i tempi, e con loro i modi di fruizione dei film. Cosa ne pensi di emule?
Allora: io non scarico film. Mai. Non l’ho mai fatto, e non perché ho paura di danneggiare l’industria del cinema o ho paura di essere intercettato dalla finanza: sono solo un ragazzo degli anni settanta – come dico sempre in maniera anche molto ironica – io mi affeziono ai supporti, mi affeziono alle costolette degli LP e alle costolette dei CD e alle costolette dei DVD, mi affeziono alle costolette dei libri… mi affeziono ai formati, mi affeziono alle confezioni, sono feticista. Del file sul computer non me ne frega niente. Mi rendo conto che oggi c’è gente che si fa intere DVD-teche su emule, che basta un click per procurarti un film che magari ho cercato per anni… però: no. Io non faccio così. Io vado un disco alla volta, un film alla volta. Sono veramente un otaku. A volte anche dieci dischi alla volta e dieci film alla volta, però sempre uno via l’altro. Non faccio mai una questione se è meglio o peggio, dico semplicemente: per me funziona così. Cioè, in questo periodo ho risistemato il vecchio giradischi della mia fidanzata, ho riportato su da casa dei miei i miei vecchi vinili, spulcio vecchi negozi di dischi e rigattieri alla ricerca di vinili più o meno in buone condizioni… non me ne frega niente di scaricarmi la musica, e non me ne frega niente di scaricarmi il film. Cioe: io voglio le cose mie. Lo capisco se qualcuno deve stare in viaggio per duecento giorni all’anno, si scarica i libri sull’iPad o quel che cacchio è, e invece di portarsi duecento libri si porta quella robetta lì che è leggerissima e se li legge. È un valore d’uso ed è un oggetto che ha una sua utilità, che non è che sto a discutere: devi viaggiare? Sai che non tornerai a casa per due mesi? Ti carichi sull’iPod 40 CD che ti vuoi portare e va bene così. Però per tutto il resto, no. Per tutto il resto no. Però ribadisco: non lo dico come per una specie di partito preso anti-tecnologico, eh?, dico semplicemente per me è così. Cioè io non posso affezionarmi ai file di Agents of Fortune dei Blue Oyster Cult così come mi affeziono all’LP o al CD: io ho trovato in un negozio di dischi a un prezzo veramente stracciato Fire of an Unknown Origin dei Blue Oyster Cult, in condizioni IN-TAT-TE, neanche un graffio, in vinile. Cioè: non c’è paragone, io ho il mio vinile che mi ascolto la domenica pomeriggio quando sto rilassato e non devo fare una mazza. Il file perfetto, che si sente tutto a modo, non è la stessa roba. Non è-la stessa-roba. Il rovescio della medaglia è che comprare dischi è una roba che crea un po’ di addiction

A chi lo dici…
Una volta ho avuto una conversazione veramente paradossale con un tizio, che sta sempre lì dentro al mio negozio di dischi di fiducia, cioè esce dall’ufficio e si ferma lì… e a un certo punto ci siamo detti: ‘Aoh, ma io sto a comprà dischi che poi faccio pure fatica a sentimmeli tutti’, e lui ‘A chi cazzo ‘o dici, c’ho dischi dappertutto, non riesco a smette, non riesco a smette’… ehi, ma che ore sono? Scusa ma devo andare a mangiare…

Prima di salutarci mi ha comunicato una lista dei dieci dischi preferiti di Giona A. Nazzaro (con relativi commenti). Eccola:
1. Rainbow – “Rising” (il disco metal per eccellenza!)
2. Uriah Heep – “The Magician’s Birthday” (hard rock prog al meglio)
3. Judas Priest – “Stained Class” (che dire? )
4. Iron Maiden – “Killers” (insuperabile per schitarrare sulla mia AIR-Fender…)
5. Satyricon – “Now, Diabolical” (che è la mia suoneria del cellulare)
6. Motorhead – “No Sleep ‘til Hammersmith” (ovviamente)
7. UFO – “Obsessions” (ma questo è heavy metal?, mi fa mio figlio quando l’ascolto…)
8. Boston – (unico, inimitabile)
9. Black Sabbath – “Paranoid” ex-aequo con “Sabbath Bloody Sabbath” (Iommi, il miglior fabbro)
10. Katatonia – “Discouraged Ones” (band immensa…)

Da questo elenco sono rimasti fuori i Darkthrone, i Deep Purple, i Saxon, gli Immortal (per il momento).

(intervista di Matteo Cortesi)

5 commenti

  • sergente kabukiman

    ti credo che il vinile dei blie oyster l’ha trovato intatto..non lo vuole nessuno!scherzi a parte bella intervista..a proposito cortesi vorrei ringraziarti per avermi fatto scoprire high on fire e unsane,lessi le recensioni sul glorioso MS..GRAZIE!!!

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  • Masticatore di escrementi

    Questa è una di quelle interviste in cui ogni tanto ti fermi e prendi appunti

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  • leggo sempre giona a nazzaro su rumore. molto spesso non capisco proprio cosa dica anche quasi sempre mi sembra dica cazzate.
    pero’ lo leggo volentieri.

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  • essere o vinile?questa è la vita…il buon giona solletica svogliatezze cinefile di gradevole fattura…sulle sue ossessioni musicali ho imbarazzo certo…mai amato il rock e le sue propaggini hard/heavy…però è un grande…a presto sul canale/blog de laredazione79…

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