La ragione aveva torto: intervista a Cristiano Santini (Disciplinatha/Dish-Is-Nein)

Doveva essere una cosa di mezz’ora, uno slot nella programmazione delle attività lavorative di Cristiano Santini, che ci avrebbe risposto dal suo studio di registrazione, dove lavora come produttore e ingegnere del suono. Ne è venuta fuori invece una discussione di due ore o quasi. Cristiano, ormai unico filo conduttore di tutta l’esperienza dei Disciplinatha prima e dei Dish-Is-Nein oggi, s’è rivelato un interlocutore vulcanico, tutt’altro che riluttante. E quindi ne abbiamo approfittato per parlare anche di Europa, di musica indipendente e… dei Cure. Ovvio, abbiamo parlato lungamente anche di Occidente – a Funeral Party, l’eccellente ultima uscita (per ora) di una storia iniziata negli anni ’80.

Cominciamo da una domanda poco seria: cosa hai messo nel tuo kit di sopravvivenza per 72 ore? Qualche consiglio anche per noi?

Allora, in realtà, io mi sono posto una domanda: ok, io mi preparo un kit di sopravvivenza per 72 ore, se sono bravo sopravvivo per 72 ore. Poi che succede? Dopo 72 ore che fai?

Poi arrivano i nostri…

Devo essere sincero, non mi sono minimamente posto il problema. Non so neanche come catalogare questa idiozia, non trovo nemmeno un aggettivo consono per dare un’idea della stronzata che hanno partorito questi geni che vengono pagati coi nostri soldi per inventare queste assurdità. In realtà la cosa più preoccupante è che sarebbe comicità allo stato puro, se non fosse figlia di una strategia politica ben precisa. Ed è questo che più mi preoccupa, non il mezzo, ma il fine. Ma se proprio devo rispondere … Io ci metterei… boh, non ne ho la più pallida idea. C’è chi ci metterebbe una bella bottiglia di Jack Daniel’s, chi il disco della vita, chi qualche dose di eroina per farsi in vena aspettando la fine … è veramente soggettivo, e del tutto inutile aggiungerei. Diventa la maniera con cui aspettiamo la fine della nostra esistenza. Il fatto che qualcuno pensi che la gente debba avere un kit di sopravvivenza di 72 ore lo trovo veramente comico da un lato, ma drammatico dall’altro.

Veniamo alla prima domanda seria…

Ma questa era una domanda serissima…

Cos’è questo Occidente di cui stiamo celebrando il funerale? Non ho capito nemmeno se ti dispiace o no.

Questo sedicente Occidente è ormai in decomposizione avanzata, il funerale è stato già fatto, da un pezzo. È ovvio che mi dispiaccia. La mia idea di Occidente, ma anche di Europa, era, ed è, veramente molto ma molto distante dal disastro in cui ci troviamo a sopravvivere. L’Europa è stata la culla dei movimenti culturali, ideologici, politici, ma anche delle storture, dei drammi. Comunque ha avuto, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, un ruolo assolutamente centrale nello scacchiere geopolitico mondiale. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ci troviamo ad essere il “cortile” degli Stati Uniti d’America, a essere schiavi delle paturnie del presidente americano di turno, di una salatissima cambiale che abbiamo firmato al termine del secondo conflitto mondiale. Fin dal dopoguerra, piano piano, ma soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino, si è imposta questa melassa (leggasi globalizzazione) che tutto uniforma… tutto uguale, fino ad arrivare quasi a soffocare le identità dei popoli. Con identità intendo l’accezione più nobile del termine. Io sono emiliano, sono nato in Emilia, ho una cultura che è figlia della terra nella quale sono nato. Rimarcare la mia identità culturale legata alla terra in cui sono nato e vivo non vuol dire disprezzare altre identità culturali. L’identitarietà andrebbe slegata da qualsiasi accezione di natura politica o reazionaria. Il vento globalista ha sicuramente influito tanto sulla perdita di “un’identità occidentale”, ma soprattutto europea. L’Europa è uscita sconfitta dalla Seconda Guerra Mondiale, perché anche gli Stati che hanno vinto la guerra, Francia, Inghilterra, di fatto sono usciti sconfitti. Oggi l’Europa non vale più nulla. Punto. È un dato di fatto, a livello di politica internazionale siamo la ruota di scorta degli Stati Uniti, che fanno e disfano in funzione di una visione politico-economica ben precisa. L’abbiamo visto palesemente con il conflitto russo-ucraino. Lo stiamo vedendo con il conflitto tra israeliani e palestinesi… col conflitto… con la mattanza che Israele sta perpetrando nei confronti della Palestina. E l’Europa cosa fa? Sta sempre lì ad aspettare. Manca una posizione, un’idea, un progetto univoci. L’Europa è sparita. Nel retrocopertina del precedente disco dei Dish-Is-Nein s’era andato a riprendere un po’ il gioco che avevamo fatto già coi Disciplinatha, con la copertina di Nazioni/Crisi di Valori. C’era la mappa distesa del mondo e al posto dell’Europa c’era un buco nero. Perché di fatto l’Europa era (ed è) un buco nero.

Sembra che ci si sia adagiati, in questo non contare nulla, scambiandolo per pace. L’Europa ha vinto il premio Nobel per la pace, ma attorno a noi la guerra c’è sempre stata. Poi, parafrasando il discorso famoso di Luca Abort dei Nerorgasmo, tutti si scandalizzano per un simbolo del passato ma non si concentrano sul fatto che le proprie vite pacifiche sono ancora ingegnerizzate secondo degli schemi che risalgono proprio a quel passato. Di questi giorni è la notizia che la Volkswagen, la stessa dei furgoncini hippie, ricomincia ora a produrre carri armati. Sta ripartendo la storia?

