SUBURBIÆ Fest @Teramo 30.08.2025
Coincidenza quantomeno significativa che l’ultimo festivalino estivo si svolga nella terra del Vate che aveva messo in versi le migrazioni settembrine, prima appannaggio dei pastori e oggi estese a tutti noi schiavi dell’era moderna. Seconda edizione del Suburbiae Fest con buona delegazione di Metal Skunk che conviene da varie parti del Paese per l’occasione: se Ciccio, il Masticatore e consorte sono ancora in viaggio, tocca a me presenziare fin dal primo minuto, cosa che farà di questo report il primo della storia del mondo in cui si parlerà di tutte le band presenti. Nessuna rimostranza possibile quindi da parte di nessuno che si possa sentir trascurato, come se poi venire ascoltati e recensiti fosse un diritto. Per tutti quelli che rompono il cazzo, o lo romperanno in futuro, il consiglio è solo uno: “Diventa famosissimo, suona in prima serata e ti vedranno e sentiranno tutti” (ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente voluto). In questo modo di quel che dicono alla Metal Skunk Spa te ne fregherà assai poco.

Si inizia presto e in orario, o forse con un ritardo minimo poi recuperato nel corso della giornata (dal coprifuoco a mezzanotte non si scappa). I primi ad esibirsi sono i JENNIFER IN PARADISE: pagano lo scotto di suonare davanti a un pubblico ancora piuttosto esiguo, ma senza conseguenze sulla loro prestazione, che resta comunque intensa. Quello che fanno mi suona familiare, con la particolarità dei testi in italiano (che in questo caso ho apprezzato particolarmente); in realtà non riesco a trovarne i riferimenti esatti, la cosa quasi mi tormenta per i primi due pezzi fino a che decido che non ha molta importanza e mi godo lo spettacolo. È un punk-HC melodico con venature di spleen: musica per la fine dell’estate, per quando le ombre sono lunghe e il sole è ancora caldo, ma non troppo; ciò che li rende perfetti per questo momento. Avrebbero meritato qualche presenza in più, spero di rivederli presto.

The Sade
Poco dopo, in uno scenario simile, arrivano i THE SADE da Padova, trio gotico o “dark” come si diceva quando ero pischello io (svariati Papi fa). Il colore e il calore sono tutt’altri. Il suono è notturno e la presenza del sole è per loro motivo di esplicito rammarico, sicuramente non la condizione ideale per quel che propongono. Ma, nel meteo, io come gli altri presenti ho trovato grosso motivo di sollievo: erano previsti acquazzoni e invece a fine giornata non sarà caduta neanche una goccia. Che sia luce o buio, loro fanno comunque un bel concerto, come da coordinate del genere (che non è certo quello in cui sono più ferrato): tutto gira principalmente intorno a corpose linee di basso che, con poca fantasia, definirei alla Peter Hook. In un certo senso con questo secondo set si anticipa in maniera abbastanza chiara quale sarà la direzione della giornata, con un bill variegato ma che, nelle sue varie declinazioni, sembra scindersi tra sonorità punk e gothic in reciproca alternanza. Saranno proprio poi gli headliner a rompere questo canovaccio (in maniera eccellente tra l’altro). Ah, suono ottimo e tutto si sente benissimo, cosa che con qualche aggiustamento qua e là varrà un po’ per tutti.

Little Pieces of Marmelade
Tra un’esibizione e l’altra sento discussioni sulla paternità del genere industrial. Sono venuti prima i Godflesh o i Ministry?, e altre questioni da sempre dibattute. Qui e lì intercetto racconti di concerti punk tenuti in chalet di montagna e mi immergo in un banchetto che propone una variegata proposta di merce che va da dischi e poster di film a vecchi volumi Urania, fino a un’ampia selezione di manuali sugli scacchi.
Nel cambio palco arriva l’unica vera nota dolente della giornata: la mancanza di arrosticini. Dopo anni dei vari report abruzzesi, che fossero del Frantic o del Tube Cult, non vedevo l’ora di gustarmi l’accoppiata metallo pesante e pecora infilzata. Detto questo mi sono rifatto con olive ascolane e focaccia ripiena, entrambe coi controcazzi sia chiaro, però il cruccio resta.

