Avere vent’anni: IMMOLATION – Harnessing Ruin

Gli Immolation sono fra i grandi favoriti sulle pagine di Metal Skunk, perché sono uno di quei gruppi che difficilmente deludono, tanto che non si riesce mai a dire qualcosa di originale su di loro. Ma non bisogna fare l’errore di dare questa cosa per scontata: un gruppo che fa musica eccezionale e che è alla guida di un movimento per decenni consecutivi è un fatto bellissimo, che va sempre lodato e di cui bisogna essere grati. Si diceva una cosa del genere anche nel 2005, quando erano passati tre anni dall’ottimo Unholy Cult e quando, con la consueta cadenza marziale quanto inesorabile degli Immolation, arrivò Harnessing Ruin, il sesto album del gruppo. Fra le due uscite ci fu anche un traumatico cambio di batterista: Alex Hernandez, che aveva suonato con loro da Failures for Gods, decise di interrompere l’attività con il gruppo nel bel mezzo di un tour mondiale e, dopo un frettoloso passaggio di consegne, venne sostituito da Steve Shalaty, originario dell’Ohio, che sarebbe rimasto dietro alle pelli fino ad oggi, diventando così il più longevo batterista della storia degli Immolation. Il resto della formazione dell’epoca, ricordiamolo, erano gli imprescindibili Ross Dolan e Robert Vigna, con Andy Taylor alla seconda chitarra.

Come ha detto il sempre necessario Alex Webster, un disco death metal non deve essere soltanto aggressivo, ma deve esprimere anche un certo grado di oscurità. Ebbene, questa è proprio una delle caratteristiche degli Immolation in generale e di Harnessing Ruin in particolare, che è un album piuttosto peculiare nella loro discografia, perché presenta delle atmosfere decisamente oscure, a tale proposito, per quanto meno orrorifiche del solito e più crepuscolari; questo è da attribuire alle scelte armoniche, ovvero a Robert Vigna. La produzione dell’album, curata dal sempre più fidato Paul Orofino insieme al gruppo, realizzò un suono profondo.

Harnessing Ruin mise in luce, una volta di più, una grande attenzione alle composizioni e a una certo gusto per la melodia, sostenuta da un sempre ottimo lavoro ritmico e da una grande energia di fondo. Le strutture dei brani sono, in parte, meno complesse rispetto alla media degli Immolation, a favore delle atmosfere e dell’immediatezza. Il livello compositivo è elevatissimo e i pezzi suonano veramente ispirati, personali e ragionati, tanto che è difficile dire quali possano essere i più rappresentativi. Posso fare una scelta solo personale citando Swarm of Terror, col suo andamento ritmico particolare, Dead to Me, che progredisce da un arpeggio lento e maligno a una seconda metà melodica e variegata, le più arrabbiate Challenge the Storms e My Own Enemy, la chiusura con At Mourning Twilight… Davvero tutte ottime canzoni e non ultima anche l’omonima Harnessing Ruin, dove si può apprezzare la tecnica, la melodia, l’oscurità e che venne anche proposta in versione video come contenuto multimediale nel CD dell’epoca. Death metal di alta scuola, da ascoltare e riascoltare con attenzione. (Stefano Mazza)

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