Mi verrebbe da dire una battuta: la Volkswagen si sta rimettendo a produrre carri armati perché evidentemente non vende più automobili. In un momento in cui i burocrati atlantisti gridano “riarmiamoci” perché “Vladimiro” ha intenzione di venire qui a farci il culo, investiamo miliardi di euro in faccia alle leggi di bilancio, in faccia alle regole create dall’Europa per il controllo dei bilanci dei singoli Stati, quelle stesse regole che negli anni passati hanno mandato la Grecia in default. Adesso invece possiamo sforare perché ci dobbiamo riarmare, in faccia ai problemi interni che hanno vari Stati, in faccia al fatto che in Italia ci sia un’alta percentuale di famiglie che vive sotto la soglia di povertà, in barba del fatto che l’Italia ha un sistema sanitario drammaticamente deficitario. Miliardi di euro per la difesa, io lo trovo francamente criminale. E trovo sconcertante che se chiedi un’opinione alla gente nessuno è d’accordo, poi però alla fine le cose vanno avanti comunque così, perché l’importante per le persone è poter continuare a vivere nel proprio orticello, facendo la propria vita, soddisfacendo i propri bisogni primari e le proprie voglie, pensando di vivere nel migliore dei mondi possibili, quando in realtà “balliamo” sulla soglia di un baratro.

Una cosa che mi ha colpito tantissimo di Occidente – A funeral party è il ritorno della parola “esilio”. Paradossalmente è un legame molto forte con Primigenia, nonostante il carattere diversissimo dei due dischi: Primigenia quasi arreso, frustrato, Occidente invece energico, assertivo.

In realtà con “esilio” intendo una sorta di auto isolamento ideologico, concettuale. Quando ho pensato al concept attorno al quale volevo costruire questo lavoro avevo ben in mente quel brano presente su Primigenia, per me uno dei testi più belli che i Disciplinatha abbiano mai scritto. Rispecchiava uno stato d’animo che vivevamo all’epoca e che io vivo tutt’ora. Da lì, come dire, il ripescaggio di questa idea, attorno alla quale ruota il concept dell’album Occidente – a Funeral Party. Di nuovo, si parte da una presa di coscienza rispetto a quello che non è più l’occidente. Pensiamo, in questi anni, di aver lottato e conquistato nuovi diritti che ci dovrebbero avvicinare di più al concetto ideale di “società civile”. Questa “consapevolezza indotta” ci fa sentire gratificati, migliori. E quando siamo gratificati, siamo tranquilli, siamo pacificati. Viviamo in un mondo selvaggiamente violento, ma tanta gente è pacificata. Sul disco tra le altre cose c’è una citazione di Esilio, in Dove Il Buio Si Muove: “il mondo in una stanza/libertà e sudditanza”. Oggi buona parte della nostra vita la filtriamo attraverso un computer, che ci può dare la libertà di affacciarci su un universo sterminato, ma in realtà poi la rete è uno dei più potenti strumenti di controllo dell’opinione pubblica mondiale. C’è questa contraddizione. La citazione di cui parlo sta nel reprise dopo il drop di metà brano: “Sai cosa me ne frega della libertà, anche se posso parlare, non mi riesco a sentire”. Quando ho iniziato a lavorare a questo disco assieme a Roberta (Vicinelli, Ndr), si pensava che da un punto di vista di tematiche e di testi sarebbe uscito un disco meno sloganistico, più intimo, più trattenuto dentro. Finito di mettere giù i testi, ci siamo resi conto che invece era un disco cattivo, è un disco veramente aggressivo. Ancora oggi stiamo tentando di raccontare che non è il re ad essere nudo, ma è il popolo semmai ad esserlo. Ed è la cosa più problematica che puoi fare. Perché alla gente puoi far fare quello che ti pare, se sei bravo. Ma nel momento in cui la metti davanti alle proprie miserie, la gente si prende malissimo. Noi lo abbiamo sempre fatto e questo ci ha creato non pochi problemi. È facile andare nelle piazze a cantare Bella Ciao, pugno chiuso. Molto più complicato è andare ad analizzare l’origine delle nostre miserie umane, le principali cause della miseria globale all’interno della quale ci troviamo. Probabilmente questa è l’ultima volta che parliamo di questi temi, però. il prossimo disco potrei farlo strumentale, perché non ho più nulla da dire su questo argomento. Oppure potrebbe essere un disco di canzoni d’amore… Sicuramente non parlerò più di Europa, non parlerò più di Occidente in maniera così chiara e manifesta. Questo disco chiude un ciclo per tutta una serie di motivi concettuali… e anche umani.

Disciplinatha prima e Dish-Is-Nein poi provocano, cercano la reazione dell’ascoltatore…

No, non si tratta di provocazione: questa parola è sempre stata accomunata alla nostra proposta artistica, fin dai primissimi Disciplinatha, ma in realtà si trattava di una reazione ad un mondo, uno stato delle cose che non ci rappresentava, del quale sentivamo di non far parte, quindi reagivamo. Cosa che facciamo anche ora, nel solo modo che conosciamo, scrivendo musiche e testi che raccontano i tempi tossici che viviamo, e l’apatia delle persone che, nella stragrande maggioranza, sono “pacificamente” allineate a questa tossicità. E tutto questo, raccontare che è il popolino ad essere nudo, e non il re, non s’ha da fare, perché la gente, quando messa di fronte alle proprie miserie, reagisce malissimo.

