Frattaglie in saldo #62

Si chiama The Periapt of Absence il secondo disco degli americani MOTHER OF GRAVES, band che ibrida il death metal con quei richiami melodici katatonianici… katotonici… katoniaci… katato… insomma, dei Katatonia. Tempo fa avrei tralasciato un disco del genere perché non è musica che mi entusiasma troppo, ma devo rendere atto che il loro secondo disco è molto bello. Le strutture dei brani sono molto semplici e questo aspetto, unito con delle melodie davvero orecchiabili, rendono il disco veramente piacevole. Non c’è niente di innovativo, ma è innegabile che ci sia della qualità. Intendiamoci: è un lavoro che cerca di suscitare emozioni molto intense di tristezza mista a rabbia, e che in taluni momenti raggiungono perfino la gioia, ma è sempre una gioia amara, vedi l’inizio di Apparition ad esempio. Insomma, penso abbiate capito il genere, non c’è bisogno di dilungarsi oltre. Se siete fan dei succitati Katatonia e gruppi così, tristi ma con stile e con belle melodie, allora fate vostro questo disco. Per gli altri, è comunque un disco della Profound Lore, per cui vale sicuramente dargli un po’ di attenzione.

Con un po’ di ritardo arriviamo anche ai LACERATION, band californiana anch’essa al secondo disco dal titolo I Erode. Prodotti dalla onorevole etichetta 20 Buck Spin, i ragazzi sono autori di un onesto e divertentissimo thrash/death. Anche qui niente di innovativo, ma il disco funziona benissimo, ha dei pezzi validi e suona come un buon disco di death metal niuorchese anni ‘90. Quindi va bene così. Qui c’è da godere e basta, senza badare agli orpelli e alla sperimentazione. Avete presente quei bei dischi con quei riffoni grossi, mid-tempo aggressivi con sedicesimi di doppio pedale sotto che poi esplodono in skank o blast beat velocissimi e infine rallentano con un groove da headbanging che se hai più di 35 anni il giorno dopo la pagherai cara? Ecco, quello suonano i Laceration. Divertitevi.

Esordiscono invece con Demonolatry i norvegesi ABHORRATION. La band riprende le sonorità di quando il death degli albori era ancora pregno di thrash, mettendoci un sacco di furia tipica proprio di quella parte di mondo incattivita da inverni lunghissimi e mesi di solo buio. Non so in realtà se sia effettivamente così da dove vengono loro, non sono mai stato in Norvegia. Fatto sta che questo disco spacca i culi, la produzione è di un grezzo sublime e i brani hanno carattere. Non immaginatevi però un death ignorante: il quartetto sa sviluppare idee e strutture con molta maestria, tant’è che i brani sono tutti sopra i cinque minuti e richiedono attenzione all’inizio. Fin da subito questo album si fa ascoltare con grande trasporto, ma il bello viene una volta che lo si comincia ad assimilare. Da lì in poi ci si accorgerà che è un esordio coi controcazzi e, per come è venuto fuori, c’è da aspettarsi che i prossimi dischi saranno veramente notevoli. Grandi!

Andiamo in Germania invece con il death/doom dei CRYPTIC BROOD che arrivano al terzo full in studio dal titolo purulento di Necrotic Flesh Bacteria. Dischi come questo ce n’è molti in giro. Cosa rende quindi questo album meritevole di essere ascoltato? Personalmente non so darmi una risposta precisa, ma fatto sta che lo ascolto più volte al giorno e non solo perché devo recensirlo. Sarà che a me l’alternanza di blast beat che durano solo qualche secondo, tempi doom ultradilatati e quel tupatupa baldanzoso suonato tra i 140 e i 160 bpm che sembra un ritmo 2-beat piace tantissimo. C’è un basso ciccionissimo strafigo e c’è una voce disgraziata a cantare brani che hanno titoli come Viscid Fluid, The Pile of Flesh is Served, Diggin through Skin. Insomma, siamo nel marcio più marcio che più marcio non si può. La band ha fatto passi da gigante rispetto ai primi due lavori, ha trovato il proprio stile e questo è senza dubbio il loro album migliore. (Luca Venturini)

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