Tre horror per riscaldare l’autunno: LONGLEGS, THE SUBSTANCE, TERRIFIER 3
LONGLEGS
Matteo Cortesi: Il ritorno del figlio non canterino di Anthony Perkins dopo le precedenti alternative al Roipnol The Blackcoat’s Daughter e Gretel & Hansel arriva sull’onda lunga di una bieca quanto perfettamente riuscita campagna di marketing “virale” da far disintegrare la bara a Bill Hicks a furia di tripli carpiati, che ha portato incassi faraonici rispetto al risicato budget di partenza (110 milioni contro 10). Pare un corto proiettato alla velocità sbagliata Longlegs: tutto si muove lentamente, non succede assolutamente nulla nel buio quasi totale, è come se Perkins junior dopo avere visto Zodiac di David Fincher avesse pensato “questo è facile, posso farlo anch’io”, però la sera prima aveva visto Beyond the Black Rainbow di Cosmatos junior e anche lì ha pensato la stessa cosa. Il risultato è un indigeribile beverone che pesca un po’ dai romanzi di Thomas Harris, un po’ dall’orrore lovecraftiano dell’inesplicabilità del male, un po’ dall’aria fritta rivenduta con tecniche truffaldine alla Blair Witch Project, un po’ dai summenzionati Fincher (per la fotografia) e Cosmatos junior (per i colori strani e le suggestioni cosmiche da trip andato a finire malissimo), un po’ dalla nostalgia degli anni ’90 per i motivi sbagliati (foto incorniciate di Bill Clinton ovunque), il tutto con un’efferatezza e una pervicacia nello sfracellare i maroni che sa essere soltanto sua. Maika Monroe e horror significano un’unica espressione per tutto il tempo, Nicolas Cage nei trenta secondi in cui compare sembra Robin Williams nel penultimo travestimento prima di diventare Mrs. Doubtfire e parla come Seth MacFarlane quando imita il monologo di Liam Neeson in Io Vi Troverò con la voce di Kermit la rana. Ora più che mai Perkins junior eleva il concetto “lento = bello” a vette irraggiungibili; potevo sentire i miei tessuti invecchiare mentre le diottrie calavano (difficile distinguere alcunché nel buio pesto) e la palpebra pesava sempre di più. Quanto manca Walter Hill.
THE SUBSTANCE
L’Azzeccagarbugli: Circolava un grande hype intorno a The Substance, per il quale si sono spesi superlativi assoluti, così come critiche – davvero infondate – di un perbenismo woke figlio di un certo elevated horror statunitense. E invece dall’Europa ci arriva un pugno in pieno volto da un’autrice che con quel mondo non ha nulla da spartire. Perché, in fin dei conti, The Substance è un film che fonda la sua cifra stilistica sull’immagine e la sua centralità, un assalto sensoriale allo spettatore, non solo visivo ma anche “uditivo”, grazie ad un sonoro capace di amplificare tutte le sensazioni più sgradevoli che si possano immaginare. Un body horror anni ‘80, senza essere minimante un film nostalgico, connotato dalla stessa sfrontatezza e voglia di uscire – e far uscire – costantemente dalla propria “comfort zone”.
Se la trama (una star sul viale del tramonto decide di iniettarsi uno strano composto che genera una nuova e giovane sé, dovendo attenersi a delle rigide regole di alternanza tra le due parti del proprio io) è esile e il messaggio trasparente, il “come” è estremamente interessante. La critica feroce all’oggettivazione della donna che, contestualmente, incide sullo stesso sguardo che la donna ha di sé, viene operata attraverso una serie di archetipi, caricature grottesche e un tono da satira che riesce pienamente nel suo intento, senza moralismi di sorta. Ma ciò in cui riesce davvero straordinariamente Fargeat, che beneficia della prova della vita di Demi Moore e di una grande Margaret Qualley, è sotto un profilo visivo, di attenzione maniacale all’immagine – come si intuisce sin dall’ottimo incipit – flirtando dichiaratamente con il cattivo gusto, sguazzando nello splatter, esagerando senza ritegno anche nell’uso di prosthetics d’antan.
I riferimenti e gli omaggi sono evidenti: da Shining a Cronenberg, da virtuosismi à-la De Palma a Lynch, passando per Re-Animator, che culminano in una mezz’ora finale degna di Yuzna, in un tripudio di sangue e trasformazioni della nuova carne, riuscendo, in alcuni momenti, a risultare persino toccante. Dove Fargeat riesce meno è nella gestione dei tempi, non sempre ottimale, in alcune lungaggini di troppo e in una ridondanza tematica e in un eccesso di schematicità che, in ogni caso, non incide troppo sulla riuscita di un’opera che riesce a trattare in modo personale situazioni già battute moltissime volte e, nonostante le tante influenze, a trovare la propria strada e a lasciare il segno.
TERRIFIER 3
Piero Tola: Il primo Terrifier era una bomba. Uno di quei film che, all’essenzialità dei tempi in cui lo slasher o il film dell’orrore trovava il suo massimo splendore, univa il grottesco più totale, l’esagerazione, il disgustoso e tutta quella roba che, se siete amanti veri dell’horror e dei film che fanno sentire la tensione, quella vera, non potete non apprezzare.
Il secondo era decisamente orientato su lidi “più fighetti”, con meno brutalità essenziale e forse un’atmosfera più “onirica” in alcune sequenze e soluzioni tecniche più ricercate, e la capacità di creare dei personaggi senza troppe complessità ma che rimangono comunque impressi (bellissima Lauren LaVera in costume di Hallowen) . Più curata la messa in scena, una fotografia più in stile “vintage”, ed altri accorgimenti resi possibili anche grazie anche al successo meritatamente raggiunto dal primo episodio della serie, che ha permesso a Damien Leone di espandere il budget capitolo dopo capitolo.
Il terzo film non fa eccezione: se siete amanti del gore, Natale è arrivato in anticipo. Art il clown è un personaggio iconico (secondo me destinato a diventare il nuovo Freddy) e le soluzioni splatter sono una più divertente dell’altra. Sembrerebbe quasi un esperimento su quanto il genere possa spingersi oltre in termini di esagerazione e di fantasia sadica. Insomma, Terrifier al terzo tentativo rimane disgustoso, divertente, ben realizzato e soprattutto ti incolla alla poltrona, che in un mondo ormai fatto di jump scares, idee riciclate male e noiose non è roba da poco. Sennò lasciate perdere e guardatevi quella cacata di Longlegs. Contenti voi.