Allora ti provoco, io, o almeno ci provo. La definizione stessa di resilienza, la capacità di riassumere la propria forma dopo una forte sollecitazione o di reagire a un trauma, sembra un po’ il sunto della storia dei Disciplinatha prima e dei Dish-Is-Nein oggi.

Allora, se vogliamo guardare la questione, come dire, relativamente al concetto intrinseco della parola, da un certo punto di vista potrei anche essere d’accordo. Ma è la parola stessa ad essere odiosamente ed ipocritamente abusata, al punto da diventare insopportabile. Più che resilienza preferisco, se proprio devo, rifarmi ad un’immagine molto più nobile che è quella della fenice, che rinasce dalle proprie ceneri. Ecco, questa mi piace molto di più. Resilienza è inaffrontabile prima di tutto perché è in bocca a chiunque: dal capo di stato al banchiere, dal pizzaiolo al rapper, chiunque. Non può esistere un concetto che trasversalmente vada bene per tutti, e quando ciò accade evidentemente ci troviamo dinanzi a qualcosa che con ogni probabilità è stata svuotata del suo senso più profondo.

Dalla fine dei Disciplinatha sei cresciuto professionalmente come ingegnere del suono. Come e quanto questa cosa vi ha reso più indipendenti di prima?

Tantissimo, perché all’epoca dei Disciplinatha non avevamo uno studio di registrazione a disposizione, oggi sì. Questo ti permette di poter fare le cose nei tempi e nei metodi che ritieni più opportuni. Poi bisogna fare attenzione perché le conoscenze, sì, ti aiutano nel lavoro, ma possono diventare anche un paraocchi, un limite alla tua creatività. Bisogna quindi riuscire, cosa tutt’altro che scontata, a mantenere un’apertura mentale unita alla voglia di andare sempre oltre a quello che si è fatto nel tempo. Le capacità e la strumentazione che oggi ci sono, all’epoca neanche ce le sognavamo; si facevano i dischi con dei sedici piste su nastro analogico, un 24 tracce se eri ricco. Nonostante questi limiti tecnologici, se guardati con gli occhi di oggi, negli anni ’80 sono stati fatti dei dischi meravigliosi. Oggi con un laptop, un paio di cuffie e una scheda audio se vuoi puoi fare musica. E se sei bravo puoi fare musica di livello, mentre una volta c’era una forbice enorme tra la musica dilettantistica e la musica professionale, smisurata. Se volevi fare un disco, andavi in uno studio e, siccome costava un sacco di soldi, prima di andare in studio ti preparavi, ci andavi avendo fatto il 200% di quelle che erano le tue possibilità. Oggi è cambiato tutto. Effettivamente là fuori c’è una quantità di persone che fa musica enormemente maggiore rispetto al passato. La mia domanda è: stiamo ascoltando musica migliore? La risposta, dal mio punto di vista, è no. Stiamo ascoltando una quantità di musica imbarazzante che non ha dell’umano. Quindi questa cosiddetta “democrazia tecnologica” è servita a far sì che un sacco di gente che avrebbe dovuto fare altro nella vita, si sia messa a fare musica, con i risultati che quotidianamente alienano le nostre orecchie.

C’è qualcuno che secondo te merita di essere ascoltato come musicista o come personalità, tra i nomi nuovi emersi recentemente?

Ho ancora la fortuna, se così si può dire, di lavorare in un ambito “underground”, non mainstream, quindi mi arrivano cose piuttosto varie. Di cose interessanti ne ascolto, soprattutto in ambito di musica elettronica, più che musica suonata, musica rock, passami il termine assolutamente generico. Dal mio punto di vista la musica rock ha esaurito la sua spinta innovativa trent’anni fa. Non voglio dire che ascoltare rock non sia piacevole, tutt’altro, non è una questione di gusti. Se tu ci pensi, l’ultimo movimento musicale “suonato” che è stato rilevante è stato il grunge. Ormai parliamo di oltre un quarto di secolo fa. La musica elettronica invece ha continuato a partorire anche tanta roba interessante. Io, nonostante tutto, ascolto poco la scena musicale italiana, perché ha sempre avuto una certa… particolarità, nell’accezione meno positiva del termine. Mi spiego: in passato c’era una scena mainstream e c’era una scena indipendente. Non vuol dire che, se tu facevi musica indipendente, la facevi per venderla solo a tre nerd contenti perché erano gli unici al mondo che ascoltavano la tua musica. Chi fa musica cerca di venderla, da sempre, non c’è nulla di male. Quello che cambiava drasticamente tra le due scene erano le dinamiche che stavano dietro: marketing, comunicazione, eccetera eccetera. Mainstream vs. underground, com’è oggi, nella realtà è un appiattimento tra le due scene, che vede i suoi albori intorno al 2010, ed è l’ennesima anomalia italiana. In Italia ci sono sempre stati due eventi musicali che rappresentavano uno la musica mainstream, Sanremo, e l’altro la musica underground alternativa, il concerto del Primo Maggio (ovviamente la mia è una considerazione un po’ generalista, ma è per rendere il concetto). Bene, guarda il roster del concerto del Primo Maggio di quest’anno: all’85% corrisponde a quello di Sanremo. Questa cosa significa che una scena underground ben definita, peculiare, con una sua visibilità e soprattutto credibilità a livello nazionale, non esiste. Mainstream, dal mio punto di vista, non necessariamente deve significare “il male”, però chiamiamo le cose col loro nome, non raccontiamocela. “Pop” non è uguale automaticamente a “spazzatura”, assolutamente, io non ho mai avuto questa visione. Il problema è che, nel tempo, anche a livello underground si è tutto molto uniformato. Riuscire a tirar fuori la testa, fare qualcosa di diverso, è un’impresa drammatica. Per dire: questo disco dei Dish-Is-Nein ha avuto un’accoglienza che mi ha colpito. Sia io che Roberta qualche dubbio ce l’avevamo, perché questo nasceva senza una persona importante, non solo da un punto di vista umano. Dario non era solo un chitarrista assolutamente peculiare come stile, era un’artista a tutto tondo, a 360° con delle idee, delle visioni. Quindi non ero certo che questo disco venisse accolto bene. Sono, siamo rimasti molto colpiti dalle dimostrazioni di stima e di affetto che abbiamo avuto oltre ad una visibilità come non l’abbiamo mai avuta prima, un sacco di recensioni, un sacco di interviste, un sacco di interesse. Ma dall’uscita di Occidente abbiamo fatto tre concerti in tutto. Perché siamo comunque un prodotto di nicchia e ai prodotti di nicchia oggi in Italia non danno spazio. Devo essere sincero, avrei voglia di suonare, non riesco a suonare, piuttosto avvilente, la verità è questa.