Horror Vacui
È quindi ora il turno dei LITTLE PIECES OF MARMELADE e cominciano incessanti le proiezioni di gatti, mascotte del festival. Probabilmente il gruppo meno incasellabile dell’intero lotto: spaziano veramente tra mille cose, io ci sento pure crossover in senso anni ’90 e passaggi psych hendrixiani, per dire. Menzione d’onore per i polmoni del batterista/cantante che lo sorreggono per l’intera esibizione. Mentre stanno suonando appaiono pure gli altri due Metal Skunkers e si inizia con il valzerino dei giri di birra che durerà fino alla chiusura.
Con gli HORROR VACUI si entra nella sera e si ritorna di nuovo sul versante oscuro dei gatti, e una base di appassionati molto attiva rende il concerto movimentato e partecipato. Come prima, non sono il maggiore esperto del mondo di questo genere, ma i pezzi ce li hanno e il finale in crescendo ce li lascia all’apice della prestazione.

Giuda
I GIUDA li conosco da quando si chiamavano Taxi (o quantomeno il nucleo era quello) e da sempre fanno bene quello che fanno, che puoi chiamarlo punk o chessia, ma alla fine è rock’n’roll sparato alla vecchia maniera. Una formula che per far muovere il culo alla gente resta tuttora insuperata. Per di più oggi si vede che il gruppo ha suonato tanto a livello internazionale: la pacca, la coesione, anche lo show come è concepito ed eseguito, così secco e senza interruzioni, con i pezzi praticamente uno attaccato all’altro. Insomma danno una bella piallata e una scossa di vitalità, in previsione dell’atto finale che sarà di tutt’altro umore.

Godflesh
Da Birmingham a Teramo il passo è breve. Tutto buio, il solo fuoco di Streetcleaner ad illuminare la scena. Bello sì, ma io e tanti altri siamo ormai schiavi dei gatti e non ne possiamo più fare a meno. Alzo la voce per farmi portavoce di quella fazione che vuole ancora gatti, più gatti e nient’altro che gatti; non vengo ascoltato. Per i GODFLESH saranno solo fiamme e cristi in croce, forse è giusto così. Per onestà durante il primo pezzo non si sente un cazzo e la cosa è un po’ preoccupante, però poco alla volta si aggiusta tutto, e quando arriva Ringer siamo ormai nella condizione ideale. L’unica cosa che mi sento di dire è “che bomba, signori”: questo è uno dei grupponi che abbiamo avuto la fortuna di seguire in tempo reale. Non troppo tempo fa leggevo un pezzo in cui la cosiddetta Generazione X (la mia) è stata definita sfigata per non so quali millemila motivi, e sarà anche vero, però la musica era fichissima e tutto sommato a me va bene così.

Godflesh
Nei brevi intermezzi con Ciccio ci lasciamo andare alle solite considerazioni da vecchi tromboni su quanti filoni siano usciti dalla prima incarnazione dei Napalm Death e robe del genere. Breve pausa gabinetto e al solito, inaspettata, arriva la rivelazione. Un traballante cesso chimico lercio a fine giornata, l’odore acre e pungente che ti spinge a trattenere il respiro per non vomitare, nella penombra schizzi di piscio che ti rimbalzano sulle ginocchia e sulle caviglie, i Godflesh che rimbombano a volume disumano. “I didn’t hear voices, I didn’t hear voices, I didn’t hear voices”. La colonna sonora dell’apocalisse, il momento perfetto. Per quanto mi riguarda è già appuntamento al prossimo anno. (Stefano Greco)

Per il Dj set conclusivo finalmente tornano i gatti
