La finestra sul porcile: Black Mirror 7

Black Mirror non ha bisogno di grandi presentazioni. La serie inglese creata da Charlie Brooker è arrivata alla settima stagione, un viaggio fatto di picchi notevoli e qualche scivolone. E, ogni volta che esce una nuova stagione, scatta quasi automatico il paragone con quella precedente, cosa che non succede proprio con tutte le serie TV.

Forse dipende dal fatto che Black Mirror è antologica: ogni volta si riparte quasi da zero, e mettere gli episodi o le stagioni in relazione viene naturale. O forse è perché, da quando la serie è arrivata su Netflix, lo stile è cambiato parecchio. Ha perso un po’ di quello stile puramente britannico, fatto di umorismo nero ed estetica deprimente. Lo stesso Brooker, in più interviste, si è detto stufo di sentir parlare di show “americanizzato” o, come direi io, “netflixizzato”, con quella patina lucida tipica della piattaforma. D’altro canto però, è difficile non notare un cambiamento netto da qualche stagione a questa parte. La sesta, ad esempio, sembrava quasi un’altra serie: una raccolta di episodi horror banalotti, senza troppa sostanza. Qualcuno deve averlo fatto notare agli autori, perché con la settima stagione si parla di un “ritorno alle origini”, visto che sono tornate le storie concentrate sulla tecnologia. A guardarla, l’inversione di rotta c’è stata, è vero, e la qualità è decisamente migliore rispetto alla stagione 6. Ma, insomma, non ci voleva poi molto per fare meglio.

Il primo episodio è Common People, storia di una donna con un tumore al cervello. Il marito viene contattato da un’azienda che promette di salvarla con una nuova tecnologia, al costo di 300 euro al mese. Lui accetta, ma ovviamente le cose non vanno come sperato, e l’azienda si rivela tutt’altro che affidabile. Questo è forse l’unico episodio che riprende davvero lo stile originario di Black Mirror. Poi c’è Bête Noire, che onestamente sembra abbastanza inutile. Hotel Reverie è carino, ma la trama è piuttosto prevedibile. Plaything non è male, anzi, solo che i personaggi della poliziotta buona e del poliziotto cattivo sembrano creati con il proverbiale stampino, prendendosi tremendamente sul serio senza un briciolo di ironia e roba che ti chiedi se non li abbia scritti uno stagista. Eulogy è una lagna incredibile e USS Callister: Into Infinity aiuta a prendere sonno.

Temo sia inutile continuare a sperare di ritrovare la genialità delle prime stagioni. Quell’angoscia che ti prendeva guardando certi episodi sembra svanita per sempre. E non è perché ormai ci siamo abituati alla tecnologia che controlla le nostre vite. Di spunti da prendere dall’attualità ce ne sarebbero, specialmente con l’accelerazione dell’intelligenza artificiale negli ultimi anni. O pensiamo a come i social influenzano la politica, o a come la politica stessa usa i nuovi media, o a tutta la questione della “post-verità”. Il materiale per scrivere storie potenti è lì, a portata di mano, volendo.Quell’atmosfera non tornerà, perché lo standard è cambiato. Si punta a una serie che, come tante altre, puoi tenere in sottofondo mentre scrolli il telefono, magari leggendo di quanto sia pazzesco l’ultimo disco degli Arch Enemy o l’ultima band doom recensita da Lorenzo Centini.

Ad ogni modo non disperate: avete dalla vostra la miglior tecnologia mai inventata per risparmiarvi la fatica di guardare cose che non vi convincono più. Si chiama telecomando. (Luca Venturini)

2 commenti

  • Avatar di Exo

    Per me non è più black mirror ma una copia sbiadita, si stavolta è migliorata (non era difficile dopo la stagione peggiore di sempre) ma è pervasa da quell atmosfera alla netflix che parte dall ambientazione fino ad ironia e lieti fine che proprio non sopporto che è andata a sostituire l’atmosfera dark inglese. Hotel reverie e Eulogy poi semplicemente noiosi, anche le idee non arrivano alle vette pre-netflix. Ha intrattenuto e dispiace si fermi solo a questo, black mirror fino alla 3a stagione era anche altro e per me rimane 20 spanne sopra

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  • Avatar di Sam

    E’ vero, di spunti ce ne sono a iosa. Il problema è avere il coraggio di riproporli, sviscerarli e gettarli negli occhi del pubblico. E su una piattaforma che è sempre stata portavoce di “verità” imposte dall’alto, clichè, woke, politically correct e chi più ne ha più ne metta, la scelta migliore (economicamente e per la sopravvivenza stessa dell’opera) è quella di accettare il compromesso e dare al pubblico ciò che vuole Netflix. Il rischio sarebbe che ti chiudono la serie in tronco come la scure della censura ormai chiude la bocca a ogni voce discordante su qualsiasi argomento scomodo (o comodo, a seconda di chi lo strumentalizza e come).Viviamo in questi tempi dove la mediocrità è fatta virtù e dove le virtù sono viste come un handicap. E quindi, perchè essere virtuosi quando si può essere semplicemente mediocri e ottenere maggior visibilità e ritorno economico?La stagione 7 di Black Mirror in sè non è malvagia. Ma non osa. Ma chi osa più – specie nel mainstream – ormai?

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