Io vi ho visti nel 2020 all’Ohibò di Milano, una decina di giorni prima del lockdown.

Me lo ricordo, bella serata, bel posto. Peccato poi, che questa bella realtà (l’Ohibò) abbia chiuso definitivamente.

Esatto. È stato proprio un periodaccio…

È stato un periodaccio prima di tutto perché c’è stato il Covid. Poi, al di là dei disastri economici che il Covid ha causato, è stato un passaggio netto in cui ha preso forma in maniera precisa un certo modo di gestire la comunicazione e il consenso. Se ci pensi è durante il Covid che si è creato questo dualismo conflittuale ed aggressivo tra due fazioni (pro-vax contro no-vax), creato in maniera criminale, gravissima, da parte del governo e dei giornalai prezzolati dal potere. Io non entro nel merito, ma già la distinzione tra i pro-vax e i no-vax è una definizione grossolana, perché in mezzo ai no-vax, sì, ci stavano anche casi umani, ma c’era anche gente che semplicemente si poneva delle domande legittime. Visto che il pensiero unico dominante era un altro, automaticamente diventavi il nemico che doveva essere azzerato, raso al suolo. Abbiamo massacrato un premio Nobel, Montagnier, dandogli del vecchio rimbambito. Lui, insieme al suo team, ha scoperto l’AIDS, per dirne una. Poi magari sbagliava, chi sa, ma non si meritava di essere massacrato. È stata creata una comunicazione ad hoc per generare uno scontro. Si è creato un modello di comunicazione che è stato utilizzato paro paro per Russia e Ucraina, per Israele e Palestina. Non puoi avere un’idea tua, e, se ti fai qualche domanda sulle ragioni per cui si è venuto a creare il conflitto tra Russia e Ucraina, automaticamente sei un filoputiniano e quindi un criminale. Putin è un criminale (e magari lo è per davvero), mentre Netanyahu è invece uno che legittimamente difende il popolo israeliano. No, calmi un attimo, due pesi e due misure. Due pesi, due misure, un pensiero unico che crea due fazioni che si odiano. All’Occidente sta succedendo questo, ci massacriamo tra di noi. Neanche gli animali sono a questo punto, siamo peggio delle bestie e quindi giustamente meritiamo di scomparire. Perché siamo un virus e quindi il virus va debellato. Io non penso di essere migliore, assolutamente, però in questa logica assassina e fratricida non ci voglio entrare e quindi mi esilio. Punto.

Occidente non ha quasi più le chitarre elettriche. Scelta sentita, forse obbligata, ma certo difficile.

Non ci abbiamo pensato un secondo a dire “no chitarre”, ma soprattutto “no chitarristi”. In realtà dentro il disco ci sono un paio di chitarre che sono dei campioni di vecchie chitarre che aveva suonato Dario ancora per Un Mondo Nuovo. Ho ancora un vecchio sampler dell’Akai qui in studio, con tutti i floppy disk che risalgono a trent’anni fa. All’epoca io e Dario eravamo fan sfegatati degli Young Gods che utilizzavano parti di chitarra che si campionavano loro stessi. Quindi io campionavo una valanga di chitarre da Dario. Avendo ancora questo materiale su floppy disk, sono riuscito a prendere due sample suonati da Dario e a metterli, opportunamente manipolati, dentro al secondo brano, Dove il Buio si Muove. Alla fine Dario partecipa anche a questo disco. Ma per rispondere al “cuore” della tua domanda: devo essere sincero, no, essendo un lavoro nato per non avere chitarre, scrittura ed arrangiamento dei brani sono stati fatti tenendo conto di questo, quindi non abbiamo incontrato, da questo punto di vista, problematiche particolari. È stato invece difficoltoso riarrangiare i brani vecchi in chiave live perché questi erano nati e costruiti con uno spazio importante per le chitarre. Anche dal vivo l’idea di avere un altro chitarrista… assolutamente no. Quindi dovevamo sostituire le chitarre con altri elementi. Il mese di preparazione del concerto, una volta finito il disco, è stato complicato. Il riarrangiamento dei brani del primo Ep e di alcuni brani dei Disciplinatha ha comportato parecchie difficoltà.

Infatti un brano come Toxin mi chiedevo come siate riusciti a renderlo dal vivo.

