L’ultima band della Terra: SUEDE – Antidepressants
Siete su Metal Skunk, per cui forse di musica pop non vi occupate, ma di un certo tipo di cinema sì, sicuro. Quindi credo che avrete presente in molti L’Ultimo Uomo della Terra, quell’horror italiano anni ’50 con Vincent Price che si aggira per l’EUR a sterminare vampiri dormienti, che non si capisce perché lo faccia, lui che passa le notti a stordirsi di alcool e jazz ed eppure non pare avere perso tutta la speranza. O comunque non vuole abbandonarsi al degrado, alla distruzione, alla fine di tutto. Questo sono i Suede, oggi, 2025, anche se di giorno non si aggirano con martello e paletti di frassino. Anzi, tutt’altro, cercano di svegliarli gli infetti sul ciglio della strada. Band che non seguivo mica in gioventù, quando un po’ il brit rock/pop pure lo masticavo, ma che di recente è diventata una mezza ossessione. Ne parlavo in occasione di Autofiction, il precedente, bellissimo, il disco punk dei nostri. E con Antidepressants, il disco di oggi, quello post-punk, forse, non ci sarebbe stato niente di cui sorprendersi. E invece mi sorprendo ancora. Perché è un disco rock ed ha un’energia rara. Tranquilli, mi sono comunque consultato prima col Barg, per accertarmi che non stessi eccedendo la quota di musica pop che può trovare spazio in questo media di gente che rutta e bestemmia. Il Barg s’è convinto, forse per l’iconografia sobria, votata al nero ed al buio adottata ora dai Nostri.
Forse per la copertina, con Brett Anderson in penombra, volto interamente in ombra, a dire il vero, e con due carcasse di macelleria che paiono ali di un Angelo che impersonifica la sua stessa Morte. Immagine forte per un disco forte. Pop, sicuramente, nel senso di popolare, musica popolare, musica per la gente, per scalmanarsi e per riflettere sulla propria vita. E un disco rock come non mai, fatto di canzoni semplici che diventano inni, che sono innervate di chitarre punk e post-punk, cupe, che sanno di P.I.L., di Wire, Cure, Adam and the Ants, cento altri riferimenti di quell’epoca della musica inglese che, abbiamo visto, a un certo punto, per vie traverse, si è insinuata anche nel DNA della nostra musica estrema. Un disco di canzoni rock, per la maggior parte, registrate in presa diretta per la massima parte, cinque musicisti nella stessa stanza, con poca o nessuna tecnologia contemporanea, computerizzata, intelligente. Ditemi se c’è qualcosa di più ribelle per un disco moderno. E non inattuale, pur con tutti i riferimenti, non puramente nostalgico, o anzi per niente. Antidepressants parla del presente con una lingua attuale. Il fatto che non scimmiotti la modernità non vuol dire che non sia un disco moderno. Anzi.
Potrebbe succedere che l’energia incredibile dei primi brani in scaletta non vi coinvolga abbastanza. Come quella della stessa Antidepressants, sarcastica e brillante, brano punk semplicemente straordinario. Ci starebbe, il lettore di Metal Skunk di musica energica ne sa qualcosa, anche se ammetterete che energia e volume sono due cose diverse. Potrebbe starci, ma vi segnalo che Antideprassants è un disco di testi che a tratti ti prendono la bocca dello stomaco e te la stritolano per bene. Non ci sono slogan, frasi fatte. Brett Anderson d’altronde, con eleganza inglese, rifiuta cortesemente di farsi tirare la giacchetta da qualsiasi discorso ideologico, vista la scivolosità e superficialità del dibattito politico nell’era dei social media. Ci tiene per dire a chiarire che un brano come Dancing with the Europeans non parla di Brexit, anche se ognuno può leggerci ciò che vuole.

Il tema del disco, quello sì enunciato con chiarezza, è la condizione umana medicalizzata, in un’epoca in cui qualsiasi umore che non sia gioia ebete rischia di trovare una definizione patologica e in cui ci si sente malati a non sentirsi perfettamente allineati con la connessione costante e spersonalizzante dei telefoni e il microfrazionamento delle relazioni umane. Per buona parte della durata, Antidepressants è una ventata d’aria fresca. E uno schiaffo, se necessario. Abbraccia la morte, è inevitabile, fa parte della tua vita. Ecco, vivi la vita, piuttosto. Non per inseguire un sogno tecnologico iniettato sotto pelle, che nove su dieci rischi di non raggiungere con le proprie energie e allora restano quelle degli antidepressivi. Ancora farmaci, ancora incoscienza indotta. Vivi la tua vita. Vivi le tue relazioni con sincerità e passione. Il titolo di lavorazione dell’album era quello del brano Broken Music for Broken People, con la speranza che la musica già di suo riesca a sopperire almeno in parte ai medicamenti chimici e con la speranza che alla fine la gente riesca a non essere solo massa controllata e a riprendersi le proprie vite e con esse il mondo. Ma non chiedete a Brett Anderson di incasellare tutto questo in un discorso partitico. Non tiratelo per la giacchetta. A meno che stia facendo crowdsurfing durante uno dei loro concerti, energia incontenibile e microfono in mano. Il 27 marzo dell’anno prossimo passano per Milano, al Fabrique. Io ci sarò, magari ci si vede là e si scambiano quattro chiacchiere su come va la vita. (Lorenzo Centini)


Grande Band, ancora in gran forma.
Mi fa piacere leggere qui su Metal Skunk una recensione del genere!
"Mi piace""Mi piace"