Gli Arnold Schoenberg del XXI secolo: PISSGRAVE – Malignant Worthlessness
Quando ero ragazzino io c’era Symphonies of Sickness, per ogni necessità di una botta di estremismo sonoro e concettuale totale. Il secondo disco dei Carcass era una cosa fuori dal mondo, che nella sua esteriore ferocia totale e senza nessun compromesso celava una banda dalla perizia tecnica già in notevole crescita, che avrebbe poi raggiunto i livelli che tutti sappiamo.
Symphonies of Sickness era l’equivalente, nella musica estrema, di quello che potevano essere nella prima metà dell’Ottocento le ultime sonate per pianoforte di Beethoven, composte da un Ludovico van quasi totalmente sordo e ormai allo stremo delle forze, dopo anni di alcolismo forsennato, e tuttavia in grado di trovare soluzioni dissonanti complicate e mai sentite prima di allora. Una rivoluzione. Quella che poi diede il via alla mentalità romantica e che i grandi lavori orchestrali dei grandi compositori della seconda metà del secolo introdussero: nuovi significati e possibilità che ai tempi del classicismo sarebbero probabilmente sembrate demenziali, se non offensive del rigore e dell’armonia contrappuntistica mutuata dai grandi virtuosi barocchi.
Arrivò quindi il XX secolo, ed ecco che figure gigantesche come Bartok, Stravinsky, Prokofiev e Ravel si affacciarono sul panorama musicale, ognuno con le proprie idee e concetti, culminando nella “teorizzazione” schoenberghiana del dissonante. La dissonanza diventa quindi protagonista, una sperimentazione di vie estreme e mai percorse nella “scienza” musicale, ma secondo Schoenberg naturali e quindi per estensione anche istintive nell’uomo; questo catapulta la musica cosiddetta “colta” nel cuore del modernismo musicale. La natura non ha come caratteristica intrinseca e univoca il rigore armonico, secondo Schoenberg. Quindi tutto ciò che è dissonante esiste in natura, ed è anche proprio dell’essere umano. L’istinto è infatti la componente determinante del disco di cui vi parliamo oggi.
Il discorso carcassiano, se vogliamo fare un parallelo nel metal estremo, rappresenta i primi tentativi di stravolgimento “logico” beethoveniano e, sempre se vogliamo, sfocia nell’equivalente odierno del XX Secolo, oggi rappresentato da gente come i Pissgrave e, permettetemi di farne menzione, da gruppi tipo i Portal. “Gente come” e “gruppi tipo” però non è esattamente corretto, poiché questi due gruppi sono piuttosto unici e, seppure formalmente possano apparire distanti anni luce, concettualmente hanno delle similitudini, che so che molti non oserebbero mai ammettere.
Mi spiego: qual è il fine ultimo dell’allucinante follia dei Portal, sostenuta nel loro caso anche da una tecnica piuttosto notevole? Non guardate al particolare, ma prendete l’insieme e il fine ultimo. Visto da vicino può sembrare un grande caos, ma ecco che se ci si allontana di parecchi metri, e si osserva la costruzione sonora degli australiani, spunta una enorme cattedrale, imponente, che sovrasta tutto, dove campanili e guglie magari sono edificati al contrario, frutto di una progettazione architettonica insostenibile dalle leggi della fisica, eppure sono là. Gli interni diventano esterni e viceversa, la luce filtra da dove non dovrebbe, il riverbero sonoro internamente non risponde, nemmeno quello, alle leggi della rifrazione delle onde sonore, e si sentono echi e suoni mai intesi prima, con qualcosa di veramente minaccioso ed indefinito che si aggira nella parte absidale, pronta ad inghiottire i numerosi turisti giapponesi e visitatori vari in un gigantesco e spaventoso nihil.
I Pissgrave, non a caso compagni di etichetta dei Portal (Profound Lore), hanno invece un fine apparentemente diverso, ma allo stesso tempo concettualmente simile, appunto: quello di costruire un enorme mattatoio dove si macella a più non posso. Tagliano quarti di carne umana con mannaie nemmeno troppo affilate, con cui quindi bisognerà sferrare fendenti ancora più violenti per ottenere l’effetto devastante. Si potrebbe discettare per giorni sulla questione, e magari giungere alla conclusione che ci troviamo davanti ad un gruppo di idioti, semplicemente. Ma non è così. Per loro l’esagerazione è quella della barbara e talvolta involontaria dissonanza e degli eccessi, derivanti dalla pura voglia di creare il caos sonoro facendo fruttare gli istinti più elementari, senza alcuna raffinazione e uscendo sempre dai bordi, come rappresentato in maniera paradigmatica nei secondi finali del disco, in cui le lancette dei VU meter vanno prepotentemente a destra sul rosso e tutto si satura definitivamente, finalmente portando a termine il compito di annichilimento totale a cui gli americani sembrano dediti indefessamente ormai da tre album. Tutto si ingolfa, le melodie non esistono, non c’è quasi logica. I Pissgrave potranno pure sembrare intellettualmente ben più indietro dei Portal, eppure, allo stesso tempo e in virtù di un istinto di distruzione bestiale, sono ben oltre quella dissonanza intesa come strumento di sfida e provocazione intellettuale utilizzata da questi ultimi come da copione della storia della musica del secolo scorso. I Portal, insomma, lo fanno con uno scopo intellettuale preciso e perfetta cognizione di causa. I Pissgrave arrivano alla provocazione estrema con mezzi propri e con un istinto purissimo, risultando quindi persino più vicini alla semplice teoria di Arnold Schoenberg. Oppure, se preferite, altro non sono che quattro cazzoni e io sto parlando a vanvera da mezz’ora.
Se quanto vi ho ipotizzato vi sta bene, sentitevi questo Malignant Worthlessness. Sennò girate alla larga. Io, personalmente, ogni volta che sento un loro disco mi metto a sorridere e mi torna il buonumore. Per non parlare poi delle copertine. (Piero Tola)



Potrai aver parlato pure a vanvera, ma mi hai messo curiosità e andrò subito ad ascoltare Pissgrave e Portal.
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