Oltre ai Disciplinatha, ho un altro progetto, uno spin off che si chiama XNX, che sarebbe un acronimo di Xanax, con un carissimo amico, con cui ci conosciamo da sempre, Federico Bologna dei Technogod. Abbiamo lavorato insieme per due dischi di Miro Sassolini (cantante dei primi tre dischi dei Diaframma, ndr), abbiamo fatto un sacco di roba assieme. A un certo punto, era più o meno poco dopo il Covid, gli dissi “abbiamo già un’età, abbiamo fatto roba per il mondo, prima di morire facciamo una cosa per noi”, per cui abbiamo messo in piedi questo progetto elettronico. Un duo, io suono il basso e canto, lui ha tutta la sua elettronica. Quando abbiamo iniziato a preparare i brani per i concerti, soprattutto per la data di Vignola, gli ho chiesto di sostituire le parti di Dario sui brani vecchi con le sue macchine. Lui ci si è messo e ha fatto un lavoro pazzesco, Toxin ha una botta, anche senza chitarre, che è incredibile, ed è merito suo. Il disco nuovo nasce invece per essere concepito senza chitarre. E quindi automaticamente si creano spazi un po’ diversi, per cui sul disco il basso di Roberta, giustamente, ha tanto spazio, tanti bassi distorti, un suono molto, molto aggressivo, molto presente. Le voci stesse hanno tanti effetti, molto più effettate che nelle cose precedenti, per dare in certi momenti anche alla voce la connotazione di un ulteriore strumento. Questa è stata la logica. A livello di workflow sì, in certi momenti da un punto di vista emotivo è stato difficile, non da un punto di vista esecutivo, nella creazione dei brani. C’eravamo fatti un’idea e dopo aver buttato giù due o tre brani ci siamo resi conto che per noi l’idea che funzionava era costruire utilizzando una certa elettronica molto sporca, molto glitch, molto noisy, con tanta ritmica, elettronica che si sposava con la ritmica acustica e quindi per creare… un substrato. Io lo chiamo un “panino”, un “hamburger” con un sacco di ingredienti dentro, tutti molto belli, definiti, che vanno a creare insieme questo, “disagio sonoro”, che comunque era l’obiettivo al quale volevamo arrivare.

Ti va di ricordare Parisini condividendo con Metal Skunk un ricordo, un episodio?

Con Dario abbiamo iniziato a suonare in questo primo gruppo, c’ero io, c’era Dario, c’era Daniele (Albertazzi, NdMS), il batterista della Disciplinatha e c’era Marco (Maiani, ndr), il primo bassista dei Disciplinatha. Poi c’era il fratello di Daniele alle tastiere. Questo gruppo era adolescenziale, si chiamava Labirintum. Finita questa prima esperienza abbiamo preso strade musicali diverse e ci siamo ritrovati quando abbiamo iniziato a pensare ai Disciplinatha. In mezzo comunque a tutto questo periodo, in mezzo anche al primo periodo dei Disciplinatha, io e Dario ci stavamo amabilmente un po’ sulle balle, perché eravamo due persone molto diverse. Soprattutto io stavo un pochino sui coglioni a lui e io, chiaramente, di riflesso provavo a mia volta una certa antipatia per lui. E non ce lo mandavamo a dire. Poi ci siamo resi conto, fin dall’inizio dell’esperienza Disciplinatha, che quando lavoravamo assieme, a livello di creatività musicale, funzionavamo bene. Chi lo sa per quale motivo, ma, come dire, questa scarsa empatia umana che c’era fuori dalla sala prove, dentro la sala prove in realtà spariva e c’era una forte empatia a livello musicale, riuscivamo a fare incastrare le sue idee e le mie. Io mi ricordo, facevamo delle discussioni eterne, all’epoca, lui era un patito del thrash metal, ascoltava gli Anthrax. Io ero un patito della musica industriale. Mi faceva sentire gli Anthrax, gli Slayer, “perché questo è il futuro”, diceva, “non capisci niente, quella che ascolti è musica da tamarri, il futuro è questo” rispondevo io, e gli facevo sentire Jim Foetus. Se tu ci pensi, i primi Disciplinatha erano la somma di queste due attitudini. Ci siamo resi conto che funzionavamo, per cui è iniziata a nascere anche una stima professionale, che con gli anni pian piano è cambiata, è diventata un rapporto profondo, un’amicizia fraterna, anche se a volte ci si poneva l’uno con l’altro sempre in maniera abbastanza “ruvida”. Io dicevo sempre che eravamo un po’ tipo i due vecchi del Muppet Show, però alla fin era il nostro modo per dimostrarci affetto. Potrei dirti che probabilmente per me è stato un fratello, una persona veramente, veramente importante. Tutte le cose belle, da un punto di vista artistico, che ho fatto nella mia vita, le ho fatte con lui e quindi è chiaro che per un bel po’ ho pensato che non avrei più fatto niente a livello musicale. Ho passato un bel po’ di tempo sotto psicofarmaci, stavo male e non ne uscivo. Poi… poi il tempo aiuta, e non è che ti cancella le ferite. Le cicatrici rimangono, però impari a gestirle, molto semplicemente. Anche perché sennò non ne esci e t’attacchi ad un albero o ti butti in un canale. Comunque, insomma, ne abbiamo fatte, ne abbiamo fatte un sacco. Del resto ci siamo conosciuti nell’’82 e lui se n’è andato nel 2022, quindi ci siamo frequentati per quarant’anni. Lui è stato malato per tanto tempo. Io mi ricordo tutto, anche perché mi è morto sotto gli occhi. Ero lì, ok? Fortunatamente oggi… non è che quell’immagine è sparita, quell’immagine c’è ancora. Ma a prevalere c’è un sacco di roba molto più bella, tipo “wow, comunque sì, ne è valsa la pena starci, essere insieme e condividere così tanto per questi quarant’anni”. È finito troppo presto perché una persona non può andare al creatore a 56 anni, mondo cane. Però abbiamo fatto un sacco di cose belle, ma ci siamo scazzati un miliardo di volte, perché il nostro rapporto era sempre diretto e sincero. Un ricordo, un episodio… lui mi ha sempre rinfacciato il fatto che, per lui, non ero un frontman adeguato rispetto all’impatto che avevano i Disciplinatha. Quando poi facemmo la data di reunion del 2012 per presentare Tesori Della Patria, alla fine del concerto mi disse “questa sera sono felice e orgoglioso perché finalmente ho un frontman sul palco”. Alla fine fortunatamente le cose che rimangono sono le cose belle, no? È normale, come fisiologico, mi verrebbe da dire, ed è sano che sia così. Perché sennò la risolvi definitivamente. E io ho ancora voglia di fare cose, prima di decidere eventualmente di risolverla definitivamente in qualche maniera, tutto qua.

