Recuperone black metal (e dintorni) 2024 – seconda parte
Altri dischi usciti in questo comunque prolifico 2024 e meritevoli di menzione ad apprezzamento.
Entrano a gamba tesa nel campo infuocato del raw black metal i genovesi ULTIO, one man band attiva da parecchio tempo sebbene con un solo EP all’attivo (Fera, 2018) prima di questo album di debutto intitolato Cor. Ce l’avete presente i venti minuti finali di Una ragione per vivere e una per morire, il western-massacro impegnato con protagonisti Bud Spencer e James Coburn? Uno sparatutto, una carneficina, la fine di ogni regola e di ogni compassione, il massacro è l’unica cosa che conta? Cor è tutto questo, violenza talmente insistita da risultare quasi assurda, insensata, improbabile. Non può esistere qualcosa di così selvaggio e cavernicolo, a un certo punto anche la più efferata delle violenze deve avere una fine… O almeno così si pensa, ma non è detto che sia vero, e sono proprio gli Ultio a ricordarcelo: nulla di quanto più turpe ha necessariamente una fine.
Cor fa spavento: paragonabile ai migliori Baltak (anche per via della batteria elettronica, mixata pure alta, penetrante e squassante ai limiti dell’acufene), a gruppi senza compromessi come Thy Infernal o Thornspawn (entrambi americani, ma poco importa) gli Ultio scrivono brani scarni, diretti, in your face, senza abbandonarsi al becero bordello privo di significato; oscure melodie fanno capolino qua e là, ma ciò che predomina è la violenza, quella più totale, cristallina ed inconsulta. È un disco per appassionati di raw black: se cercate qualche passaggio meno estremo faticherete a trovarne, ma per chi di queste cose ha bisogno come dell’aria che respira sarebbe folle non consigliarne l’ascolto. In versione fisica è uscito anche in CD limitato a sole 100 copie ma contiene come bonus track anche i pezzi dell’EP di sei anni fa. Vale la pena cercarlo, esce per la Brucia records, 51 minuti di pura brutalità black metal.
Cambiamo filone, rimanendo nel contesto. Cinque anni dopo il sorprendente debutto Aura Aeternitatis è uscito quest’anno il secondo album degli austriaci VÁSTÍGR, sempre per Avantgarde records. Avrebbe meritato molto più spazio di quanto sto per dedicargliene ma il tempo stringe, per cui andiamo al sodo. Si tratta di black atmosferico senza tastiere, che molto spesso si sbilancia fino ad arrivare al techno death.
Dovete immaginare una versione modernizzata, complicata ed un po’ più lenta di Channeling the Quintessence of Satan dei loro conterranei Abigor: la tecnica della sezione ritmica è paragonabile (alle pelli dovrebbe esserci Bjarni Einarsson di Sinmara etc. come session), parimenti lo sono gli intrecci di chitarra armonizzati, tutt’altro che semplici sia da comporre che da suonare, specialmente se il tutto viene eseguito ad alte velocità, come pure i continui stacchi anche acustici e di pura atmosfera che caratterizzano le 4 composizioni – tutte molto lunghe, di esse tre superano i dieci minuti e l’apice sono gli oltre 14 della conclusiva Eternity. Tutto ciò fa di The Path of Perdition un album sontuoso che sarebbe un delitto ignorare. Ci troviamo al cospetto di un disco eccellente che tuttora non ha ricevuto il giusto riconoscimento che gli spetterebbe, perché Hāg (il factotum del progetto) è un eccellente compositore in grado di scrivere musica black metal fuori dalla portata di moltissimi altri “colleghi” ben più celebrati da stampa e pubblico, non sempre in modo obiettivo. Fidatevi, ascoltatevi il disco, non rimpiangerete il vostro tempo.
Adesso mi intrometto un po’ nel raggio d’azione più propriamente belardiano, ma ci sono un paio di dischi che lui si è dimenticato di portare alla vostra squisita attenzione e che sono puro thrash metal vecchio stile. Qualcosina dei LUCIFUGE tedeschi in passato l’avevo ascoltato ma non ne ero stato impressionato più di tanto, non al punto di scriverne. Il nuovo episodio Hexensabbat però è proprio una bomba, thrash compatto e violento che sprigiona l’energia di un maglio da utilizzare per demolire un grattacielo pericolante di 50 piani.
Si parte con Gates of the Eternal Night che è molto blackettona, tanto che sembra quasi di ascoltare i primi Nifelheim, ma, a mano a mano che il disco prosegue, emerge del puro thrash/speed metal, con più di un richiamo ai riff degli Helloween (era-Walls of Jericho) – e poi ditemi se la intro di Into Eternal Sleep non ha un che di maideniano (molto Wasted Years, direi). Troviamo anche qualche sfumatura di speed/thrash americano, a me spesso sono venuti in mente cose molto retrò tipo Anialator o At War. Immagino che non li conoscano neanche loro, i riff gli sono semplicemente venuti così. Meglio, no? Sono situazioni che ricorrono di frequente nel corso dell’album, che non annoia mai e che anzi si rimette volentieri sul piatto più e più volte. L’edizione in vinile, poi, è bellissima. Fateci un pensiero se volete regalarvi qualcosa per Natale, giusto per spararlo a tutto volume e fare inorridire genitori, nonni e parenti tutti.
Infine qualcosa di veramente vecchio stile, gli argentini KADAVRO, che per il loro debutto si sono appoggiati ad una micro-etichetta di El Salvador. Uno di quei dischi che compri e che speri che non ci mettano anni ad arrivare, sempre ammesso che mai arrivino. Poi ne esistono 66 copie, se lo perdi è per sempre. Qui si parla di vecchio/vecchissimo death/thrash sulla scia di gruppi storici brasiliani del calibro di Chakal, Korzus o Mutilator, si sfiora appena qualcosa di Schizophrenia ma il feeling è quello: 10 pezzi, neanche 33 minuti, un carnaio che gli amanti di questi suoni così vintage, scarni, slabbrati, prodotti così-così ma che strabordano di passione non debbono assolutamente trascurare.
Ci sono dei gran pezzi, in prevalenza brevi e naturalmente nessun riempitivo, dei gran riff e pure le trame soliste sono più che interessanti. E poi i ragazzi non suonano affatto male, casomai aveste dei dubbi sulla loro capacità di tenere in mano una chitarra o un basso. Pure qui mi dispiace di non avervene parlato prima perché nelle vostre classifiche di fine anno ci sarebbe entrato di sicuro, ora forse è troppo tardi ma non si sa mai. Una cosa è certa: Procession of Evil è un disco della miseriaccia, non perdetevelo ché vi fate del male da soli. (Griffar)




