Gli HORNA non mollano il colpo: Nyx (Hymnejä Yölle)

Che io mi ricordi non erano mai passati quasi quattro anni tra due uscite dei capostipiti finlandesi Horna. Anzi direi che, in quanto a prolificità, nei loro trent’anni di carriera non sono stati secondi a nessuno dei gruppi storici, poi al giorno d’oggi c’è chi pubblica trenta titoli all’anno ma il mondo è andato avanti, i tempi sono cambiati… Tutto è cambiato.

Quando, a metà anno circa, è uscito un direi non indispensabile split 12 pollici con gli austriaci Obscure Anachronism (di loro si ricordano due full interessanti usciti negli anni Zero, ma anch’essi sono lontani dalle scene da moltissimo tempo, più di dieci anni, anche se vengono considerati ancora attivi – seee, va beh, e quando mai?),  io pensavo che fosse cosa per vecchie glorie. Nel senso che ti accorgi che tutto quanto avevi da dire l’hai detto e che il progetto, magari in un tempo diluito, andrà a spegnersi come i tizzoni nel camino quando è ora di andare a dormire e non aggiungi altra legna al fuoco. Il viale del tramonto, in pratica. Inizia per tutti, specialmente se suoni black metal da trent’anni e sei stato sin da subito un punto di riferimento, un innovatore, un creatore di un tuo stile personale che gli altri hanno copiato… pardon, preso come ispirazione. Allora tiri fuori dal polveroso cassetto delle canzoni dimenticate qualcosa per tenere vivo il nome e ne fai uscire un paio senza troppe pretese, ogni tanto, senza troppa convinzione, fa fine e non impegna.

Tuttavia, colto dalla curiosità, sono andato a vedere un po’ di dati anagrafici dei componenti degli Horna e mi sono rinfrescato la memoria sulla loro tenera età al momento della fondazione del gruppo: Shatraug – prendendo solo lui come esempio in quanto fondatore della band – ha meno di 47 anni; e suona negli Horna da trenta, pensate un po’ voi, a casa nostra i sedicenni non fondano mica una qualche band che diventerà tra le più rinomate del mondo, si rimbecilliscono con quella musica di merda che chiamano trap. I tempi sono cambiati, come dicevo prima. In questo caso decisamente in peggio. Tra l’altro, Shatraug suona in almeno altri 15 progetti, di lavoro fa il musicista evidentemente, perché non immagino come possa aver tempo di fare qualcosa d’altro.

Un paio di mesi dopo però è uscito anche Nyx (Hymnejä Yölle) che risulta essere il dodicesimo album in una discografia che nel suo complesso avvicina i 60 titoli escludendo le compilation. Mi ha colto un po’ di sorpresa, vuoi perché non immaginavo un ritorno ai cari vecchi tempi (più di un’uscita in un solo anno solare) vuoi perché un silenzio così inusuale e prolungato mi aveva fatto sospettare un disamoramento nei riguardi di una band che ha sempre inciso musica di elevata qualità, anche se bisogna accettare il fatto che i capolavori veri oramai appartengono ad un lontano passato e che – almeno per quanto riguarda gli ultimi due album Kasteessa Kirottu (2018) e Kuoleman kirjo (2020) – la band nel suo periodo più recente ha un po’ vivacchiato di rendita. Il fatto poi che (pure qui vado a memoria ma non credo di sbagliare) non si siano disturbati a dare un titolo ai brani (sono tutti Hymni seguito dal numerale romano da 1 a 5) mi ha fatto temere un certo lassismo. Un disco fatto uscire perché “si doveva”.

Invece debbo dire che nel complesso il nuovo capitolo non è affatto male, anche se non è paragonabile, che so? Ad un Sudentaival o giù di lì. Parte bello tirato, senza intro inutili o bizantinismi di sorta, e va dritto al punto con I, che propone un bel riff portante ripetuto a più velocità, blast compreso: puro Horna-sound, quando ascolto un loro pezzo è questo che voglio sentire, questo ronzare di chitarre come trovarsi in aperta campagna in tarda estate sotto un albero di fichi maturi assaltato dai calabroni, sembra di avere un elicottero acceso parcheggiato nel cortile di casa. L’intermezzo marziale esaltato dai timpani della batteria poi ti fa venir voglia di prendere a calci qualsiasi cosa si trovi nei tuoi pressi. I veri Horna: cattivi, cattivissimi, perfidi; musica della glorificazione del Male, del Demonio all’ennesima potenza. L’inizio col botto viene in parte meno con i due pezzi successivi, che non ne raggiungono l’apice né per intensità né per bontà dei riff, pur restando su livelli discreti. Il secondo pezzo è molto thrasheggiante, apre melodico e poi si appoggia su un riff che non esalta più di tanto, il terzo è quello che tra tutti lascia meno traccia di sé. Girato il vinile si apre il lato B con IV che rade tutto al suolo esattamente come il brano di apertura, e anche la successiva V è bella pesante, malefica, solforosa e coinvolgente.

Risulta quindi incomprensibile la scelta di chiudere l’album con la versione folk/acustica di Kuoleva Lupaus, apparsa in origine su Envaatnags Eflos Solf Esgantaavne (vi rimando all’anno prossimo per il ventennale), noiosissima, un autentico riempitivo che con il resto dell’album c’entra il nulla più cosmico. Un brano che spogliato della distorsione e della malvagità tipica del gruppo finlandese annoierebbe persino i fan di Lorena McKennit o similari, proprio non so cosa ce l’abbiano messo a fare. Una volta sarebbe stata considerata una B-side, uno di quei pezzi che vengono messi come retro di un singolo apripista. Ma i tempi sono cambiati, già l’ho detto. Se avete intenzione di comprare un’edizione fisica del disco trovate il modo di skipparlo, perché rischia di farvi abbassare il gradimento di Nyx, pur se ingenerosamente.

Già, perché, tirate le somme, il dodicesimo episodio sulla lunga distanza degli Horna è indubbiamente un bel disco. Non un capolavoro, non come i loro storici ma insomma, anche se il tempo passa per tutti e non solo per me, per imboccare il viale del tramonto c’è ancora della strada tortuosa da fare. (Griffar)

 

Lascia un commento