Un nuovo disco?

Non vogliamo certamente far aspettare altri otto anni, anche perché tra otto anni ne avrò 68. Il tempo non è dalla nostra parte, quindi cerchiamo di sparare tutte le banane che abbiamo. Poi vediamo che succede. Visto che comunque alla fine questo album ci è piaciuto, siamo molto contenti di come è uscito questo lavoro. Questo grazie anche alle persone che ci hanno lavorato. Ai testi, oltre ad Alessandro Cavazza su un brano (Occidente), gli altri per la maggior parte li abbiamo scritti a quattro mani con Renato Carpaneto, collaborazione importantissima e fondamentale, ma vorrei citare Giulio Ragno Favero, perché è stato fondamentale e se il disco è uscito come è uscito un merito importante ce l’ha lui, che è un caro amico. Oltre a fare il mastering, lui ha dato una supervisione sulla parte finale del mix e ha messo mano al mix delle mie voci. Io non ci volevo assolutamente mettere mano. Poi mi ha ritrasmesso la tranquillità che in quel momento mi serviva, per cui massimo rispetto e un grazie eterno al buon Giulio.

Occidente suona da dio, ma già l’Ep suonava da dio. Non è che ci sia un divario grandissimo…

Il primo Ep ci abbiamo messo una vita a farlo. Mi sono preso tutto il tempo per farmi i mix, riascoltarli, rifarli e riascoltare. Il disco nuovo lo abbiamo fatto in un anno, un periodo molto più serrato, perché dietro c’era un crowdfunding. La gente ci ha dato i soldi a maggio del 2024, mi sembrava il minimo a marzo/aprile 2025, quasi un anno dopo, ripagare l’atto di fiducia. Questo quindi ha comportato che venissero rispettate delle tempistiche, per cui per questo sono anche arrivato un pochino più stressato alla fine di questo album. L’altro disco è riuscito a vivere di tempistiche decisamente più dilatate, cosa che ci ha permesso di lavorare in maniera molto più serena. Detto questo è vero, anche l’altro disco suonava di brutto, questo suona di brutto. Poi vabbè, io da questo punto di vista sono un fighetto compulsivo, se la roba non suona come ce l’ho in testa non la faccio uscire. Per me la roba deve essere una produzione che la metti di fianco a qualsiasi produzione internazionale e ci sta, al di là che piaccia o meno. Come produzione la puoi mettere di fianco a un disco di Nine Inch Nails e non sfigura. Credo che, da un punto di vista di suoni, tecnico, ci siamo riusciti. Poi, come dire, la parte artistica, il fatto che venga apprezzata o meno resta soggettivo, va tutto bene. Però mi è piaciuta molto la tua recensione.

Grazie… Al primo ascolto ero rimasto un po’ freddo, mi era sembrato un disco sottotono. Poi, ascolto dopo ascolto, parole, suoni, le dinamiche che poi venivano fuori, e quindi invece è venuto fuori tantissimo.

Ma probabilmente sai perché.

Perché lo ascoltavo in cuffia al volume basso mentre andavo al lavoro?

No, non sono convinto che sia quello. Se tu ci pensi, i Disciplinatha nella loro carriera sono sempre stati un gruppo estremamente eterogeneo, da un punto di vista sonoro. Questo disco volutamente io l’ho impostato come un concept album, che musicalmente doveva essere un flusso. Da un punto di vista sonoro, la ricerca di una certa uniformità è stata voluta con la consapevolezza che magari qualcuno poteva anche essere abituato all’eclettismo di lavori precedenti e considerarla quindi come un limite, un difetto del lavoro. Anche la scaletta è stata ragionata per provare a offrire un’esperienza immersiva. Non è un disco da streaming, mi rendo conto, perché l’ascolto in streaming vive su dinamiche diverse. Non a caso se ci pensi c’è il singolo che singolo non è. “Con che brano usciamo per lanciare il disco?”, si ragionava con la Robby. “Con il brano più lungo che abbiamo, Stato Di Massima Allerta”. Sono sei minuti e oggi con sei minuti ci fai tre singoli. Il fatto che i Cure siamo usciti con un singolo di sei minuti e 14 secondi per me è bellissimo perché è un messaggio chiaro. Vuol dire “io non devo dimostrare proprio nulla a nessuno che non sia me stesso”. Non mi devo preoccupare di nessuna logica di mercato perché sono fuori dal mercato. E quindi posso veramente dire che vivo di autarchia e musica.

Il disco dei Cure però secondo me suona malissimo.

Anche secondo me non suona bene, sono d’accordo con te. Considera che i Cure sono il gruppo della mia vita. Io me lo ricordo ancora quando ho ascoltato Seventeen Seconds per la prima volta. Era agosto, ero in vacanza in montagna, ero un pischello. Arriva questo mio amico con una cassetta e dice “guarda, mi hanno passato questa roba qua, roba nuova che arriva dall’Inghilterra”. Dentro c’era Unknown Pleasures dei Joy Division e Seventeen Seconds dei Cure. Io la ascoltai, era come se mi fosse arrivato un fulmine in fronte, tale fu lo shock. Ancora oggi non so quante volte l’ho ascoltato, Seventeen Seconds, centinaia di volte, mi viene la pelle d’oca ogni volta, giuro su Dio. Non ho tutto di loro perché, in realtà, i Cure che io adoro si fermano a Pornography. Comunque ho comprato l’ultimo disco e mi sono reso conto che su un vinile c’erano 56 minuti. Non puoi mettere 56 minuti di musica su un vinile! I solchi son troppo stretti, hai un rapporto segnale/rumore pessimo, non hai dinamica. E difatti il disco suona male. Poi vedo che c’è l’edizione a due vinili, masterizzata a metà velocità. Dico, va bene, prendiamo quella. Arriva a casa, la metto su, suona un po’ meglio, ma suona male comunque. Paradossalmente, al momento, tra le versioni che ho sentito, quella che suona meglio è la versione per streaming. È un peccato perché, comunque sia, per me è un bel disco. E ha un brano, Endsong, che è una delle cose più belle che abbiano scritto i Cure. Io la prima volta che l’ho sentita mi sono emozionato, mi sono commosso, è un brano meraviglioso, meraviglioso! Potrebbe suonare meglio? Sì, però quella canzone lì è stupenda. La mia compagna è molto più giovane di me, per cui le ho sempre detto “io mi auguro di trapassare prima di te”. Recentemente le ho detto invece “sappi che quando trapasso, mentre mi portate nel dolce forno, devi suonare Endsong dei Cure, sappilo”. Ho proprio pianto la prima volta che l’ho ascoltata, giuro. È bella ‘sta roba, avere sessant’anni e piangere quando senti una canzone. Però sì, suona male. Non so perché, gli volevo scrivere “Robertone, mi mandi le tracce, te lo remixo io gratis, non voglio soldi, mi fai mixare due pezzi, se ti piacciono fanne quel che vuoi, ok?”.

Soprattutto il basso, per favore, è orrendo.

Vero, anche perché le linee di Gallup nei brani dei Cure sono sempre state importantissime. Quasi il basso sparisce in mezzo a una marea di tastiere. C’è da dire che questa “sinfonicità” dei Cure nasce molto tempo fa, con Disintegration, il disco che da tanti viene considerato il loro apice, ma per me non lo è. È lì che diventarono molto sinfonici. Tappeti di tastiere che tendevano un po’ a mangiarsi i giri di basso di Gallup, che sono una meraviglia e sono fondamentali per il suono dei Cure. Anche le chitarre di Smith, anche lui aveva il suo suono, le sue parti finiscono un po’ in secondo piano con questo cambio di “attitudine”. Sono convinto che lui ha fatto quello che voleva fare, quindi questa svolta sonora. Comunque Songs of a Lost World, è un bel disco Era da tempo che non sentivo un disco suo, o loro che dir si voglia, con tanti brani che mi ritrovo ad ascoltare volentieri e con un brano (Endsong) di una bellezza unica.

Cristiano, io ti ringrazio. Ti ho portato via due ore…

Sono io che devo ringraziarti Lorenzo, grazie per aver ascoltato “stoicamente” un’ora e mezza-due dei miei deliri.

(Lorenzo Centini)

23 commenti

  • Metallaro scettico
    Avatar di Metallaro scettico

    mah… io mi chiedo perché ci aspettiamo dai musicisti chissà quali verità sociologiche o addirittura spiegazioni sulla geopolitica contemporanea. Parlate di musica va’

    Piace a 2 people

    • Avatar di Cpt. Impallo

      Ma che stronzata gargantuesca, porco dio. Vallo a dire a Sepultura, carcass, dead kennedys, napalm death e altri duecento milioni circa di band

      "Mi piace"

      • Metallaro scettico
        Avatar di Metallaro scettico

        esatto, se tu prendi per buono quello che dice Max Cavalera andiamo bene… un musicista può senz’altro trasmettere emozioni, un grido di protesta o di rabbia, e molto meglio di molti altri. Ma quando si va nel dettaglio bisognerebbe avere l’umiltà di riconoscere che le proprie competenze risiedono altrove.

        Piace a 1 persona

    • Avatar di weareblind

      Totalmente d’accordo. Operai che si credono Grandi Pensatori.

      "Mi piace"

      • Lorenzo Centini
        Avatar di Lorenzo Centini

        Il problema è stato ammettere nelle scuole i figli degli operai. Da lì una slavina.

        "Mi piace"

      • Avatar di weareblind

        No, il problema è dare ragione all’operato poiché operaio. Mi raccomando, hasta la qualsiasi siempre

        "Mi piace"

      • Lorenzo Centini
        Avatar di Lorenzo Centini

        Ma no, che “qualsiasi”, che vai a pensare. Però anche di impiegati, professionisti o imprenditori che parlano a vanvera ne ho incontrati parecchi, quindi il beneficio del dubbio non lo nego a nessuno.

        "Mi piace"

    • Avatar di mark

      Evidentemente ha ragione chi dice che molta gente oggi ha perso la capacità di comprendere un semplice testo. Santini dice “E tutto questo, raccontare che è il popolino ad essere nudo, e non il re, non s’ha da fare, perché la gente, quando messa di fronte alle proprie miserie, reagisce malissimo”. Carti commenti come minimo lo confermano. E’ così difficile?

      Il problema, se capite quello che intende l’intervistato, è proprio la mancanza di capacità della massa di sapere interpretare certi avvenimenti. Appena uno si pone domande non viene preso per una persona intelligente, ma per uno scemo da catalogare come “grillino”, “operaio” che si crede stocazzo ecc…

      Ora, non è che uno debba essere Caracciolo, o Travaglio, o Barbero, o un qualche politico di destra/centro/sinistra/sopra/sotto/davanti/dietro per parlare di certi argomenti. Basta avere un minimo di testa.

      Poi nessuno sta dicendo che Cavalera o Santini debbano essere presi come fonte di verità. Esiste quella cosa chiamata intelligenza che ci permette di apprezzare un pensiero di un musicista (anche se con un passato “operaio” di cui certamente non si deve vergognare). Immagino che si possa/debba ascoltare un disco degli Emperor senza per questo correre a bruciare chiese o tirare coltellate a vecchi invertiti. Chi non lo capisce forse a casa invece dell’auto possiede un drakkar di legno e vive in un mondo tutto suo.

      Piace a 2 people

      • Avatar di weareblind

        “Poi nessuno sta dicendo che Cavalera o Santini debbano essere presi come fonte di verità”. Meno male quindi, possiamo ancora dire che certe uscite paiono sciocchezze a taluni. Concordo con te, in questo.

        "Mi piace"

  • Avatar di Manamanà

    Una volta erano guerrieri, adesso sono banali grillini.

    Piace a 1 persona

  • Avatar di nxero

    Complimenti per l’intervista, finalmente qualcuno con qualcosa da dire. Per me, sono contentissimo di aver finanziato questo progetto. Avercene.

    "Mi piace"

    • Avatar di Old Roger

      Ragazzi , prima di buttare merda su gli operai lavatevi la bocca con l’ acido solforico….Ci mancava anche sto rosso/bruno …fatti un biglietto di sola andata per Mosca o Teheran…tutti a cagare il cazzo sull’ occidente ma da qua non vi schiodate

      ROSSI O NERI MERDA TUTTA UGUALE ( IMPACT)

      "Mi piace"

      • Avatar di nxero

        Vorrei capire cosa c’entra con il mio commento e alla fine anche con quello che dice il buon Santini. Dove avrei buttato merda su chi e perché resta un mistero. Credo che il disco e l’operato dei Dish is nein e Disciplinatha sia, comunque la si pensi, sempre un ottimo spunto di riflessione, poi è chiaro che una parte è provocazione (ed era chiaro din dall’inizio se pensate al titolo del loro primo lavoro) ed una parte è realtà. Invece essere qualunquisti non mi sembra una gran conquista. Per dirla con Henry Rollins “you say we are all the same, you don’t even know my name”.
        Cordiali saluti.

        "Mi piace"

    • Avatar di Old Roger

      Il Rosso/Bruno in questione e il Santini non tu. Gente come lui , Mercy , Argento ,si sa da che parte tirano e la linea che li divide da gente come I Deviated Ladies è sottilissima.Soproloqui da aristocratici , intellettuali di sto cazzo mi fanno ridere. Sempre la solita minestra riscaldata….si inventassero qualcosa di nuovo. Camerati forse che si , forse che no

      "Mi piace"

      • Avatar di nxero

        Non capisco bene cosa c’entrasse rispondere al mi commento allora, ma no problem. Personalmente mettere nello stesso calderone i DL e i Dish is nein è come confondere la merda col cioccolato (anche musicalmente) ma chi sono io per discutere i pareri altrui.

        "Mi piace"

      • Avatar di nxero

        Ps: se interessa io con l’acido solforico (66 Bé) ci lavoro 😉

        "Mi piace"

  • Avatar di mark

    Mi sfugge il motivo di attaccare senza argomentazioni uno dei pochissimi musicisti che dice la sua in modo intelligente, senza estremismi e politicamente trasversale. Peraltro nell’intervista vengono toccati molti altri temi interessanti legati alla qualità della musica in diversi aspetti.

    Non vi va bene che una persona ragioni fuori dagli schemi destra/sinistra e mostri capacità di analisi della realtà? Vi meritate tutti i vari Renzi, Conte, Meloni, Schlein, Von Der Leyen, Kallas ecc.

    Non è interessante ascoltare un musicista e tecnico del suono che ha contribuito a fare la storia della musica indipendente italiana? Perfetto, la Napalm Rec ha sicuramente per voi un lungo elenco di gruppi di merda tutti uguali che parlano di vichinghi, demoni, rituali occulti, draghi alati e stronzate simili.

    Piace a 1 persona

  • Tim the Enchanter
    Avatar di Tim the Enchanter

    Non sapevo che Marco Travaglio suonasse nei Disciplinatha.

    "Mi piace"

  • Avatar di Speaker

    Splendido ‘sto poro coglione novacchese, con l’amichetto suo che manca tanto ai camerati di tutta Itaglia!

    "Mi piace"

  • Simone Amerio
    Avatar di Simone Amerio

    Deliri se va bene da radical chic, se va male da venduto stile Travaglio o Santoro

    "Mi piace"

Scrivi una risposta a Tim the Enchanter Cancella risposta